"La notte è fatta per amare", recita un famoso proverbio; un altro invece dice: "La notte è fatta per sognare". Tutto vero, ma soprattutto la notte, almeno per gli esseri umani, è fatta per dormire. E allora sono poche le notti da ricordare; le poche che lo sono, quasi sempre non hanno nulla di bello.
Con la profonda, misteriosa notte termina la serie di poesie dedicate alle parti del giorno.
NEL GRAN SILENZIO DELLA NOTTE
di Domenico Oliva (1860-1917)
Nel gran silenzio della notte e sotto
La vasta luce della luna s'odono
Voci lontane:
E son voci festose,
Canti d'ebbri, gridii di donne e strane
D'allegrie rumorose
Interrotte folate.
Ma tranquillo è il bastion candido e i candidi
Abitatori suoi sono tranquilli:
Le magre piante, grate
Alla lunar dolcezza,
Mostrano la bellezza
Dell'ombre lunghe e le grazie ridenti
Dei contorni lucenti.
Sempre sen riede questa
Fulgida festa
Di cose e d'orizzonti:
Per quei folli che cantano lontani
Ritonerà domani
La breve ora d'oblio?
Diman forse nemica
Li attenderà la sorte
Ovver la morte:
E, immaginando tremebondi Iddio,
Ei, renitenti invan, procomberanno
Nell'infinito vortice
Lividi e soli,
Ove del nulla i voli
Rapidamente avvolgonsi.
(Da "Poesie", 1896)
NOX
di Giovanni Cena (1870-1917)
L'anima mia piena di cose oscure
brancola vagabonda: come un cieco
in sè guarda, si ascolta e parla seco
stessa parole a penetrarsi dure.
Sfioranla a volo le capigliature
buie dei sogni là dov'io la reco
e fra 'l notturno vento ella ode l'eco
di sordi passi su le sepolture.
L'anima mia profondi esseri cova.
Su lei sovente chino e senza fiato
li sento nella notte abbrividire.
E senza fine attendo che si mova
e schiuda il seme in lei dell'avvenire.
Muta la Morte vigila in aguato.
(Da "In umbra", 1899)
NOTTE ALLA FIOCINA
di Emilio Agostini (1874-1941)
Preparami una fiòcina dai denti
fini, dall'asta leggera, ma lunga
tanto, che il fondo rapida raggiunga,
quando con braccio robusto io l'avventi.
Verrò stanotte con te per pescare.
Non c'è di luna più che tu non chieda!
Con la fiòcina approntami la tieda,
tremula tieda per alluminare.
Ho bisogno dell'acque a un cielo aperto;
l'anima d'una pace oscura ha voglia.
Ho da scordare un tormento e una soglia,
dove, prono a due fermi occhi, ho sofferto.
Muova a notte la tua barca d'un remo.
Presso le Falsebrache, oltre la villa,
tra le canne sarò. L'ora è tranquilla;
ma sarò triste come quando gemo.
Approderai senza faro, pian piano;
salirò, come un'ombra, sulla barca;
d'un peso oscuro la sentirai carca;
la spingerai, fantasima tuo, strano.
Usciremo dagli argini ai canali,
e dai canali a libere acque lente.
Dall'Argentaro con le sonnolente
nubi, discenderanno ombre e lievi ali.
E in lontananza, oltre boscaglia e duna,
stando le nere folaghe a vegliare,
la voce chiamerà lunga del mare,
e all'orizzonte chiamerà la luna!
Pescatore alla fiòcina, stanotte
portami con la tua barca d'un remo.
Tu non temere, s'io già più non temo,
i singhiozzi di tre lacrime rotte.
Son ritornato tranquillo; nel cuore
libero, un calmo spirito mi suona.
Parti. Se vuoi, remigando, ragiona;
conta del tuo dolore e del tuo amore.
Io son contento che niuno mi ascolti,
sono contento d'un amor perduto;
sono contento di rimaner muto,
se tu canti di cuori arsi e travolti.
Canta. Le tiede alluminano errando,
quali stelle per nebbie umide al giorno.
Vagabondi qua là fanno ritorno,
canti soavi d'un sospirar blando!
Rispondono. Dall'acque ampie è risorto
il palpito che fa l'animo lieto.
Getti l'occhio e la fiòcina, e il segreto
della forza ch'è in te, spande conforto.
Confortano le tue notti serene!
Tacite l'acque e illumina la luna.
Si rinnovella nel cuor la fortuna,
con le speranze, con l'audacie piene...
Le speranze e l'audacie, ecco, dal pianto
brillano ancora e amor triste si affonda.
Splende con l'alba, sull'acqua senz'onda,
nuovo un raggio. Nel cuore agile è un canto!
(Dalla rivista «Nuova Antologia», luglio-agosto 1908)
TORBIDA, LA NOTTE CALA
di Adolfo De Bosis (1863-1924)
Torbida, la Notte cala,
con un brivido, da l'arco
del cielo. - Non odi l'ala
sua rader l'ombra del parco ?
Non trema vetta né stelo:
e l'anima perchè trema?
Una tristezza suprema
fluisce dal muto cielo,
simile ad un tardo fiume
che tragga fra cupe rive
senza né rombo né lume
le vite nostre malvive.
E ne la notte silente
taluno (o il Tutto?) a ginocchi,
da' suoi smisurati occhi
piange, inconsolabilmente.
(Da "Amori ac Silentio e Le Rime sparse", 1914)
NOTTI FILTRATE
di Mario Carli (1888-1935)
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Che m'importa se il cielo m'ha guardato seriamente senza batter ciglio? Che m'importa se anzi quei tre cigli di nerezza sulle sue tre stelle più vistose mi hanno ammonito che bisognava fermarsi sotto una finestra qualunque, tremando con discrezione? Dimostratemi che la Via Lattea non è il principio di un'immensa putrefazione, e in tal caso io seguiterò a tremare fino alla catastrofe. Ma, per ora, ho ragione io. Ho ragione, ho ragione, ho ragione! Dal momento che non è possibile passare ciascuna stella a fil di logica, dal momento che le più giovani e pazzerelle amano i tuffi nel buio, anche se ciò frutti agli uomini insperate fortune, dal momento che la luna è un'ipotesi arabescata dai rifiuti dell'ideale, permettete ch'io zufoli in barba ai poliziotti, e non venitemi a rammentare tutte le rose che ho colto, tutti i profumi che ho versato, tutte le torte che ho sgretolato, perché allora (oh allora sul serio!) sarò costretto a tossire con intenzione.
(Da "Le notti filtrate", 1918)
LA NOTTE
di Ugo Betti (1892-1953)
Mammina, quante
Dolci piccole stelle!
Ma le piante
Sono come belve
Accovacciate! Un'ombra si muove
Piano piano....
Dove sei, mammina?
Prendimi per mano.
Un passo leggero
Ci segue. Uno sconosciuto nero
Muove le fronde....
Si nasconde
Come per farci sgomento!
È il vento,
Non è vero, mammina? È il vento.
Le stelle sono lontane lontane....
Sembrano carovane
Sperdute nell'oscurità....
E si cercano invano!
Di là da le stelle, che ci sarà?
Mammina, prendimi per mano.
(Da "Il re pensieroso", 1922)
NOTTE A CORTINA
di Luigi Fallacara (1890-1963)
Ch'io mi ricordi di questa notte
calmata
dal velo di luce che sorgente luna
tra gli astri posa,
e veda in cima alla Tofana azzurra
splender la neve tra remote stelle.
Ch'io mi ricordi di questa notte
misurata
dall'Orsa che continua, verticale
fulgore, il violetto spigolo
di Punta Fiammes.
E facile e vicino al mio sospiro
senta l'eterno.
(Da "Confidenza", 1935)
NOTTE DI GRAZIA
di Massimo Spiritini (1879-1963)
Da campanili e culmini fuggito è il giorno;
si risucchia la ténebra
le cose intorno.
Tonda la luna naviga
nel ciel d'opale,
fruscia appena qualche alito:
prece che sale?
Non cirro in vista o nuvola;
Dio gli astri accende.
Qualche razzo precipita:
grazia che scende?
Zitti! Veggenti e ciechi,
zitti! Non destiamo echi!
La morte in queste sere
passa senza vedere.
(Da "Poesie proibite", 1948)
LA NOTTE
di Alfonso Gatto (1909-1976)
Tante notti sono cadute sul mare
che il mare è nero
e sempre passa sul suo passato
e sempre si vede passare,
aria, vento, destino leggero
di quanto profondo non vede.
C'è chi ti crede
come lui passeggero
d'un mondo di fiato,
ma tu sei dentro a annottare
dentro il tuo cuore nero.
(Da "La forza degli occhi", 1954)
NOTTE DI LUGLIO
di Piero Bigongiari (1914-1997)
Stanotte ho udito nell'insonnia
il primo rauco grido della rondine,
filtrava appena cinerina l'alba
come una tempesta limacciosa.
Anni, miei anni, è questa la maturità,
un rigogolo se la ripete sgranocchiandola
in un giardino dietro casa,
più in là subito il gallo ricomincia
sotto una nuvola gonfia a cantare.
Sarà pioggia o la luce solita
che i mozzi veloci assumono
tra il prillare dei raggi delle ruote?
La nostra carrozza ci porterà
ancora verso sera al lento fuoco
delle nuvole sopra le Cascine,
ai lecci, cupo ricordo del tempo,
alle ombre dorate di là, cappe rance
che non muovono sulla terra.
Felicità di piombo che trasali
dagli inferi, ipocrita felicità,
squarcia la tua parvenza solare
mostrati quale sei, ipocrita
felicità, assito tarlato,
grido desolato dell'assiolo nel folto,
vento impietrito all'orizzonte, sassi
della Calvana, e voi attendamenti
andati in fumo dall'azzurro, monti.
Al ritorno le luci sulle orate,
l'odore del pesco tra i vichi,
che libertà di mare tra gli scogli...
Pregate, ultime immagini, per noi,
ora e nell'ora della nostra morte.
(Da "Il corvo bianco", 1955)
LA NOTTE VIENE COL CANTO
di Mario Luzi (1914-2005)
La notte viene col canto
prolungato dell'assiuolo,
semina le sue luci nella conca,
sale per le pendici umide, trema
un poco. La forza in lunghi anni
acquistata a soffrire viene meno
e la piccola scienza si disarma,
il sorriso virile
non ha più la sua calma.
Tu chi sei
che aspettavi invisibile, appostata
a una svolta dell’età
finché fosse la tua ora? Ti devo
questo tempo di gratitudine
e d’altrettanto dolore.
Ed ora l'inquietudine s’insinua,
penetra queste prime notti estive,
invade il muro ancora caldo, segue
il volo delle lucciole sulle aie,
s’inselva nelle viottole ove a un tratto
nell’abbaglio dei fari la lepre saetta.
Cara, come ho potuto non intendere?
La vita era sospesa
tutta come questa veglia.
C’è da piangere a pensare
come ho sciupato questa lunga attesa
con tante parole inadeguate,
con tanti atti inconsulti, irreparabili,
e ora ferito dico non importa
purché il supplizio abbia fine.
«La salvezza sperata così non si conviene
né a te, né ad altri come te. La pace,
se verrà, ti verrà per altre vie
più lucide di questa, più sofferte;
quando soffrire non ti parrà vano
ché anche la pena esiste e deve vivere
e trasformarsi in bene tuo ed altrui.
La fede è in te, la fede è una persona.»
Questa canzone non ha più parole.
(Da "Il giusto della vita", 1960)
NOTTE CHE INGIGANTISCI IL TERRORE
di Angelo Maria Ripellino (1923-1978)
Notte che ingigantisci il terrore,
notte che mi togli il fiato,
notte che mi sòffochi, notte beghina
per troppo spavento, cestello di gelse more,
madornale patibolo alzato
dalle frasi spavalde del giorno,
carro funebre, horrido palco,
su cui balletta la morte, sfoggiando
la sua bellezza glaciale, il suo torvo,
clownesco biancore.
Notte che inàlberi torte d'anniversario
con lunghi ceri di chiesa: sognare
buccellati e pastiere porta male.
C'è sempre un coro di scialli neri,
che mi trascino dal fondo di un'isola.
Chicchi di lacrime su un catafalco,
botte da orbi su un teatro,
sconcezze di garzoni fornai.
Io non faccio il gradasso, io sono modesto,
levigato come uno charmeur di colombe,
non sono una frasca e nemmeno una civetta
e nemmeno un fracassa né un sangre-y-fuego,
mingherlini è il mio nome, io ricevo
con riverenze umilissime e senza sussiego,
io non dò feste, non fumo, non bevo,
mi sforzo di non attirarla con troppo rumore,
di non provocarne il rancore, ma lei
verrà di notte come un ladro,
senza dire nemmeno: «Chi è di scena?»
Ogni gesto è il mio ultimo gesto,
un sì sì sì da fraccurado,
un continuo partire di treni.
(Da "Sifonietta", 1972)
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