domenica 2 marzo 2025

L'infanzia in 10 poesie di 10 poeti italiani del XX secolo

 Il bambino non conosce malizia, né falsità e malevolenza: quando parla, dice ciò che sente; se sorride è perché la gioia è dentro di lui. Il bambino ha occhi limpidi, e se ti guarda con insistenza lo fa soltanto per curiosità; quando ascolta la tua voce, cerca solamente di comprendere bene cosa gli stai dicendo. Il bambino vive in una terra che non è uguale alla tua: è qualcosa di simile ad un paradiso terrestre, dove non esiste il male e tanto meno l'odio. Ma l'infanzia non dura tutta la vita, e il bambino è destinato a diventare un adolescente, quindi un ragazzo e infine un uomo. I suoi occhi e la sua anima cambieranno velocemente, e da adulto perderà tutta la purezza e tutta l'innocenza che gli apparteneva. Pure, gli rimarranno i ricordi di quel periodo favoloso e irripetibile che viene chiamato fanciullezza; penserà spesso a quei giorni meravigliosi, che gli appariranno sempre più lontani. Si chiederà, quando giungerà quasi alla fine della sua esistenza, se valga la pena vivere tanti anni inutilmente, visto che le straordinarie sensazioni provate nell'età infantile sono qualcosa d'irripetibile. 



L'INFANZIA IN 10 POESIE DI 10 POETI ITALIANI DEL XX SECOLO




FANCIULLEZZA

di Guido Cavani (1897-1967)


Io ricordo i giorni malandati,

i giorni ammalati

dietro grossi crepuscoli d'argento;

l'aria era pesa

d'umidità;


ed io avevo un sentore autunnale

d'erba nei panni

e croste di mota nei ginocchi,

avevo fatto i balocchi

con l'anima dei compagni.


Era d'oro il mio capo di bambino,

come la luna

lavata dalla pioggia,

che passava fra i boschi delle nubi.


Mia Madre chiamava dentro il buio

della casa ed io sazio

rispondevo al suo povero strazio

con gli echi.


(da "Poesie", Rebellato, Padova 1968, p. 17)





INFANZIA

di Ferdinando Cogni (1919-2007)


Ecco forse qual è la differenza

fra la vita di adesso e quella invece

che avevo da bambino. Allora tutto

mi appariva creato per l'eterno.

Ora su tutto vedo trasalire

un'ombra che m'attesta della fine.


(da "Motivi", All'Insegna del Pesce d'Oro, Milano 1957, p. 10)





LA FANCIULLEZZA

di Giuseppe Cosmi (1913-1937)


Molti già fummo amici;

ora non più.

Lungo le foci, nei tramonti,

nudi trasparimmo:

piccole costole palesi

i nostri petti,

gioco di luci

il battito del cuore.

Tingeva i rami

il rosato della sera

in cui nidificava il nostro gioco.

La caduta ci rapiva

un grido, leggeri

uccelli in fuga.

A fior d'erba

pasturammo coll'alba

le rugiade, lungo le prode

ombrose ove fiorivano

le nostre mani

come pallidi gigli.

Il tempo era senza misura:

finché, riottosi, al giogo

d'una triste sorte avvinti

cercammo ad occhi sbarrati

la fuga delle ore.

Celammo entro le brevi

vesti ricche di strappi

la nuda felicità

delle folli corse

premiate di cadute.

Ci crollarono le spiche

dell'estate sulle strette spalle

e ci punsero il collo

d'un vivo desiderio.


      11 Gennaio 1934-XII


(da "Liriche", Amazon Italia Logistica, Torrazza Piemonte 2023, pp. 26-27)





UN PO' DI FANCIULLEZZA PER TUTTI

di Luciano Folgore (Omero Vecchi, 1888-1966)


Un orso di stoffa bianca

con un lungo nastro di seta,

e un bimbo vestito di velluto rosso

che strascina il suo giuocattolo

sui marciapiedi dell'inverno dolce.


Tutti gli occhi guardano,

tutte le età dei passanti

si sporgono su questa

indifferenza dorata di bimbo,

che cammina

seguito da un piccolo tesoro di pezza.

       E nell'aria

fili di malinconia

per l'infanzia perduta

da molti anni

nei minuti più densi,

nelle spirali concentriche del pensiero

desideroso d'un vertice

che non esiste.


Ma perché tanta tristezza?

E le nostre carrozze?

e le nostre donne belle?

e i fiori le piste le giostre

gli amori tra i sogni e i crepuscoli?

Bambole,

divertimenti,

giuocattoli.

Niente altro che questo.


Dunque avanti ancora,

per sempre,

con l'indifferenza dorata

del bimbo vestito di rosso,

che si trascina l'orso di pezza

per i lunghi marciapiedi della vita.


(da "Città veloce", La Voce, Roma 1919, pp. 70-71)





INFANZIA

di Alfonso Gatto (1909-1976)


Il bambino sorpreso alla finestra

della sera tranquilla, odorava

la leggerezza tepida dei fiori

sollevati nell’aria celeste.

Inquietamente raccoglieva il volto

in un silenzio scolorito

e calmo la sua vergogna ridonava

all’impalpabile sera

assiepata dall’erbe e dai tetti.

Sognava: nella piazzetta antica

la chiesa era un piccolo chiosco

con la bandierina allegra:

alla cupola di maiolica

s’illuminavano gli scarabei

sulle lastre d’acqua verdina.

Il silenzio dell’umido erboso

acquetava le scale,

i balconcini coi tralci, le stive

dei fondaci colmi di frutta.

Così s’accendeva il fanale,

a poco a poco aggregato dall’acque,

sulla laguna invernale.

Affondavano le case

in lontananze distrutte,

sgretolate senza rumore:

trasaliva il bambino invecchiato

intirizzito all’ombrello.


Andava a trovare i suoi morti

rinchiusi in armadi sconnessi:

traboccava allegra pioggia

sul piccolo porto di legno,

ed una gioia strana

lo flagellava col vento

in un presagio del mare.


(da "Tutte le poesie", Mondadori, Milano 2005, pp. 14-15)





FANCIULLEZZA NOSTRA E DELLE COSE

di Mario Luzi (1914-2005)


Smarrivamo la traccia dei destini

né profondi volti degli uomini sconosciuti,

il frutto delle stagioni

nel soffio che dà vani colori

ai capelli delle mamme, ai fiori;

la forza d'ignote passioni

nelle voci come fonti

inaridite, la morte

vicina alle palpebre assopite.


Vibrano leggere lune nelle notti straniere

e l'azzurra profondità dei venti sussurra

un'immensa maternità

pel tutto che è vivo, è distrutto.


Oh tanta fanciullezza è nelle cose

dolorose, tanta bramosia d'una mamma forte

che in seno come un caldo latte

d'amore sprema per ognuno la morte.

Dai borghi oscuri alle porte

le mogli guardano i dolci ritorni serali

nei pendii delle vigne autunnali e un giorno

un corpo pallido

affondar nella terra il seno inadorno.


(da "Poesie ritrovate", Garzanti, Milano 2003, p. 65)





INFANZIA

di Tito Marrone (Sebastiano Amedeo Marrone, 1882-1967)


Mi dono l'infanzia. La vivo

come non era, velata

fra tele di ragno, più ferme

dei vincoli d'una prigione.

Sento un arcobaleno

dal cielo alla terra. Chi canta?

Mia madre s'indora

nel sole che nasce.


Eternità della mia vita vera,

fiammante dentro mondi

sereni, ti raggiungo.

Ora, io vivo l'infanzia.


(da "Esilio della mia vita", Edizioni «Pagine Nuove», Roma 1950, p. 145)





INFANZIA

di Arturo Onofri (1885-1928)


Intreccio d'ombre e di rami

tutta una cosa col cielo!

Tre cornacchie che hanno il nido in un pino

strillano d'allegria per così poco.

C'è un sospiro d'aria appena,

una dolce calma di sole calato,

e nel cielo liscio una stella

che ammicca a un barchetto dorato.

Ecco la navicella

che scivola a fil di cielo

portando nell'aria serena

i sogni dei bambini

che intanto stanno a cena.

Che odore d'infanzia e di favole!

Misteri che sveglia la notte

venuta a sedersi sul mucchio di breccia...

Un calabrone in ritardo

traversa il viale come una freccia

e fila via pel cancello

verso i lumi che nascono là nel paesello

tra le campane allibite di paura

per non svegliar le civette

nei cipressi affacciati alle mura.

Zitti! La notte s'è sdraiata sul prato...

Con un dito nella boccuccia di rosa

mio figlio s'è addormentato.


(da "Orchestrine. Arioso", Neri Pozza, Venezia 1959, p. 105)





INFANZIA

di Sergio Ortolani (1896-1949)


Sei tu. Dall’ombra ancora a me ti attiro,

sfioro le trecce, gli occhi avidi, grandi.

Tu ti raccogli stretta al mio sospiro;

lagrimi, perché baci io ti domandi.


E ribeviamo in noi le acute voci

dell’infanzia, le risa della veglia,

le preci, i pianti timidi e precoci,

i primi canti al cuor che si risveglia.


Così amore ci avvolge e ci raddorme;

ma quando affranto io risalisco il giorno,

mi rubo in fretta alle tue dure forme,

e ti prego l’addio, non il ritorno.


Roma 1924-Napoli 1941


(da "Poesie 1914-1948", Mondadori, Milano 1957, p. 155)





INFANZIA

di Antonia Pozzi (1912-1938)


Il mare

alle finestre

cadeva.

Onde verdi infrante

tinnivano sui vetri.

Era antica

la casa.

A piedi scalzi

tu correvi gli scogli:

ti tuffavi

per rubare le vongole gettate

dai pescatori.

A mezzogiorno

dal balcone del palazzo

una campana chiamava a riva

la tua gioia assolata

di bambino.


3 marzo 1935


(da "Parole", Garzanti, Milano 1998, p. 236)



Seymour Joseph Guy, "Who Is It?"
(da questa pagina web)



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