domenica 28 settembre 2014

Poeti dimenticati: Manlio Dazzi

Tito Manlio Dazzi nacque a Parma nel 1891 e morì a Padova nel 1968. Partecipò alla Grande Guerra come volontario, fu professore e bibliotecario. Svolse anche l'attività di critico letterario, narratore e poeta. Pubblicò varie raccolte di versi che mostrano una iniziale tendenza al crepuscolarismo ed una finale simpatia per la poesia neorealista.




Opere poetiche

"I pensieri", Albrighi e Segati, Roma 1916.
"Le prigioniere", Treves, Milano 1926.
"In grigiorosa", Alpes, Milano 1931.
"I Caduti", La Prora, Milano 1935.
"In riva all'eternità", La Nuova Italia, Firenze 1940.
"Canto e controcanto", Per gli Amici, Firenze 1952.
"Stagioni", Neri Pozza, Venezia 1955.
"Erano già voli di colombe", Cà Diedo, Venezia 1961.





Presenze in antologie

"L'Adunata della poesia", 2° edizione, a cura di Arnolfo Santelli, Editoriale Italiana Contemporanea, Arezzo 1929 (pp.CCXI-CCXIV).
"L'antologia dei poeti italiani dell'ultimo secolo", a cura di Giuseppe Ravegnani e Giovanni Titta Rosa, Martello, Milano 1963 (pp. 713-718).
"Le notti chiare erano tutte un'alba", a cura di Andrea Cortellessa, Bruno Mondadori, Milano 1998 (p. 397).




Testi

MULATTIERA FIN

Discese Fin, sdegnoso della via,
per scorciatoie fra rupi, sonoro
del bastone puntito e delle scarpe
quadrate e imbullettate. E alcuno disse
che la sua promozione era alla fine
d'una strada sicura e propria e buona
dalla Brigata al fondo della valle.
Fin guardò il monte, lo palpò, lo corse
per quella costa, e la strada vi nacque,
come vi fosse stata dentro, in poco.

Bella stradina, lungo una parete
del verde valloncello, e sinuosa
con i seni del monte, e valicante
gli spacchi e i rivi con le pietre a concio
in ripide scarpate, e all'improvviso,
all'improvviso bianca di pietrisco
fra rupi rotte e spaurite, o bruna
di buona terra, che certe radici
dalla spalletta parevan chiamare
scortecciate «ahimè, mamma». E sopra, un'ombra
di nocciuoli selvatici e di spini.

Il Generale fu contento. Allora
in sommo della strada ecco che sorge,
strumento di tortura, un mural bianco
con una bianca tavoletta in cima.
- O Maresciallo, un nome al tuo viale. -
E alcuno offerse un lapis rosso-blu.
S'arrampicò il Maresciallo, e con mano
di bimbo MULATTIERA appena scrisse,
che - un fischio in aria - il poverino cadde,
come una rondine uccisa nel volo,
stecchito a mezzo la sua bella strada,
le gambe aperte e le braccia, per tutta
la sua larghezza. - Oh, non è defilata -
si lamentava alcuno. E il Generale
raccolse la matita, allungò il braccio,
e aggiunse nella tavoletta: FIN.

(Da "I Caduti")


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