Io e Maria, questa mattina che marzo finalmente ci offre un sole caldo, siamo usciti e ci siamo addentrati in una strada di campagna. Camminavamo placidi e felici, guardando intorno a noi le piante rifiorire, i prati più verdi del solito, gli animali e le poche persone che incontravamo lungo il nostro cammino senza una meta. Non pensavo fosse tanto bello camminare spensierati, in un bel giorno di marzo, quando la primavera fa capolino. In me, oggi, improvvisamente sono rinati tanti pensieri meravigliosi, che si erano nascosti dentro la mia mente (chissà dove!); ho parlato con Maria di noi, dei bei ricordi che ci accomunano, di questa giornata della nostra vita che, probabilmente, non dimenticheremo mai più. Lei mi ha sorriso, voltandosi dalla mia parte mentre il sole illuminava il suo bel viso, e mi ha detto “sì”.
di Alessandro Poerio (1802-1848)
Da le nubi feconde
Primavera giù piove e rugiadosa
Da la terra riesce,
Sovra l’acque si posa,
All’aure fuggitive
Con l’alito si mesce,
Si trascolora di volubil luce,
E in ogni petto vive.
Eppur, mentre ogni petto
Ne bee tanto diletto,
Una mestizia trepida e segreta
Profondamente induce;
Qual giovin donna e lieta
Che, mentre t’empie di dolcezza il core,
Spira l’affanno donde nasce amore.
Per questa terra d’ubertà felice,
Che facile risponde
All’eterea vezzosa allettatrice,
Mio sguardo erra e soggiorna;
Ma il pensier se ne vola
Assai lungi e ritorna
Ignudo e disïoso alla parola.
Forte m’invoglio ove riposta valle
Giace, quivi gittar le stanche membra.
La chiusa solitudine del loco
Riposo antico e mia pace mi sembra,
A cui non venni per girar di calle,
Ma come augello ad inaccesso nido.
Perché sì pieno error dura sì poco?
Del mondo ch’io lasciai dietro le spalle
Pur mi raggiunge il grido.
E in te, riso de l’anno, in te possente
Ebbrezza di Natura, eterne vie
Di futuro dolor trova la mente.
Come fuor de la notte il sonno balza,
E rende al sol le cose
Cui già la nova tenebria minaccia,
Tale dal verno primavera, ed alza
La bellissima faccia,
E fa intorno fiorir le piante e l’erbe;
Vivaci, inconsapevoli di morte,
Brevemente superbe.
(Da "Poesie", Carabba, Lanciano 1917)
PRIMAVERA
di Giovanni Prati (1814-1884)
Primavera non vien fuor che una volta
A fiorir l'anno: e quando
Dal canestro versò l'ultima rosa,
La bella Giovinetta in sé raccolta
Parte da noi, lasciando
Un soave ricordo in ogni cosa.
Delle rugiade il pianto
Resta all'alba: alla siepe un fil d'odore:
A qualche gelso un canto
Di solingo augelletto:
E resta all'uman petto
Una malinconia che sembra amore.
Poi s'imbionda la spica
Al povero colono:
Sotto i cocenti lampi
Di Febo s'affatica
Il falciator pe' campi:
Di plaustri le callaie
Stridono: e, misurato alle promesse,
Ne' portici e per l'aie
Splende l'or della messe.
E tutto questo è dono
Dell'olimpica Figlia,
Che va pellegrinando
Sotto le terre; e non so come o quando
Dolcemente scompiglia
I piccioletti germi e li conduce
Fuor nella rosea luce.
Indi s'avanza il dio
Che aggioga al carro i pardi:
E fiamme dagli sguardi
Lancian Polinnia e Clio,
Mentre il sacro licor ferve e s'affina
Nell'anfora divina,
E coi corimbi in testa
Menan le Madri sul Pangèo la festa.
Poi gialliscon le foglie
E cadono: s'accampa
Di fuor la buffa: e nelle interne soglie,
Mentre luce la vampa
Sui vasti focolari,
Novellando si va di cose arcane.
Ha già varcato i mari
La rondinella: senza voi rimane
il pecchietto alle siepi e senza grido
La cingallegra al nido:
Con suo mugolo roco
S'aggomitola al foco
Il can sull'ora bruna
O all'uscio, per entrar, raspa e si lagna;
Fiori di gel sui vetri
Ricama il verno: e gli alberi alla luna
Paiono bianchi spetri
Per l'immensa campagna.
Ohimè dagli occhi miei
Per clivo per riviera
Ove fuggita sei
Fanciulla Primavera?
Come attesi l'amante al tempo verde
Attendo io te: né perde,
Benché tu mi sia tolta,
La sua speranza il cor. Più d'una volta,
È ver, tu, giovinetta
Primavera, non vieni a fiorir l'anno:
Ma quando se ne vanno
L'ultime nevi e spunta
La prima violetta
Cantan tutte le terre: «È giunta, è giunta
La Fanciulla gioconda!»
E il riso e il canto abbonda
Per l'acque immense e per gl'immensi cieli,
E in radiosi veli
Sovra il Saturnio altare
Sin la tacita e grande Iside appare.
O Primavera, eterna
Per l'arcana natura
E sì breve per noi, chi ti governa
il virgineo pensier? chi prende in cura
Le tue sembianze belle?
Da qual poter tu mossa
Vieni beata e vai? Forse tu vivi
Al di là delle stelle,
Al di là della fossa
E in quel campo fiorito
A te ci attendi privi
Di fastidio e dolor schiatta immortale?
Che in verità non vale
La poca ora di qua tanto infinito
Delirar di dottrine e di speranze.
E queste ambigue stanze
Che per antico danno
Abitiam colla Morte, un dì saranno
Trasfigurate in una
Primavera senz'ombra e mutamento,
Ove né sol, né luna
Né mar d'acque, né vento
Né nulla agiterà nostro intelletto,
Tranne il proprio diletto
D'amar senza confine.
Primavere divine,
Io vi sogno sovente: e il sognar mio
Fa che talor né invano
Son primavera anch'io:
E con gorgheggio arcano
Qui nella mente il rosignol mi geme,
Qui nella mente mi tremola il fiore,
E una fresc'onda preme
E una fresc'aura il core;
E a quanto ascolto e miro
Di grande e di gentile
Con infinita voluttà sospiro
Come a un eterno Aprile.
(Da "Iside", Tipografia del Senato, Roma 1878)
SPUNTA IL MATTINO E L'ALBA È SCOLORATA
di Igino Ugo Tarchetti (1839-1869)
Spunta il mattino e l'alba e scolorata,
Sul salice novello
Il passero dall'ale
Si scote indolenzito la brinata,
Tace la valle e tacciono gli steli,
Fischiano i venti e le recenti gemme
Stillan di pioggia al ritornar de'geli:
E intanto nel cespuglio e nel roveto
Un mesto fior si schiude,
Si schiude una viola.
La viola bruna — il fior di sepolcreto.
Oh che sì mesta fossi
Nel libro di lassù scritto non era,
O mattin di natura, o primavera!
Del quinto lustro appena
Dolorando così volo su l'ale,
E una cura profonda,
E un avido desire
Smanioso della tomba il cor mi assale.
Delle deserte stanze
Apro le imposte e miro
La soffrente natura,
E nell'appeso speglio,
Le disfatte sembianze,
Che il gelo del dolor strusse repente.
Pur gioventù mi arride e in ciel non eri
Certo così segnata
Di precoce vecchiezza,
O mattin della vita, o giovinezza!
Qual fato dunque, qual terribil fato
Ha le stabili leggi
Di natura mutato?
Stille di pioggia e gemme disseccate,
Poveri fior recisi,
Vergini volti e guancie giovinette
Di lacrime solcate...
Tale il mondo affatica e mi assecura
Di rapida rovina
Un'arcana sventura;
Né a te fu dato, a te, stagion novella,
D'intatti fiori ornarti;
Né a te di gioie assaporar l'ebbrezza,
O mattin della vita o giovinezza!
(Da "Disjecta", Zanichelli, Bologna 1879)
PRIMAVERA
di Arturo Graf (1848-1913)
Torna l’aprile e si rinnova il mondo,
E tutta un riso la natura appare:
De’ primi fiori inghirlandate, o care
Fanciulle, il crine inanellato e biondo.
Torna l’aprile ed in leggiadre gare
Apre natura il suo spirto profondo:
Sciogliete, o care vergini, a giocondo
Inno le voci armoniose e chiare.
Esultate, esultate al dolce orezzo.
Ché a voi s’addice e a vostra età fiorita,
Obblivïosa di una certa sorte:
Non a me, cui dà noja e fa ribrezzo
Questo rigoglio di novella vita
Intesa solo a preparar la morte.
(Da "Medusa", Loescher, Torino 1880)
VERE NOVO
di Corrado Ricci (1858-1934)
Tornò la primavera — anche a la gronda
del tetto mio la rondine è tornata,
pei tramiti dei monti sprigionata
corre a le valli spumeggiando l'onda.
Tornò la primavera ed ogni sponda
d'erbe e di lieti fior s'è già adornata,
come il sorriso de la donna amata
di gioia un'aura mite il cor c'innonda.
Fin da le tombe sconsolate e sole
salutano gli estinti il nuovo aprile...
sono i saluti loro erbe e viole;
e al sorriso del sole, a l' infinita
gioia de la stagion primaverile
nel mio povero cor torna la vita!
(Da "I miei canti", Zanichelli, Bologna 1880)
PRIMAVERA RITORNA
di Paolo Emilio Castagnola (1825-1898)
Primavera ritorna. A la campagna
I nuovi fiorellini in su lo stelo
Semidischiusi olezzano; amorosa
De la rugiada, l'erba ecco germoglia,
E i prati ammanta e le colline; i sassi
Ricopre il musco; su 'l nodoso tronco
Inaridito dell'antica querce
S'inerpica la vite e rigogliosa
Circonda e avvinghia l'arbore cadente;
S'intrecciano fra loro i nuovi rami
Onde è più densa la foresta, e l'ombra
Abita sempre sotto le frondose
Volte, che un soffio sussurrando muove.
Primavera ritorna. A l'armonia
Che si spande ne' campi, a la serena
Aria che scherza in fra le trecce sciolte
De le vezzose forosette e increspa
Lo specchio, ov'elle a rimirarsi stanno,
E al suon de le zampogne e al vario grido
Melodioso de' liberi augelli
La più soave voluttà s'infonde
In tutto quanto ha vita. Primavera
Coronata ritorna. Al suon dell'Ave
La villanella dal vivace sguardo
E dai bruni capei siede sul margo
D'una fontana, e il fascio ond'ella è carca
Toglie dal capo, e respira, e fa il segno
Di santa croce, e resta. E poi d'intorno
A un arbore centenne a intrecciar danze
Va con l'altre compagne al poco e incerto
Lume, onde l'aere a vespro anco rifulge.
Poi, quando l'astro de la notte imprende
il placido viaggio all'orizzonte,
rimoto al bosco l'usignolo canta
il lamento d'amore, e il garzoncello
Note anch'egli d'amor tragge al liuto.
Primavera, ecco, leggiadra ridente,
La terra e il ciel ritorna ad abbellire!
O arcana possa di natura! o degna
Opra d'Iddio sparger benigno e largo
Di tante viste lusinghiere e adorne
Questo che è pure esiglio! e dar che umile
Pianta non sia, né vermicciuol, né bianco
Lapillo e nero, né piuma o vapore,
Che nel mirabil tutto, in così varia
Catena delle cose interminata,
Non ripercuota in sé raggio di bello.
(Da "Poesie", Loescher, Roma-Torino-Firenze 1882)
SOGNO D’UNA NOTTE DI PRIMAVERA
di Gabriele D'Annunzio (1863-1938)
Tu discendi con pompa orientale
giù pe’ i lucidi gradi; ed una schiera
di femmine ti segue, per la nera
scala raggiando la beltà nivale.
Verso la terra, in atto di preghiera,
tu protendi le braccia; ed a ’l segnale
da le bocche mulièbri agile sale
il cantico a la nuova primavera.
Si muovono con lento ondeggiamento
le teste a ’l ritmo, e su per l’aria aperta
in lontananza il pio cantico spira.
Odesi, poi che il gran clamore è spento,
la lunga scala d’ebano, coperta
di femmine, vibrar come una lira.
(Da "Isaotta Guttadauro ed altre poesie, La Tribuna, Roma 1886)
PRIMO VERE
di Giosuè Carducci (1835-1907)
Ecco: di braccio al pigro verno sciogliesi
ed ancor trema nuda al rigid'aere
la primavera: il sol tra le sue lacrime
limpido brilla, o Lalage.
Da lor culle di neve i fior si svegliano
e curïosi al ciel gli occhietti levano:
il quelli sguardi vagola una tremula
ombra di sogno, o Lalage.
Nel sonno de l'inverno sotto il candido
lenzuolo de la neve i fior sognarono;
sognaron l'albe roride ed i tepidi
soli e il tuo viso, o Lalage.
Ne l'addormito spirito che sognano
i miei pensieri? A tua bellezza candida
perché mesta sorride tra le lacrime
la primavera, o Lalage?
(Da "Terze odi barbare", Zanichelli, Bologna 1889)
A L'ARRIVO DE LA PRIMAVERA
di Girolamo Ragusa Moleti (1851-1917)
Poi che la riva sacrò la reduce
Iddia d'un' orma, sentir l'imperio
Del Nume gentile le siepi,
E commossi già spuntano i fiori
Luccican l'acque fra il verde, cerulo
Sorride il cielo da l'alto e mandano
Gli augelli festanti il saluto
A la Dea che invocata ritorna.
Passano i bovi per gli alti pascoli
Lenti brucando; senton ne l'umide
Gramigne i sapori dei primi
Succhi, e leccan le grosse gengive.
Dal monte al piano discende un alito
Caldo di vita: lo sente e copresi
Di verde ogni forra; sui nidi
Provan l'ali i più giovani augelli.
Odo i nitriti gai de le libere
Cavalle al piano scorrenti; destansi
Già gli echi a canzoni giulive,
Ruba il vento profumi ove passa.
Solo un gigante cacto dei zefiri,
Che l'erba nova muovon, non curasi;
Coperto di spine non sente
De la giovine Iddia la presenza.
Le farfallucce, passando, sparlano
II mostro; i gigli più bianchi, il popolo
De l'api, i pavoni, gli augelli,
Le danzanti libellule, i rivi:
«Perchè non ami? perchè, gli dicono,
«Pur tra le fitte spine e gli aculei
«Un fiore non dai? Primavera
«Regna ovunque: gentile diventa».
Ode le voci de le libellule,
De le farfalle che sghembe volano,
Ed ode le voci dei fiori.
Non risponde, ma aspetta il bel cacto.
Aspetta un'altra Dea meno gelida
Il bel gigante; non egli è facile;
Ei mette assai tempo a fiorire,
E non ama che solo una volta.
(Da "Intermezzo barbaro", Zanichelli, Bologna 1891)
LA MUSICA SONORA
di Domenico Oliva (1860-1917)
La musica sonora
Della piova notturna
Scoppia traverso le foglie ch'esultano:
Spesso e profondo è il popolo di foglie.
Questa piova notturna
Ha un ritmo carezzevole
(Spesso e profondo è il popolo di foglie)
E al cor sen viene la canzon sonora.
È primavera: musica
Nell'aria, nelle foglie,
Nell'anime! Ed in te canzon sonora
Vaga si fonde fantasia notturna.
Oh fantasia di foglie,
Oh fantasia sonora,
Cosa divina, profonda, notturna!
Aman le donne ed i poeti sognano!
Spento il lume, in notturna
Precipitati tenebra,
Sognare e amare! Musica di foglie
I nostri baci accompagni sonora:
E dal popol di foglie
Profondo e spesso vengano
Saluti, inviti, sorrisi, sonora
E volitante pleiade notturna.
Piova, piova notturna,
Piova, piova, sonora;
Ridi, piangi, sospira, ilare e mistica!
Spesso e profondo è il popolo di foglie.
(Da "Il ritorno", Galli di Chiesa e Guindani, Milano 1895)