Pochissime
persone probabilmente oggi sanno chi era Sandro Baganzani (Verona 1889 - ivi
1950), poeta italiano che trovò il suo breve e circoscritto periodo di gloria
tra il 1920 ed il 1924, quando cioè uscirono i suoi libri più importanti: Arie
paesane (1920) e Senzanome (1924). Baganzani esordì con liriche
dialettali (si ricordano i volumi Ciari e scuri, 1907 e Da l'album de
Nina, 1911) ma fu apprezzato di più per i suoi versi in lingua che denotano
una chiara derivazione dalla poesia pascoliana e crepuscolare. Analizzando
brevemente il primo dei due volumi sopra citati, Arie paesane uscì
presso l'editore Taddei di Ferrara: è un libro di 116 pagine che
contiene 41 poesie le quali, a parte la prima (intitolata Prologo) e
l'ultima (Allegro ma non troppo), sono raggruppate nelle seguenti
sezioni: NOSTALGICHE - ALPINE - PAESANE - VAGABONDE. Leggendo la prima sezione
si nota subito la prima lirica: Impressione invernale, che descrive un
paesaggio freddo e senza vita: «Branchi di corvi / indolenti / spiegano allora
il volo stanco / come uno sgorbio nero / nella sinfonia / del bianco. / / E non
si senton cantare / campane: anima viva / non si vede camminare. / È il
villaggio della Morte?». Accorata è piena di una inconsolabile,
solitaria malinconia che il poeta e la sua moglie avvertono con intensità per
la prematura scomparsa di una figlioletta, la poesia descrive gli umori della
famiglia di Baganzani in una sera rigida d'inverno trascorsa in casa: «Tutta
la casa è piena / dell'Assente. / Hai acceso la lampada / per la bambina morta?
/ Davanti il piccolo altare / i fior di calicanto / spandono quella loro /
sottile fragranza / d'inverno di freddo». Tre rose evidenzia
riferimenti alla poesia dei crepuscolari e, soprattutto, di Corrado Govoni: «Le
monache passano / sotto i viali / con le loro bianche cornette / come uno
sbattere d'ali. / Le chiesine di campagna / parate / come per una sagra? / I
rondoni che riempiono i silenzi / dei cortili solitari? / Le stelle piccoline /
come i chicchi dei rosari? / Chi canta?». Poesia agreste è invece Ottobrina:
«I bovi dal passo sbilenco / ora vanno in cadenza / dietro un canto
vendemmiale. / Cigola il carro greve dei tini / per lo stradale. / I passeri
frullano / tra i robini selvatici».
La seconda sezione contiene alcune poesie dedicate al corpo militare degli
alpini, di cui il poeta stesso aveva fatto parte. Qui i versi migliori di
Baganzani nascono dalle rare ed estasianti sensazioni provate grazie agli
spettacoli della natura, seppure in un contesto "duro" com'è quello
della vita di trincea: «Oh incanti / di albe di sere! / siepi lontane / con
l'orto di dalie / di girasoli! / Campi ondanti di grano: / velluto di prati: /
casette tra il verde: / campane campane campane!» (da Un cantore).
La terza sezione è decisamente la più intima del libro, vi sono racchiusi versi piuttosto malinconici che riflettono le "piccole cose" presenti nel paesino dove il poeta viveva, a tal riguardo mi sembra che anche alcuni titoli delle poesie Chiesetta di Santo Nicola, Pozzetto in abbandono, Passeggiata minima, Alberghi di campagna) siano significativi; ecco alcuni versi di Mistica: «Un convento. / Un altro convento. / Un chierico violetto / si perde / dietro un portichetto oscuro. / Pende da un muro / un lampadario d'oro. / Negli stalli del coro / vi sono dei monaci / con gli occhiali / a leggere gialli messali? / o una monachina / in un orto / morto / coglie nelle aiuole / l'ultime rose, al sole?». Si differenziano dalle altre, le ultime due poesie che assumono toni fortemente drammatici e commoventi nel ricordare i lutti gravissimi che colpirono la famiglia di Baganzani, il quale perdette due figli ancora in età infantile; particolarmente commovente è la seconda, intitolata Le scarpine: «Ci ài lasciate le tue scarpine: / ànno un granellino di ghiaia / sotto la suola. / Non camminano più. / sono morte come sei tu. / Sono come due alucce / che non battono più. / Il tuo piedino nudo / che non à bisogno delle scarpine / per le stradine del paradiso!...».
L'ultima sezione di Arie paesane è composta da poesie di vario genere; alcune descrivono semplici paesaggi, altre parlano delle 'piccole cose' già rese celebri dai poeti crepuscolari circa un decennio prima: «Quante cose belle, quante / cose brutte / nel magazzino del cuore, / ammucchiate tutte come / balle di mercanzia / con sopra una etichetta uguale: / Malinconia! / Roba che non si svende» (da Vagabondari), altre ancora sono evidentemente ispirate dai versi di poeti che Baganzani sicuramente stimava come Corrado Govoni: «Tornano le vacche / dai campi, / i camini non fumano più, / sulle porte i contadini parlano / delle stagioni, / le stelle filanti cominciano a cascare, / nell'aria è un odore di unghie bruciate / di foglie passate, di stalla: / il maniscalco à chiuso bottega, / il lume rosso della farmacia / è come un occhio di magia, / e un pianoforte suona / "il Viandante" / in fondo un giardino oscuro» (da Belmonte) e Diego Valeri: «Nulla ti voglio dire: / tu non dirmi nulla. / Guardiamo in silenzio calare / la luna sul borgo che tace (da Serenità); a volte si respira un'atmosfera di tristezza e di malinconia disperata, come in Lungo l'argine: «Perchè / quando stassera sarà buio / nessuno mi accenderà il lumino: / nessuno mi si farà vicino: / io sarò più meschino / del venditore che vanta / le leccornie di zucchero: / e avrò certo paura / di vedermi guardare nello specchio / da un altro / ormai vecchio / e solo!». Chiude la raccolta Allegro ma non troppo nei cui versi iniziali Baganzani, a conferma della sua vicinanza alla poetica crepuscolare, dichiara, scrivendolo a mo' di epitaffio: «Qui giace / in pace / il cuore mattoide d'un poeta / da niente».
La terza sezione è decisamente la più intima del libro, vi sono racchiusi versi piuttosto malinconici che riflettono le "piccole cose" presenti nel paesino dove il poeta viveva, a tal riguardo mi sembra che anche alcuni titoli delle poesie Chiesetta di Santo Nicola, Pozzetto in abbandono, Passeggiata minima, Alberghi di campagna) siano significativi; ecco alcuni versi di Mistica: «Un convento. / Un altro convento. / Un chierico violetto / si perde / dietro un portichetto oscuro. / Pende da un muro / un lampadario d'oro. / Negli stalli del coro / vi sono dei monaci / con gli occhiali / a leggere gialli messali? / o una monachina / in un orto / morto / coglie nelle aiuole / l'ultime rose, al sole?». Si differenziano dalle altre, le ultime due poesie che assumono toni fortemente drammatici e commoventi nel ricordare i lutti gravissimi che colpirono la famiglia di Baganzani, il quale perdette due figli ancora in età infantile; particolarmente commovente è la seconda, intitolata Le scarpine: «Ci ài lasciate le tue scarpine: / ànno un granellino di ghiaia / sotto la suola. / Non camminano più. / sono morte come sei tu. / Sono come due alucce / che non battono più. / Il tuo piedino nudo / che non à bisogno delle scarpine / per le stradine del paradiso!...».
L'ultima sezione di Arie paesane è composta da poesie di vario genere; alcune descrivono semplici paesaggi, altre parlano delle 'piccole cose' già rese celebri dai poeti crepuscolari circa un decennio prima: «Quante cose belle, quante / cose brutte / nel magazzino del cuore, / ammucchiate tutte come / balle di mercanzia / con sopra una etichetta uguale: / Malinconia! / Roba che non si svende» (da Vagabondari), altre ancora sono evidentemente ispirate dai versi di poeti che Baganzani sicuramente stimava come Corrado Govoni: «Tornano le vacche / dai campi, / i camini non fumano più, / sulle porte i contadini parlano / delle stagioni, / le stelle filanti cominciano a cascare, / nell'aria è un odore di unghie bruciate / di foglie passate, di stalla: / il maniscalco à chiuso bottega, / il lume rosso della farmacia / è come un occhio di magia, / e un pianoforte suona / "il Viandante" / in fondo un giardino oscuro» (da Belmonte) e Diego Valeri: «Nulla ti voglio dire: / tu non dirmi nulla. / Guardiamo in silenzio calare / la luna sul borgo che tace (da Serenità); a volte si respira un'atmosfera di tristezza e di malinconia disperata, come in Lungo l'argine: «Perchè / quando stassera sarà buio / nessuno mi accenderà il lumino: / nessuno mi si farà vicino: / io sarò più meschino / del venditore che vanta / le leccornie di zucchero: / e avrò certo paura / di vedermi guardare nello specchio / da un altro / ormai vecchio / e solo!». Chiude la raccolta Allegro ma non troppo nei cui versi iniziali Baganzani, a conferma della sua vicinanza alla poetica crepuscolare, dichiara, scrivendolo a mo' di epitaffio: «Qui giace / in pace / il cuore mattoide d'un poeta / da niente».
Sono una delle pochissime persone che sanno chi era Sandro Baganzani. Delle "Arie paesane", mi piace ricordare in particolare gli "Alberghi di campagna". L'albergo, specialmente di provincia, è uno dei luoghi cari alla poesia di tono crepuscolare. Da "L'albergo della tazza d'oro" di Marino Moretti a "L'albergo del pellegrino" di Corrado Govoni, all'inquietante "L'albergo della noia" del dimenticatissimo Remo Mannoni. Oso sperare che prima o poi lei vorrà dedicare una delle sue "decine" anche a questo tema. Il suo blog è una miniera, la seguo sporadicamente ma con grande interesse. Un cordiale saluto.
RispondiEliminaSenza dubbio l'argomento dell'albergo di provincia nelle poesie dei crepuscolari e non solo è molto interessante, come d'altra parte lo sono altri argomenti che riguardano la provincia: le piccole stazioni, le chiese, i giardini, le case ecc. Spero di poterne trattare almeno alcuni in futuro. Nel frattempo la ringrazio vivamente per l'interesse dimostrato e la saluto cordialmente.
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