La domenica è sempre
stato il dì del riposo che arriva dopo una settimana di lavoro, è quindi il
giorno adatto a svagarsi, a divertirsi se possibile e a dimenticare tutti i
problemi e gli affanni, sia dei giorni precedenti che di quelli seguenti. Ma la
domenica dei poeti simbolisti (in questo caso anche e soprattutto crepuscolari)
diviene un giorno estremamente noioso, spesso piovoso e in ogni caso portatore
di tristi pensieri. La vita, proprio quando dovrebbe esprimersi con entusiasmo
ed energia, si rivela quindi inutile e insensata. I poeti che parlano delle
loro domeniche in sostanza parlano dell'esistenza senza significato, poiché gli
altri giorni della settimana sono dedicati al lavoro (spessissimo fonte di
fatica e di tribolazione) e l'unico giorno libero si rivela completamente privo
di ogni spinta vitale. Diviene in questo modo il simbolo della inutilità
dell'esistenza, la rappresentazione del vuoto e della noia.
Poesie sull'argomento
Sandro Baganzani:
"La mia triste vita" in "Arie paesane" (1920).
Sergio Corazzini:
"Sera della domenica" in "Libro per la sera della domenica"
(1906).
Lionello Fiumi:
"Sera di domenica in carnevale" in "Polline" (1914).
Corrado Govoni:
"La domenica è intenta nel comporsi", "La domenica nel
convento" e "Lo specchio della domenica" in "Armonia in
grigio et in silenzio" (1903).
Corrado Govoni:
"Le domeniche", "Le cose che fanno la domenica" e
"Domenica" in "Gli aborti" (1907).
Corrado Govoni:
"Domenica" in "Poesie elettriche" (1911).
Fausto Maria Martini,
"Domenica d'ospedale" in «Nuova Antologia», novembre-dicembre 1917.
Tito Marrone:
"Domenica d'inverno" in «Rivista di Roma», dicembre 1904.
Marino Moretti:
l'intera sezione "Le domeniche" in "Poesie scritte col
lapis" (1910).
Guido Ruberti:
"Domenica" in "Le Evocazioni" (1909).
Testi
LA DOMENICA
di Marino Moretti
Chinar la testa che
vale?
e che val nova
fermezza?
Io sento in me la
stanchezza
del giorno
domenicale;
del giorno in cui non
si ha nulla
fuorché il triste
cuore sperso,
e in cima alla mente
un verso
troppo noto che ci
culla;
del giorno in cui,
spento ogni
rumore, la casa è
vuota,
in cui la pupilla
immota
non intravede più
sogni.
Chinar la testa che
vale ?
Vive meglio col suo
niente
il buon uomo che si
sente
di non poter fare il
male,
e non sente
l'infinita
ampiezza
dell'irreale,
e vive senza ideale
come un servo della
vita!
La suora che nel
convento
perdoni e salvezze
implora
pensa alla vita
d'allora
con improvviso
sgomento;
la madre che ha lungi
il figlio
e che non sa dove
sia,
lo vede già su la via
del male, senza
giaciglio;
l'amante, pieno di
ardore,
che attese presso una
chiesa
si logorò nell'attesa
tutto il suo giovane
cuore;
ma quegli a cui fu
concesso
di scendere nel
cortile,
sente che l'autunno è
aprile,
si consola da sé
stesso;
il malato a cui è
tanto
caro l'umile fil
d'erba
ed a cui l'autunno
serba
un primaverile
incanto,
una dolcezza novella
fatta di gialle
corolle,
una soavità molle,
un'indistinta
favella...
Chinar la testa che
vale?
e che val nova
fermezza?
Io sento in me la
tristezza
del giorno
domenicale,
che declina in un
vapore
grigio nella
lontananza
senza che alcuna
speranza
doni al mio povero
cuore.
(Da "Poesie
1905-1914")
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