lunedì 5 dicembre 2011

Cocotte


I.

Ho rivisto il giardino, il giardinetto
contiguo, le palme del viale,
la cancellata rozza dalla quale
mi protese la mano ed il confetto...


 
II.

«Piccolino, che fai solo soletto?»
«Sto giocando al Diluvio Universale.»

Accennai gli stromenti, le bizzarre
cose che modellavo nella sabbia,
ed ella si chinò come chi abbia
fretta d'un bacio e fretta di ritrarre
la bocca, e mi baciò di tra le sbarre
come si bacia un uccellino in gabbia.

Sempre ch'io viva rivedrò l'incanto
di quel suo volto tra le sbarre quadre!
La nuca mi serrò con mani ladre;
ed io stupivo di vedermi accanto
al viso, quella bocca tanto, tanto
diversa dalla bocca di mia Madre!

«Piccolino, ti piaccio che mi guardi?
Sei qui pei bagni? Ed affittate là?»
«Sì... vedi la mia mamma e il mio Papà?»
Subito mi lasciò, con negli sguardi
un vano sogno (ricordai più tardi)
un vano sogno di maternità...

«Una cocotte!...»
«Che vuol dire, mammina?»
«Vuol dire una cattiva signorina:
non bisogna parlare alla vicina!»
Co-co-tte... La strana voce parigina
dava alla mia fantasia bambina
un senso buffo d'ovo e di gallina...

Pensavo deità favoleggiate:
i naviganti e l'Isole Felici...
Co-co-tte... le fate intese a malefici
con cibi e con bevande affatturate...
Fate saranno, chi sa quali fate,
e in chi sa quali tenebrosi offici!
 


III.

Un giorno - giorni dopo - mi chiamò
tra le sbarre fiorite di verbene:
«O piccolino, non mi vuoi più bene!...»
«È vero che tu sei una cocotte?»
Perdutamente rise... E mi baciò
con le pupille di tristezza piene.
 


IV.

Tra le gioie defunte e i disinganni,
dopo vent'anni, oggi si ravviva
il tuo sorriso... Dove sei, cattiva
Signorina? Sei viva? Come inganni
(meglio per te non essere più viva!)
la discesa terribile degli anni?

Oimè! Da che non giova il tuo belletto
e il cosmetico già fa mala prova
l'ultimo amante disertò l'alcova...
Uno, sol uno: il piccolo folletto
che donasti d'un bacio e d'un confetto,
dopo vent'anni, oggi ti ritrova

in sogno, e t'ama, in sogno, e dice: T'amo!
Da quel mattino dell'infanzia pura
forse ho amato te sola, o creatura!
Forse ho amato te sola! E ti richiamo!
Se leggi questi versi di richiamo
ritorna a chi t'aspetta, o creatura!

Vieni! Che importa se non sei più quella
che mi baciò quattrenne? Oggi t'agogno,
o vestita di tempo! Oggi ho bisogno
del tuo passato! Ti rifarò bella
come Carlotta, come Graziella,
come tutte le donne del mio sogno!

Il mio sogno è nutrito d'abbandono,
di rimpianto. Non amo che le rose
che non colsi. Non amo che le cose
che potevano essere e non sono
state... Vedo la case, ecco le rose
del bel giardino di vent'anni or sono!

Oltre le sbarre il tuo giardino intatto
fra gli eucalipti liguri si spazia...
Vieni! T'accoglierà l'anima sazia.
Fa ch'io riveda il tuo volto disfatto;
ti bacierò; rifiorirà, nell'atto,
sulla tua bocca l'ultima tua grazia.

Vieni! Sarà come se a me, per mano,
tu riportassi me stesso d'allora.
Il bimbo parlerà con la Signora.
Risorgeremo dal tempo lontano.
Vieni! Sarà come se a te, per mano,
io riportassi te, giovine ancora.
 


 

 
È questa, una delle poesie più famose (ed anche più belle) della raccolta "I colloqui", pubblicata da Guido Gozzano nel 1911. Il poeta parlò della lirica già nel 1907, in una lettera indirizzata all'amica Amalia Guglielminetti, di cui riporto un passo: «Ho abbozzato una poesia, in endecasillabi e sestine; la poesia è bella, i versi sono brutti. È un richiamo d'una cocotte che conobbi a Cornigliano Ligure, quasi vent'anni fa [...]. Era nostra vicina di casa, perché affittava pei bagni la metà della villa che si affittava a noi. Ma il giardino nostro e il suo erano divisi da una cancellata: e fu attraverso le sbarre che mi abbracciò qualche volta, dicendomi: "Mon petit chéri!" con un sorriso che ricordo ancora, un sorriso dove piangeva tutta la nostalgia della sua maternità insoddisfatta. Poi i miei se ne avvidero, ne parlarono a tavola, sentii da mia madre la parola cocotte... Da quell'anno non ho più rivista la mia amica francese, la cattiva Signorina. Ho rivisto Cornigliano invece, la settimana scorsa, e il giardino dei vent'anni prima e ho sentito il bisogno di lei». Questa poesia fu pubblicata per la prima volta sulla rivista La Lettura del giugno 1909, col titolo Il richiamo (vedi foto sopra).

domenica 4 dicembre 2011

La domenica della pioggerella



Chinar la testa che vale?
e che vai nova fermezza?
io sento in me la stanchezza
del giorno domenicale;

del giorno un po' lacrimoso
che dà i pensieri più tetri
e fa cercare oltre i vetri
ignote vie di riposo.

Dall'alto della sua gruccia
il pappagallo mi guarda,
e la sua voce beffarda
m'entra nel cuore e mi cruccia;

da una cornice, spavalda,
Carmen si strugge per me
ed io, tremante José,
sogno la carne sua calda;

ma, presso a Carmen, continua
un oriolo il suo metro
e l'ammonimento tetro
fino nel cuor mi s'insinua!

E intanto, intanto di fuori
continua a piangere il cielo,
continua a stendere un velo
grigio sugli ultimi fiori,

e una remota campana
continua i lenti rintocchi
solo perchè dai nostri occhi
scenda una lacrima vana.

Città che amai, che nell'ore
più sante della mia vita
deste una brama infinita
al mio trepidante cuore,

città divine ove fu
più forte il desìo d'amare,
mi pare, adesso, mi pare
che non dobbiate esser più,

che questo grigio v'asconda
per sempre agli occhi mortali
o vi faccia tutte uguali
questa tristezza profonda!




 

Le domeniche raccontate dai versi di Marino Moretti (1885-1979), il più crepuscolare tra i poeti che in tal modo furono definiti, hanno alcune peculiarità costanti: la noia, la tristezza, la solitudine, la nostalgia per il passato e la malinconia. Oltre alla poesia sopra riportata se ne possono leggere altre simili come "La domenica di Bruggia", "La domenica dell'orso che balla", "La domenica della signora Lalla", tutte riunite nella sezione "Domeniche" che è compresa nel libro più importante (parlando di opere poetiche) di Moretti: "Poesie scritte col lapis", uscito per la prima volta nel 1910 e più volte ristampato con aggiunte e varianti. Nei versi di "La domenica della pioggerella" il poeta descrive una domenica uggiosa di fine autunno, trascorsa in casa a guardare fuori dai vetri la pioggia che cade sulla città, il cielo grigio e la penombra che avvolge l'interno delle stanze; il tutto determina uno stato d'animo che oggi si potrebbe definire "depressivo", così il poeta comincia a pensare che quel grigio, quella pioggia e quella tetraggine non termineranno più fino alla fine dei suoi giorni e che entreranno anche dentro la sua triste, sconsolata anima.


domenica 20 novembre 2011

Poeti dimenticati: Nicola Moscardelli


Piatto anteriore di "Le grazie della terra"

Nicola Moscardelli (Ofena 1894 - Roma 1943) è stato un poeta, un prosatore ed un saggista italiano. I suoi versi iniziali si può ben dire che siano ispirati al crepuscolarismo; successivamente Moscardelli si avvicinò alla poetica futurista e, in parte, risentì dell'influenza vociana. Nella parte più matura del suo fare poetico si notano invece uno spiccato misticismo ed una tendenza a sottolineare l'aspetto più sofferente della vita umana.
 
 


Opere poetiche

 

"La Veglia", Unione Arti Grafiche, L'Aquila 1913.
"Abbeveratoio", Libreria de «La Voce», Firenze 1915.
"Tatuaggi", Libreria de «La Voce», Firenze 1916.
"Gioielleria notturna", Studio Editoriale Lombardo, Milano 1918.
"La mendica muta", Vallecchi, Firenze 1919.
"L'ora della rugiada", Carabba, Lanciano 1924.
"Le grazie della terra", Carabba, Lanciano 1928.
"Il Ponte", Al Tempo della Fortuna", Roma 1929.
"L'aria di Roma", Buratti, Torino 1931.
"Foglie e fiori", Modernissima, Roma 1938.
"Canto della vita", Vallecchi, Firenze 1939.
"Punti cardinali", Ticci, Siena 1941.
"Dentro la notte", Il Sentiero dell'Arte, Pesaro 1942.
"Tutte le poesie", Ianieri, Pecara 2007.
 
 

Presenze in antologie 

"Poeti d'oggi: 1900-1925", 2° edizione, a cura di Giovanni Papini e Pietro Pancrazi, Vallecchi, Firenze 1925 (pp. 712-714).
"Le più belle pagine dei poeti d'oggi", 2° edizione, a cura di Olindo Giacobbe, Carabba, Lanciano 1928 (vol. 5, pp. 91-103).
"La nuova poesia religiosa italiana", a cura di Gino Novelli, La Tradizione, Palermo 1931 (pp. 269-275).
"Antologia della lirica contemporanea dal Carducci al 1940", a cura di Enrico M. Fusco, SEI, Torino 1947 (pp. 297-299).
"Antologia della lirica italiana. Ottocento e Novecento", nuova edizione, a cura di Carlo Culcasi, Garzanti, Milano 1947 (pp. 360-361).
"L'antologia dei poeti italiani dell'ultimo secolo", a cura di Giuseppe Ravegnani e Giovanni Titta Rosa, Martello, Milano 1963 (pp. 757-762).
"Le cinque guerre: poesie e canti italiani", a cura di Renzo Laurano e Gaetano Salveti, Nuova Accademia, Milano 1965 (p. 66).
"I crepuscolari", a cura di Nino Tripodi, Edizioni del Borghese, Milano 1966 (pp. 491-497).
"Dal simbolismo al déco", a cura di Glauco Viazzi, Einaudi, Torino 1981 (tomo secondo, pp. 545-550).
"I poeti italiani della «Voce»", a cura di Paolo Febbraro, Marcos y Marcos, Milano 1998 (pp. 182-184).
"Le notti chiare erano tutte un'alba", a cura di Andrea Cortellessa, Bruno Mondadori, Milano 1998 (p. 372).
 

 

Testi


LA TORRE VIOLA

(Una piccola stanza disadorna, sulla cui soglia muoiono i rumori, quasi spaventati dalla solitudine che li attende, C è una finestra che dà forse sul mare, spenta. Una mezz'ombra vagola come un gatto per i vani: come uno se ne colma, l'altro si vuota. Flusso e riflusso senza rumore.
Nell' infinito del mondo, fermiamoci fra queste quattro mura, dove il soffio dell'esterno giunge assopito come un vento che ha passato il mare e l'ha addomesticato, stancandosi. A poco a poco, proiettate dall'ardore dell'anima che si esprime, compaiono Mimma, Ottavio e Arturo : spiriti d'ogni tempo e d'ogni età. La luce della loro lampada ha cambiato colore ed essi credono sia spenta. Le parole che si concedono sono come colpi di selce contro l'abete secco: e il loro parlare li rivela fanciulli intatti non ancora arsi dalle crude stagioni della vita).
(Da "La mendica muta")

venerdì 18 novembre 2011

Poeti dimenticati: Virgilio La Scola


Piatto anteriore di "La placida fonte"

Virgilio La Scola (Palermo 1869 - ivi 1927) fu autore di poche raccolte poetiche; ebbe come maestri principalmente Giovanni Pascoli ed i corregionali Mario Rapisardi e Giovanni Alfredo Cesareo. Le sue poesie sono, spesso, di argomento religioso e sociale, ma non manca quella attenzione alle "piccole cose" così frequente anche nei versi del Pascoli. Le sue opere furono lodate da insigni critici tra i quali lo stesso Cesareo e Pietro Mignosi che così ne parla in "La poesia di questo secolo" (Edizioni del Ciclope, Palermo 1929): «Fu un pascoliano pieno di accortezza. Rinomato e carezzato in vita, è caduto, ora, dalla memoria di tutti. Fu carissimo al Pascoli e del Pascoli ebbe quel certo tono d'indulgenza sociale e di oscura palingenesi che ben si intona a quel fervore socialistico dei primi anni del secolo».
 
 


Opere poetiche

 

"La tenue accolta", Sandron, Milano 1907.
"La placida fonte", Zanichelli, Bologna 1907.
"La via che attende", Reber, Palermo 1908.
"Nova anima umana", Bemporad, Firenze 1910.
"L'eterno dimane", Treves, Milano 1912.
 

 
Presenze in antologie
 

"Poeti simbolisti e liberty in Italia", a cura di Glauco Viazzi e Vanni Scheiwiller, Scheiwiller, Milano 1967-1972 (vol. 2, pp. 157-160).
"Sicilia, poesia dei mille anni", a cura di Aldo Gerbino, Sciascia, Caltanissetta-Roma 2001 (pp. 369-371).

 
 

Testi

 
TRAMONTO ESTIVO

In unico afoso bagliore
Dileguano il mare ed il cielo:

L'immota caldura agli scogli
Addensa un fantastico velo...

Coll'ansia d'un fresco riposo,

Da lungi, al marino villaggio,
Accese due vele latine
Affannano un tardo viaggio.


Com'esse le nostre esistenze
Vagaro disperse in quest'ore:...
S'accostano, a un tratto, sfinite,
Di baci anelanti e d'amore...

E come le vele latine
Ci attira un pacato miraggio:
Avremo incantato riposo,
Stanotte, nel fresco villaggio.


(Da "La placida fonte")

domenica 13 novembre 2011

Racconto della stazione

Mi ritrovai alla stazione per un viaggio del quale io non sapevo nulla. Rimasi meravigliato quando vidi arrivare un treno di color giallo. Si fermò ed io entrai. Sbigottito guardai i passeggeri rendendomi subito conto che erano dei fantocci. Cominciai ad aver paura, mi chiedevo dove mai fossi finito quando il treno imboccò una galleria e rimasi al buio poiché il vagone in cui mi trovavo non aveva luce. Furono minuti e minuti d'angoscia, poi il tunnel terminò e fui abbagliato da una luce immensa. Mi pareva di entrare nel sole, tanto era il calore che m'invadeva; poi mi sentii carezzare il volto e udii una soave voce che disse: «Finalmente sei arrivato, da tanto ti attendevamo...»

sabato 12 novembre 2011

Racconto del laureato e del politico

E il laureato non riusciva a battere un chiodo. Allora, giunto ad una disperazione non più sostenibile, decise, contro la sua dignità, di andare a chiedere aiuto ad un politico. Dopo numerose richieste e interminabili attese riuscì ad essere ricevuto da un politico. Quando fu faccia a faccia con lui gli chiese, senza minimi indugi, un lavoro; al che il politico gli rispose:
«Vuoi un lavoro?, so che possiedi un titolo di studio importante, ma ciò che ti posso offrire non è certo adeguato a quello a cui probabilmente ambisci; però, se hai veramente bisogno di lavorare, allora puoi fare lo spazzino».
Il laureato, naturalmente, non aveva nei suoi progetti e nei suoi sogni quello di diventare uno spazzino e disse:
«Io la ringrazio, ma avrei preferito qualcosa di più adatto a me, non è possibile?»
E il politico:
«È possibile, ma trattasi di un posto da precario, con contratto a termine. Ogni anno questo scadrà, ma, se lei sarà meritevole, con molta probabilità le sarà rinnovato, e potrà andare avanti così per molti anni».
Disse allora il laureato:
«Ma io ho già quarant'anni, non posso permettermi di lavorare in questo modo!».
Gli replicò il politico:
«Caro signore, lei è incontentabile ed anche pretenzioso, io le ho offerto già due ottime possibilità e lei me le ha rifiutate. Sa cosa le dico? se ha veramente bisogno di lavorare le conviene accettare queste mie proposte, altrimenti se la sbrighi da solo. Arrivederci.».

giovedì 10 novembre 2011

Racconto dell'anima

Quel giorno entrai in un antico palazzo e salii le scale fino al settimo piano, dove trovai una porta sola, era quello dunque l'appartamento che cercavo, allora suonai il campanello e attesi, poco dopo sentii una voce stridula chiedere:
«Chi è?»
«Sono io» risposi,
e lei: «Io chi?»
pronunciai allora il mio nome e subitamente udii la persona di dietro alla porta togliere il catenaccio, poi la porta fu aperta e mi trovai davanti una vecchia signora dal volto rugoso e vestita di nero; mi sorrise dicendo:
«Prego, entri pure».
«Permesso?» io dissi e mi feci avanti, mi accorsi allora che c'era un salone semibuio, con una finestra che, chiusa, faceva trapelare, grazie ad una persiana rotta, un filo di luce.
Mi guardai intorno e vidi soltanto mobili vecchi, sentivo anche un forte odore di muffa e iniziai ad avere voglia di andarmene.
«Lo vuole un caffè?» mi chiese l'anziana signora
«No, grazie» risposi «ho fretta perchè devo fare molte altre cose...»
Allora lei disse: «Le porto subito quella cosa»
e si diresse verso un'altra stanza in fondo al salone, aprì la porta ed entrò, dopo pochi secondi tornò e in una mano teneva una lettera.
«Tenga» disse «questa è per lei»
«Grazie» le dissi, pur non sapendo che lettera mai fosse.
Salutai ed uscii da quel tristo tugurio, scesi le scale velocemente e mi sentii molto sollevato.
Camminando per la strada ancora pensavo alla vecchia, all'interno di quell'appartamento e provavo tristezza, desolazione, squallore.
Poi mi ricordai della lettera che nel frattempo avevo riposto nella tasca del soprabito. La aprii e lessi quello che vi era scritto, diceva:
«Caro Leonardo, tu oggi hai visitato la tua anima».