sabato 22 febbraio 2025

Cane randagio

 

Chinar la testa che vale?

e che val nova fermezza?

Io sento in me la tristezza

del giorno domenicale,

 

lentamente camminando

per la città sconosciuta

dove nessuno mi saluta

fuor che un cane a quando a quando.

 

nessuno pensa ch'io posso

essere il triste mendico

che chiede, invece che un tozzo

di pane, un palpito amico;

 

nessuno sa ch'io mi lagno

e vago senza perché,

nessuno fuorché

tu, mio raccolto compagno.

 

Tu che hai sul ciglio due buone

lacrime ancor da seccare,

tu che pur cerchi un padrone

come io cerco un focolare;

 

tu che mi segui sperando

ch'io possa darti l'avanzo

d'un malinconico pranzo

o una carezza o un comando;

 

tu che hai l'aspetto burlone

d'un tale che mi ammonì

e fosti tu il mite Leone

o fosti il molle Joli;

 

tu che avesti per amico

l'organo di Barberia

che dona al cuore mendico

un soldo di nostalgia;

 

tu che dimeni la coda

alle mie lorde calcagna

quasi ch'io fossi una cagna,

una cagnetta alla moda;

 

tu che cerchi d'annusare

le mie scarpe tratto tratto

perché vuoi lor dimandare

quanti chilometri han fatto.

 




COMMENTO

Ecco una "classica" poesia di Marino Moretti (Cesenatico 1885 - ivi 1979), ovvero del poeta crepuscolare per antonomasia. Comparve per la prima volta, col titolo La domenica dei cani randagi, nel volume di versi più famoso del poeta romagnolo: Poesie scritte col lapis (1910); qui si trovava all'interno della sezione Le domeniche, che conteneva una serie di poesie "domenicali", dove Moretti metteva in primo piano tutta una serie di atmosfere, pensieri, personaggi e situazioni che caratterizzavano la noiosa vita di provincia all'inizio del XX secolo. Col titolo e con il testo che ho riportato, la medesima poesia si trova in un altro volume intitolato Poesie scritte col lapis, pubblicato da Mondadori nel 1970; qui Cane randagio rientra nella sezione che porta lo stesso titolo del libro, il quale raccoglie i versi più significativi, rielaborati e modificati dall'autore, della prima parte dell'opera poetica di Moretti.

Per quanto riguarda il contenuto, si parla di una domenica trascorsa dal poeta annoiato e triste, vagabondando per la sua cittadina, in cerca di qualcosa e di qualcuno che non riesce a trovare; l'unico essere vivente che lo avvicina è un cane randagio, col quale l'uomo si ritrova a dialogare (un dialogo fatto di sguardi e, forse, di carezze); così, la solitudine del poeta si rispecchia con quella dello sventurato animale, e si crea una sorta di simbiosi tra i due, divenuti compagni di strada in quel giorno festivo. Difficile interpretare alcuni versi che parlano di un "mite leone", che potrebbe essere quello famigerato comparso a San Marco secondo una leggenda; oppure il "molle Joli" del verso successivo (joli, in francese significa carino, ma non mi risulta alcun personaggio storico o letterario con questo nome). In un altro verso si cita, infine, un oggetto che potremmo definire emblematico o simbolico dell'intero movimento crepuscolare: l'organo di Barberia, ovvero l'organetto a manovella molto in voga nella seconda metà del XIX secolo, usato soprattutto dai suonatori ambulanti e reso celebre prima da alcuni poeti francesi (fra i quali Paul Verlaine), e poi dai nostri crepuscolari.

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