sabato 28 aprile 2012

"Poema paradisiaco" di Gabriele D'Annunzio

"Poema paradisiaco" è il titolo di una raccolta poetica di Gabriele D'Annunzio uscita nel 1893 in un volume che comprendeva anche le "Odi navali" altra raccolta di liriche (meno importanti) del poeta abruzzese. Il "Poema" è un'opera fondamentale sia per la storia poetica di D'Annunzio, sia per l'influenza che esercitò sulle future generazioni di poeti italiani, in particolare per i crepuscolari che molto attinsero dai versi dello scrittore pescarese presenti in questo libro. Ma anche il D'Annunzio nello scrivere le poesie del "Poema" subì l'influsso di altri poeti, in special modo dei poeti simbolisti e decadenti francesi (Verlaine, Maeterlinck, Jammes, Samain), anch'essi così importanti per lo sviluppo della poetica crepuscolare.
"Poema paradisiaco" è composto da 54 poesie suddivise in 5 sezioni (esclusa la prima poesia intitolata "Alla nutrice"), quest'ultime sono: Prologo - Hortus Conclusus - Hortus Larvarum - Hortulus Animae - Epilogo. Una bella ristampa curata da Annamaria Andreoli del suddetto volume è stata pubblicata dalla Mondadori nel 1995 (vedi foto). Qui sotto riporto uno degli esempi più significativi della raccolta, la poesia intitolata "Le tristezze ignote", che molto risente delle atmosfere rarefatte e malinconiche del poeta franco-belga Maurice Maeterlinck.

 

LE TRISTEZZE IGNOTE


E sia pace al defunto.
Ma che soave odore!
Autunno, già nei vasi
fioriscon le viole!
Ed ecco, al fine, il sole
sul davanzale è giunto.
Tra le mie dita, quasi
ha il liquido tepore
del latte appena munto.

Sia pace a chi sofferse.
Oggi tutto è pacato.
Io non son triste, quasi.
Penso a tristezze ignote,
d'anime assai remote,
ne la vita disperse.
Io non son triste, quasi.
Oggi tutto è pacato.
Sia pace a chi sofferse.

Le suore, a le finestre
del convento, sul fiume
guardan passar le barche:
guardano mute e sole,
mute e digiune, al sole.
Giungono a le finestre
(come tarde le barche!)
un odor di bitume,
un odore silvestre.

I prigionieri assale
un'ansia: falci lente
falciano l'erba nuova,
a la prigione intorno.
Gli infermi (inclina il giorno),
pallidi sul guanciale,
ascoltano la piova
battere dolcemente
l'orto de l'ospedale.

( Da "Poema Paradisiaco", Mondadori, Milano 1995, pp. 91-92, sez. "Hortulus Animae" )


mercoledì 25 aprile 2012

Da "La Storia" di Elsa Morante

Negli ultimi mesi dell'occupazione tedesca, Roma prese l'aspetto di certe metropoli indiane dove solo gli avvoltoi si nutrono a sazietà e non esiste nessun censimento dei vivi e dei morti. Una moltitudine di sbandati e di mendicanti, cacciati dai loro paesi distrutti, bivaccava sui gradini delle chiese e sotto i palazzi del papa; e nei grandi parchi pubblici pascolavano pecore e vacche denutrite, sfuggite alle bombe e alle razzie delle campagne. Nonostante la dichiarazione di città aperta, le truppe tedesche si accampavano intorno all'abitato, correndo le vie consolari col fracasso dei loro carriaggi; e la nube disastrosa dei bombardamenti, che attraversava di continuo tutto il territorio provinciale, calava sulla città un tendone di pestilenza e di terremoto.

(Da "La Storia" di Elsa Morante, Einaudi, Torino 1974, p. 324)

Da "Il partigiano Johnny" di Beppe Fenoglio

Johnny era in assoluta vacuità mentale, praticamente sordo, tutto stemperato in quell’alta temperatura e nell’aroma di quella ricca minestra. "Stanno facendovi cascare come passeri dal ramo. E tu, Johnny, sei l’ultimo passero su questi nostri rami, non è vero? Tu stesso ammetti d’aver avuto fortuna sino ad oggi ma la fortuna si consuma, e sarà certamente consumata avanti il 31 gennaio. Perché dunque stare ancora in giro, in divisa e con le armi, digiunando e battendo i denti? Sembrerebbe che tu lo voglia, che tu ti ci prepari a quel loro colpo di caccia ". Giunse compostamente le sue potenti mani. "Da’ retta a me, Johnny. La tua parte l’hai fatta e la tua coscienza è senz’altro a posto. Dunque smetti tutto e scendi in pianura. Non per consegnarti, Dio vieti, e poi è troppo tardi. Ma scendi e un ragazzo come te avrà certamente parenti e amici che lo nascondano. Un nascondiglio dove stare fino a guerra finita, soltanto mangiare e dormire e godersi il calduccio e... - ridacchiò e abbassò la voce: - e ricevere la visita ogni tanto di qualche tua amica di fiducia, l’unica a conoscere il tuo indirizzo". [...]
"Mi sono impegnato a dir di no fino in fondo, e questa sarebbe una maniera di dir sì" "No che non lo è!" -gridò il mugnaio. "Lo è, lo è una maniera di dir di sì".
Un vento polare dai rittani di sinistra spazzava la sua strada, obbligandolo a resistere con ogni sua forza per non essere rovesciato nel fosso a destra. Tutto, anche la morsa del freddo, la furia del vento e la voragine della notte, tutto concorse ad affondarlo in un sonoro orgoglio. - Io sono il passero che non cascherà mai. Io sono quell’unico passero!

(Da "Il partigiano Johnny" di Beppe Fenoglio, Einaudi, Torino 1994, pp. 459-460)

Perché

Questi versi li ho scritti qualche decennio fa, quando ancora provavo una rabbia interiore, e quando pensavo fosse possibile fare qualcosa per mutare determinati comportamenti che m'infastidivano alquanto (ora non più), e che erano particolarmente diffusi nel nostro paese. Oggi, tali comportamenti esistono ancora, magari in forme diverse, ma nel frattempo è decisamente cambiato il mio modo di vederle e di interpretarle. Insomma, oggi non gli attribuisco più molta importanza, e poi ritengo sia impossibile cambiare certi eventi e certe tendenze riprovevoli. Mi contento di prendere atto che esistono (ed esisteranno sempre) dei personaggi spiacevoli, ma mi rendo conto che, alla stessa maniera, ne esistono altri - e sono la maggioranza - del tutto diversi. Sono quest'ultimi che contano per me, e ritengo sia il caso d'ignorare la parte "negativa" dell'umanità, tenendo in considerazione soltanto i "buoni".




Perché esistono ancora coloro che hanno causato una guerra senza pari nella storia dell'Europa,
perché non vengano dimenticati coloro che hanno perso la vita per liberare l'Italia dai criminali,
perché la storia non ha insegnato nulla,
perché molti hanno la memoria corta,
perché razzismo e ignoranza la fanno da padroni,
perché chi ha il potere colpisce sempre i poveri e i deboli,
perché esiste lo sfruttato ed esiste lo sfruttatore,
perché i ricchi sono sempre più ricchi,
perché i poveri sono sempre più poveri,
perché c'era il fascismo,
perché c'è la nostalgia del fascismo,
perché chi sa che diavolo ci sarà in futuro,
perché non c'è giustizia,
perché non c'è libertà,
perché non c'è eguaglianza,
perché non c'è solidarietà,
perché ascolti frasi come: "Quando c'era lui...",
perché c'è sempre il pericolo del ritorno di una dittatura,
perché tutti i morti, tutta la devastazione e tutta la miseria non sono bastati,
perché i prepotenti, gli ingordi e gli idioti dominano il mondo:


ancora e sempre RESISTENZA.

domenica 15 aprile 2012

Antologie: Poeti minori dell'Ottocento

"Poeti minori dell' Ottocento" è il titolo di un'antologia curata da Giuseppe Petronio e pubblicata dall'Unione Tipografico-Editrice Torinese nel 1958. Nel bel volume, di 680 pagine, si trovano poesie di soli ventuno autori: una scelta quindi molto severa è quella effettuata da Petronio, soprattutto rispetto ad opere che hanno trattato lo stesso argomento (per esempio "I poeti minori dell'Ottocento di Ettore Janni) e che hanno al loro interno un numero assai più cospicuo di nomi selezionati. La severità nasce anche dal fatto di restringere l'arco temporale dell'argomentazione, e l'inizio dell'introduzione è più che mai chiarificatore in tal senso: Petronio parla infatti di anni compresi tra il 1840 ed il 1870, asserendo che furono tre decenni ricchi di avvenimenti straordinari, tali da modificare radicalmente il volto e la vita della penisola Italiana. C'è, quindi, una relazione con la storia (e in parte con la politica) italiana del XIX secolo, nella scelta e nell'approfondimento dei temi trattati dalla poesia che in qualche modo fu condizionata o attratta anche da ciò che di importante stava accadendo in questo specifico periodo nella vita sociale dei cittadini del Bel Paese. Non sorprende allora il fatto che il primo poeta selezionato da Petronio sia Aleardo Aleardi, né che vi siano sezioni dell'antologia intitolate "Canti della patria" e "Ballate", in cui compaiono poesie di scrittori che composero versi ispirati agli aspetti più politici, popolari e tradizionalisti della poesia italiana e che ben fotografano quel preciso arco di tempo che l'opera intende mettere in luce. Coerente all'intento è anche la scelta di concludere la trattazione coi poeti della Scapigliatura: primo e importante movimento letterario nato dopo l'unità d'Italia, che diede il meglio di sé nell'ambito poetico.
Ecco, per concludere, l'elenco dei poeti presenti nell'antologia.
 






POETI MINORI DELL'OTTOCENTO

Aleardo Aleardi, Giovanni Prati, Goffredo Mameli, Alessandro Poerio, Francesco Dall'Ongaro, Luigi Carrer, Giuseppe Bertoldi, Teobaldo Ciconi, Carlo Alberto Bosi, Antonio Gazzoletti, Arnaldo Fusinato, Domenico Carbone, Luigi Mercantini, Nicola Sole, Pietro Paolo Parzanese, Ippolito Nievo, Giacomo Zanella, Emilio Praga, Iginio Tarchetti, Arrigo Boito, Giovanni Camerana.


mercoledì 11 aprile 2012

Spleen

Giorno grigio, tetro, ventoso e freddo. La tristezza m'invade e mi rende pigro, più pessimista del solito. Provo a viaggiare con la mente e vedo un viale di un quartiere periferico di una grande città, completamente deserto, col suolo zuppo di pioggia, le panchine fradice e vuote, gli alberi gocciolanti che sembra stiano piangendo per la tristezza. Il grigiore aumenta sempre più: la tetraggine ha invaso ogni cosa. Ora penso ad una stanza semioscura, dove si veglia un moribondo. Penso ad una chiesa desolata, dove c'è un Cristo crocifisso e sconsolato che malinconicamente gira la testa indietro e chiude gli occhi. Penso ad una casa diroccata, in un luogo deserto e distante, dove un uomo sta seduto sopra un muretto scalcinato con la testa bassa, e piange per la sua povertà, perché non ha più un motivo per rimanere in vita e medita il suo suicidio. Intanto comincia a piovere e l'oscurità si fa più grande. Lo scudo rugginoso si sgretola sotto i colpi tremendi del male; il Cristo, tormentato da mille dolori è quasi giunto in cima al Calvario; gli uccelli che volavano alti nel cielo, sono ormai tutti stramazzati al suolo. È giunta la Fine con il teschio fra le mani.




In questa mia prosa poetica, si parla di una giornata grigia e piovosa d’autunno. Questa atmosfera stagionale che ho voluto creare, non nasce tanto da esperienze personali, quanto da suggestioni scaturite al seguito di letture o ascolti fatti in anni già lontani. Prima di tutto, molte immagini derivano dai versi di Corrado Govoni che si trovano nella raccolta Armonia in grigio et in silenzio. Questa è la mia opera poetica preferita di gran lunga a tutte le altre dello scrittore emiliano. Ricordo che, non appena ne acquistai una riedizione, lessi le poesie presenti all’interno per intere giornate; tutt’ora, di tanto in tanto, vado a rileggerle. In minor misura, esiste qualche suggestione rintracciabile in alcuni dei testi delle prime canzoni di Francesco De Gregori (tra il 1972 ed il 1976); anche per quanto concerne queste canzoni, rammento che, ragazzo, le ascoltavo praticamente tutti i giorni, così come quelle di altri cantautori italiani come Riccardo Cocciante e Fabrizio De Andrè. Insomma lo ammetto: di veramente mio qui c’è ben poco.


lunedì 9 aprile 2012

Gli arrivi nella poesia italiana decadente e simbolista

Nella poesia decadente e simbolista italiana l'arrivo (inteso come apparizione di qualcosa o qualcuno più o meno aspettato), corrisponde molto spesso ad una svolta, un cambiamento drastico nella vita individuale o collettiva; naturalmente il mutamento più importante e definitivo è rappresentato dall'arrivo della morte, come accade in "Scalpitio" di Giovanni Pascoli, "Aziyadè" di Giuseppe Lipparini, in "Il convegno" di Nicola Moscardelli e in "Diritto d'asilo" di Mario Adobati. L'opposto si verifica in poesie come "Imminente luna" di Giovanni Tecchio, "In una villa lontana" di Diego Angeli e "L'ignota" di Ettore Moschino, dove si percepisce l'attesa di una figura femminile portatrice di eros e quindi di vitalità. Molto originale è invece, nella poesia "La visita" di Gustavo Botta, la Lussuria che si presenta al poeta come una vecchia sogghignante. Interessanti sono le due quartine che compongono "Invito" di Alessandro Giribaldi, in cui il poeta provoca il diavolo invitandolo in maniera quasi minacciosa ad entrare nella sua stanza, pena l'impossibilità, per il povero demone, di uscirne poi. Corrado Govoni, nella poesia "Gli arrivi" fa un inventario di tutte le cose (astratte o meno) che possono giungere all'uomo durante la sua esistenza. Nicola Moscardelli, infine, ne "I cavalieri del silenzio" sceglie l'atmosfera fiabesca e il mistero nella narrazione degli accadimenti che scandiscono i suoi versi.
 
 
Poesie sull'argomento
Mario Adobati: "Diritto d'asilo" in "I cipressi e le sorgenti" (1919).
Diego Angeli: "In una villa lontana" in "L'Oratorio d'Amore. 1893-1903" (1904).
Ugo Betti: "Le notti senza luna" in "Il re pensieroso" (1922).
Gustavo Botta: "Visita" in "Alcuni scritti" (1952).
Enrico Cavacchioli: "Il convito platonico" in "L'Incubo Velato" (1906).
Italo Dalmatico: "La cheta cena" in "Juvenilia" (1903).
Giacomo Gigli: "Aspettando il vento" in "Maggiolata" (1904).
Alessandro Giribaldi: "Invito" in "Canti del prigioniero e altre liriche" (1940).
Corrado Govoni: "Gli arrivi" e "Alla sposa che viene" in "Gli aborti" (1907).
Domenico Gnoli: "Arrivo triste" in "Fra terra e astri" (1903).
Giuseppe Lipparini: "Aziyadè" e "L'ospite" in "Le foglie d'alloro" (1916).
Fausto Maria Martini: "Quando venisti..." in "Poesie provinciali" (1910).
Marino Moretti: "La domenica dell'arrivo" in "Poesie scritte col lapis" (1910).
Nicola Moscardelli: "I cavalieri del silenzio" e "Il convegno" in "Abbeveratoio" (1915).
Ettore Moschino: "L'ignota" in "I Lauri" (1908).
Arturo Onofri: "Oggi non usciremo: aspetteremo il frate" in "Canti delle osai" (1909).
Aldo Palazzeschi: "Corinna Spiga" in "Poemi" (1909).
Giovanni Tecchio: "Imminente luna" in "Mysterium" (1894).
Remigio Zena: "Domino grigio" in "Olympia" (1905).
 
 
Testi
AZIYADÈ
di Giuseppe Lipparini

Troppo fredda è la stanza e troppo grande.
L'abbandonata pensa che la morte,
così, presto verrà: e su le attorte
chiome non sfioriran più le ghirlande.

Non più l'amor tanta dolcezza spande
nel suo cuore; non più lieta è la sorte.
O dimora d'Eyoub dove sì forte
ell'era, udendo le parole blande!

Ella voleva rivedere il sole,
vagare ancora un poco pe 'l giardino,
l'ultima volta prima di morire,

e ascoltar de l'amato le parole.
Ma la morte verrà, poi ch'è destino.
E s'abbandona omai tra le sue spire.

(Da "Lo specchio delle rose")