domenica 15 novembre 2020

La poesia di Umberto Saba

 Pur pensando che è del tutto inutile riaffermarlo, comincio col dire che Umberto Saba (Trieste 1883 - Gorizia 1957) è sicuramente uno dei migliori poeti italiani del Novecento. La sua poesia è stata ed è per me fondamentale, e se dovessi utilizzare tre aggettivi per meglio evidenziarla, la definirei "onesta", "limpida" e "autentica". A proposito del primo aggettivo, chi ben conosce l'opera letteraria dello scrittore triestino, sa quanto egli stesso si preoccupasse dell'onestà del poeta: qualità fondamentale per scrivere versi che rispecchino la "vera" anima di un essere umano. Nell'arco di un quarantennio che si dipana tra la prima raccolta, uscita nel 1911, all'ultima, che risale al 1951, Saba non ha mai mutato più di tanto il suo assai coerente criterio nello scrivere versi; nel Canzoniere che cominciò a curare già nel 1921, inserì le poesie vecchie e nuove, che formano una sorta di vicenda biografica ed esistenziale. Parlando sempre del Canzoniere, penso che i migliori esiti della poesia sabiana si trovino nelle tre sezioni intitolate nell'ordine: Casa e campagna, Trieste e una donna e La serena disperazione, e che, cronologicamente, corrispondono ai versi scritti nel secondo decennio del XX secolo. Qui il poeta triestino mostra in modo ineccepibile uno stile e una padronanza di scrittura difficilmente ritrovabile in altri poeti del suo tempo, soprattutto quando parla con intenso e appassionato amore della sua città natale, o quando si lascia andare a confessioni in cui esterna un malessere che lo accompagnerà per tutta la vita, e che ben presto sarebbe sfociato in una non lieve nevrosi. Bellissime sono anche le sue ultime raccolte, in cui emerge una maggiore tendenza alla sintesi e una malinconia propria di chi sente ormai vicino il termine della sua esistenza. Molti critici tentarono più volte d'inserire Saba in correnti e scuole letterarie, sbagliando clamorosamente. La sua poesia fa storia a sé, sia prendendo come riferimento il solo panorama italiano, sia quello europeo del XX secolo. Si può però affermare con certezza che il nostro ebbe dei punti di riferimento precisi, che vanno dal Petrarca al Leopardi, non escludendo altri esempi poetici di estrema importanza, provenienti da diversi paesi europei; determinate, per la scrittura di alcuni suoi versi, fu anche la lettura di filosofi e psichiatri come Nietzsche e Freud.

Concludendo, dopo aver elencato le opere poetiche da lui pubblicate in vita, trascrivo dal volume Tutte le poesie, tre stupende liriche di Saba.

 

 

Umberto Saba in un ritratto di Vittorio Bolaffio

 

Opere poetiche

 

"Poesie", Casa Editrice Italiana, Firenze 1911.

"Coi miei occhi (Il mio secondo libro di versi)", Libreria della Voce, Firenze 1912.

"Cose leggere e vaganti", La Libreria Antica e Moderna, Trieste 1920.

"Il Canzoniere 1900-1921", La Libreria Antica e Moderna, Trieste 1921.

"Preludio e canzonette", Edizioni di «Primo Tempo», Torino 1923.

"Figure e canti", Treves, Milano 1926.

"L'Uomo", Trieste 1926.

"Preludio e fughe", Edizioni di Solaria, Firenze 1928.

"Tre poesie alla mia balia", Trieste 1929.

"Ammonizione e altre poesie 1900-1910", Trieste 1930.

"Tre composizioni", Treves, Milano 1933.

"Parole", Carabba, Lanciano 1934.

"Ultime cose (1935-1938)", Collana di Lugano, Lugano 1944.

"Il Canzoniere (1900-1945)", Einaudi, Torino 1945.

"Mediterranee", Mondadori, Milano 1946.

"Uccelli", Edizioni dello Zibaldone, Trieste 1950.

"Uccelli - Quasi un racconto (1948-1951)", Mondadori, Milano 1951.

"Tutte le poesie", Mondadori, Milano 1994.

 

 

Piatto anteriore del volume: Umberto Saba, Tutte le poesie, Mondadori, Milano 1994

 

 

Testi

 

LA CAPRA

 

Ho parlato a una capra.

Era sola sul prato, era legata.

Sazia d'erba, bagnata

dalla pioggia, belava.

 

Quell'uguale belato era fraterno

al mio dolore. Ed io risposi, prima

per celia, poi perché il dolore è eterno,

ha una voce e non varia.

Questa voce sentiva

gemere in una capra solitaria.

 

In una capra dal viso semita

sentiva querelarsi ogni altro male,

ogni altra vita.

 

(da "Tutte le poesie", Mondadori, Milano 1994, p. 78)

 

 

 

 

CITTÀ VECCHIA

 

Spesso, per ritornare alla mia casa

prendo un'oscura via di città vecchia.

Giallo in qualche pozzanghera si specchia

qualche fanale, e affollata è la strada.

 

Qui tra la gente che viene che va

dall'osteria alla casa o al lupanare,

dove son merci ed uomini il detrito

di un gran porto di mare,

io ritrovo, passando, l'infinito

nell'umiltà.

 

Qui prostituta e marinaio, il vecchio

che bestemmia, la femmina che bega,

il dragone che siede alla bottega

del friggitore,

la tumultuante giovane impazzita

d'amore,

sono tutte creature della vita

e del dolore;

s'agita in esse, come in me, il Signore.

 

Qui degli umili sento in compagnia

il mio pensiero farsi

più puro dove più turpe è la via.

 

(da "Tutte le poesie", Mondadori, Milano 1994, p. 91)

 

 

 

 

DE PROFUNDIS

 

Io vivo... eppure sono un morto, sono

dentro un abisso; ed odo, ivi sepolto,

la vita che tra voi s’agita, il suono

 

della vita, ormai vano; odo la voce

mia che m’è nuova; può affissarmi in volto

l’amico, il mal ridirmi che gli nuoce,

 

ma dinanzi ha un’immagine mentita;

sorride, leva i miei occhi al suo viso

uno spettro quassù della mia vita.

 

Io giaccio; ed ho solo un pensiero, godo

solo un pensiero: sono morto, ucciso

da me in sì strano, in sì felice modo

 

che serbo ai cari miei la mia giornata,

anzi più mossa, più fattiva ancora,

ad opere di buon fine ordinata;

 

ed a me la mia notte senz’aurora.

 

(da "Tutte le poesie", Mondadori, Milano 1994, p. 166)





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