DIALOGO DI GIOVEDÌ
GRASSO
di Tito Marrone (1882-1967)
- Marchesa,
permettete?
Forse è incomoda
l'ora...
- Ma come? Siete
voi, caro abate?
Coraggio: avanti.
- Mi perdonate,
se mi presento senza
parrucca e senza
guanti?
- Oh, confidiamo
ancora
nella vostra
clemenza!
Ma venite in cattivo
punto. - In cattivo punto?
- Prendetevi una
sedia.
- Grazie. La cerco...
- ...senza trovarla.
Quel maledettissimo
padron di casa è un
pezzo che gioca la commedia
di lasciarmi così. -
Rimango in piedi,
dal mattino alla
sera, dalla sera al mattino,
adorator perpetuo
della vostra bellezza!
- Voi siete la fenice
degli abati galanti
- Per carità,
marchesa:
senza la mia parrucca
e senza i guanti...
- Oh, non è nulla! Io
stessa
sono fuori di me,
caro abate, perché...
Ma, prima:
vi ricordate l'abito
pompadour, che di
Francia
mi recò mio marito
centotrent'anni fa,
che indossai l'ultima
volta al ballo
dogale? - Mi ricordo
che quella sera volli
baciarvi sulla guancia
(tanto eravate
bella!)
e fui percosso dal
ventaglino di madreperla.
- Ricordate anche
troppo.
Or quella veste e
quel ventaglio miniato
quando per economia
venni ad abitar qui,
li lasciai nella mia
dimora, alla Ca'
d'oro,
chiusi dentro un
armadio intarsiato,
accanto a' bei
gioielli
lasciatimi in eredità
dai Loredano...
Poco fa, prima
che voi foste venuto,
colpita dallo strano
rumore della via,
schiudo la gelosia,
mi affaccio... e vedo
una maschera a
braccetto
d'un abatino buffo e
svenevole,
vestita con la bella
mia veste pompadour!
- Marchesa,
l'avventura
non è molto piacevole;
ma se vi dicessi che
quell'abatino
portava la mia bella
parrucca incipriata?
- Davvero? - Certo.
La riconobbi
quando mi urtò,
passandomi vicino
con la sua goffa dama
imbellettata...
Oggi le maschere
vanno a spasso:
mi dicono che sia
giovedì grasso.
I vivi si divertono,
e i morti si dan pace.
- Abate mio... -
Marchesa?
- Non m'offrite una
presa
del vostro buon
tabacco d'un tempo? - Mi dispiace,
ma ho dato via
la tabacchiera.
Faccio economia...
(Da «L'Italia
moderna», aprile 1905)
CARNEVALE IN MONTAGNA
di Luigi Grilli (1858-1939)
Qua su non manda il
pazzo carnevale
le sue voci di
chiasso e d'allegria;
non echeggian qua su
fulgide sale
di lieti canti e
suoni all'armonia.
Tutto è silenzio, e
nevica. Sull' ale
io migro intanto
della fantasia
verso altri luoghi; e
impreco a questa uguale
vita di tedio e di
malinconia.
Picchiano forte all'
uscio. Apro. Oh gradita
sorpresa! Alzando le
manine a festa,
ingenua sulla soglia
ed impalata,
si presenta la mia
piccola Anita
con il cappello della
madre in testa:
al babbo viene a far
la mascherata.
(Da "Lauri e
mirti", Giusti, Livorno 1908)
IL VEGLIONE
di Vittorio Emanuele
Bravetta (1889-1965)
No: non vado al
veglione, amici — basta
a me la veglia che il
pensier m'impone;
eterna veglia che il
mio cuore guasta
e che, stanotte,
diverrà veglione.
Ecco: già la
Quaresima sovrasta
a l'agonia del
Carneval buffone,
che ne l'ultima notte
il viso impasta
di farina e di gioia
a le persone.
Ecco, e la veglia mia
veglion diventa:
a contendersi il
prezzo del mio cuore
mille buffoni
l'Allegria presenta;
e mentre il Carnevale
ilare muore,
scopre la faccia e
fiero il cuor m'addenta
quel che vinse e più
buffo era: il Dolore.
(Da "Odi e
canzoni", Libreria G. B. Petrini, Torino 1910)
GESTO DI CARNEVALE
di Paolo Buzzi (1874-1956)
Dove corri, o
Maschera?
Non è quella la via
del Veglione!
Dall'altra parte!
Sei giovane e snella.
Oh le caviglie divine
sulle scarpette
bianche! Una rosea,
l'altra azzurra.
Battono in tempo d'ali di farfalla.
Dove corri? Là nel
fondo
è l'abisso difeso da
un muricciuolo.
La rupe salta
quattrocento piedi sul mare.
Non odi le musiche
celeri allegre,
dall'altra parte? Non
odi le risate e gli schiamazzi
del Carnevale?
Dove corri? Chi sei,
Domino Iride?
Voglio inseguirti,
assai meglio vedere
se tu sia l'efèbo o
la donna.
Qualcosa, davanti,
t'impaccia. Tu cederai
prima del
muricciuolo. Non cedi. Sei giunta.
(Ho paura.) Ascolta
le musiche
dall'altra parte! Non
il mare che mangia la roccia!
(Si getta? Che fa?)
Si slaccia il seno.
Un vagito che sale ad
orrore.
(In gelo per sempre
l'udrò.) Bene vidi.
La Maschera ha
gittato il suo bimbo di là.
(Da "Versi
liberi", Treves, Milano 1913)
SERA DI DOMENICA IN
CARNEVALE
di Lionello Fiumi (1894-1973)
Ma questa pace bianca
!... Le strade imbiaccate di neve:
imbottite d'ombra
greve:
deserte. È sera di
domenica. Si beve
nelle osterie.
Cupo io cammino per
le cancherose vie
del sobborgo. Mi
sbruffa diaccia
la neve sulla faccia.
Il romore del mio
passo, lieve,
s'ovatta.
Passo davanti a una
taverna dalla cortina scarlatta
proietta
una zona sanguigna
che imbelletta
la neve.
Per uno sdrùcio della
cortina
intravedo, dentro, al
grasso lume
bianco
dell'acetilene,
il giallume
d'una polenta
paffuta:
un riflesso arrubina
una fiasca panciuta :
sui bruni tavolacci
lordi,
ghigne oscene
d'uomini scabri,
puttane frolle
pitturate di cinabri:
pàcchiano, trincano:
ingordi.
Escono fuori all'aria
gelida zaffate
di pingui risate,
accordi
folli e fini
di mandolini,
pizzicate
bizzarre
di chitarre.
Io passo cupo
avviluppato nella mia tristezza;
.... pizzicate
bizzarre
di chitarre....
e nell'anima
s'aggruma l'amarezza.
Perchè non posso
anch'io essere un bruto
come loro? Loro
godono! Avvinghiato dal pensiero, io. Muto.
Ah! esser nato di
plebaglia come loro! e non pensare !
e non cariare i nervi
sui volumi ! e non pensare!
e non queste finezze
amare
di sentimento!
O almen poter, quando
lo strazio è più violento,
bere! soffocarlo, il
pensiero, nel rosso velluto
dell'ebrezza!
Invece? Cammino colla
mente lucidissima; e mi straccia
l'anima, il dolore!
Diaccia
mi sbruffa la neve
sulla faccia.
Davanti, la strada
imbiaccata: deserta: senza una traccia.
Fanali verdigni
che profilano
intrichi ferrigni
di magri
alberi arcigni.
Qualche maschera
briaca,
con una voce ormai
opaca.
Di lontano, per
l'aria nevosa, brandelli di canti agri.
(Da
"Pòlline", Studio Editoriale Lombardo, Milano 1914)
NOTICINA DI CARNEVALE
di Giovanni Bertacchi (1869-1942)
La mascherina nera
foggiata da cupa gitana,
irruppe nella sala,
s'abbattè sui ginocchi:
girò la mano a tondo,
ridisse una favola strana,
e, sprigionando un
lampo fascinator dagli occhi,
scrisse sul pavimento
con punta di molle carbone:
- Uomo, sii pronto a
cogliere il fior dell'occasione. -
(Da "A fior di
silenzio", Baldini & Castoldi, Milano 1920)
CANZONE DEL MORTO
MASCHERATO
di Ugo Betti (1892-1953)
L'ultima notte di
carnevale
Una burla è stata
fatta.
Hanno vestito di nero
un morto,
Con una maschera
scarlatta.
Il morto faceva di no
colla testa.
Ma, tenendolo di qua
e di là,
L'hanno portato in
una gran festa.
E in una festa s'è
veduto
Un convitato
sconosciuto.
Sedeva, con le mani
sui ginocchi.
Ubriaco, pareva!
Due buchi neri aveva
per occhi,
Ma la sua bocca
rideva.
Gli versarono un
bicchiere.
Ma quel convitato non
voleva bere.
— Nel mezzo del
bicchiere trema un lume!
Bevi! Giù per le vene
buie e torte
Questo vino corre, e
canta forte!
Ogni vena diventa un
fiume!
Il cuore, come un
oscuro molino,
Macina, gonfio di
sangue e di vino. —
Ma quello sete non
aveva,
Guardava il bicchiere
splendente, e rideva.
— Su, stanotte s'ha
da bere
E da cantare in
allegria!
Donne belle come
pantere
Ti daremo per
compagnia!
Hanno collane per
guinzagli!
E sono bianche....
son come svenate
Sotto i diademi ed i
fermagli! —
Ma quel convitato
balli non voleva,
Né bicchieri, né
canti. Rideva.
— Se non vuoi
ballare, se non vuoi bere,
Con una ghirlanda ti
coroneremo
E re della baldoria
ti faremo!
Questa sonata ti pare
bizzarra?
È il demonio che tocca
la chitarra.
Ognuno ride con la
faccia smorta,
E il ballo del
demonio se lo porta!
Il morto ascoltava
quella musica matta..
E gli buttarono un
bicchiere
Sulla maschera
scarlatta....
Rideva, e gli colava
il vino bianco
A stilla a stilla,
come un pianto!
All'alba, con una
ghirlanda sulla testa,
Hanno trovato un
morto in una festa.
(Da "Il re
pensieroso", Treves, Milano 1922)
CARNEVALE DI GERTI
di Eugenio Montale (1896-1981)
Se la ruota si
impiglia nel groviglio
delle stelle filanti
ed il cavallo
s'impenna tra la
calca, se ti nevica
sui capelli e le mani
un lungo brivido
d'iridi trascorrenti
o alzano i bimbi
le flebili ocarine
che salutano
il tuo viaggio e i
lievi echi si sfaldano
giù dal ponte sul
fiume,
se si sfolla la
strada e ti conduce
in un mondo soffiato
entro una tremula
bolla d'aria e di
luce dove il sole
saluta la tua grazia
- hai ritrovato
forse la strada che
tentò un istante
il piombo fuso a
mezzanotte quando
finì l'anno
tranquillo senza spari.
Ed ora vuoi sostare
dove un filtro
fa spogli i suoni
e ne deriva i
sorridenti ed acri
fumi che ti
compongono il domani:
ora chiedi il paese
dove gli onagri
mordano quadri di
zucchero dalle tue mani
e i tozzi alberi
spuntino germogli
miracolosi al becco
dei pavoni.
(Oh , il tuo
Carnevale sarà più triste
stanotte anche del
mio, chiusa fra i doni
tu per gli assenti:
carri dalle tinte
di rosolio , fantocci
ed archibugi,
palle di gomma,
arnesi da cucina
lillipuziani:l'urna
li segnava
a ognuno dei lontani
amici l'ora
che il Gennaio si
schiuse e nel silenzio
si compì il
sortilegio. È Carnevale
o il Dicembre
s'indugia ancora? Penso
che se muovi la
lancetta al piccolo
orologio che rechi al
polso, tutto
arretrerà dentro un
disfatto prisma
babelico di forme e
di colori...)
E il natale verrà e
il giorno dell'Anno
che sfolla le caserme
e ti riporta
gli amici spersi, e
questo Carnevale
pur esso tornerà che
ora ci sfugge
tra i muri che si
fendono già. Chiedi
tu di fermare il
tempo sul paese
che attorno si
dilata? Le grandi ali
screziate ti
sfiorano, le logge
sospingono all'aperto
esili bambole
bionde, vive, le pale
dei mulini
rotano fisse sulle
pozze garrule.
Chiedi di trattenere
le campane
d'argento sopra il
borgo e il suono rauco
delle colombe? Chiedi
tu i mattini
trepidi delle tue
prode lontane?
Come tutto si fa
strano e difficile
come tutto è
impossibile , tu dici.
La tua vita è quaggiù
dove rimbombano
le ruote dei
carriaggi senza posa
e nulla torna se non
forse in questi
disguidi del
possibile. Ritorna
là fra i morti
balocchi ove è negato
pur morire; e col
tempo che ti batte
al polso e
all'esistenza ti ridona,
tra le mura pesanti
che non s'aprono
al gorgo degli umani
affaticato,
torna alla via dove
con te intristisco,
quella che mi additò
un piombo raggelato
alle mie , alle tue
sere:
torna alle primavere
che non fioriscono.
(Da "Le
occasioni", Einaudi, Torino 1939)
NOTTE DI FESTA
di Antonia Pozzi (1912-1938)
Sgrana gli occhi,
soldato alpino,
stringi più forte la
tua ragazza:
sono venute le
signorine
a ballare nella tua
osteria.
Che belle rose di
carta gialla
alle pareti di legno
d'abete.
Chi suona
con le trombette di
carnevale?
Vino.
E frittelle unte.
Una stella filante
verdolina
lega i tuoi chiodi
alle mie scarpe
d'argento.
Chi strilla
con le trombette di
carnevale?
Oggi sotto al
Cristallo
è caduta la valanga.
Non bestemmiare,
soldato alpino:
batti gli occhi
nell'aperta notte.
Le signorine ballano
ancora.
Come sono strane
queste mie spalle
nude:
chi cercava
le mascherette di
cartapesta?
io canto
un sonnolento
ritornello.
E già sui vetri
illividisce e intesse
gelate fioriture
l'alba:
segna
palpebre viola,
pallide labbra nella
stanza spenta.
In alto
tu fra i mortali
blocchi
erri solo:
scavano ferree le tue
mani rosse.
Vuota sotto una croda
nella prima
aurora
la slitta attende
coi suoi rami verdi
in croce.
(Da
"Parole", Garzanti, Milano 1989)
CARNEVALE A PRATO
di Giorgio Orelli (1921- 2013)
É questa la Domenica
Disfatta,
senza un grido nè un
volo dagli strani
squarci del cielo.
Ma le lepri
sui prati nevicati
sono corse
invisibili, restano
dell'orgia
silenziosa i discreti
disegni.
I ragazzi nascosti
nei vecchi
che hanno teste
pesanti e lievi gobbe
entrano taciturni
nelle case
dopocena; salutano
con gesti
rassegnati.
Li seguo di lontano,
mentre affondano
dolci nella neve.
(Da
"Poesie", Ed. della Meridiana, Milano 1953)
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