sabato 31 maggio 2014

I muri nella poesia italiana decadente e simbolista

I muri possono riferirsi, a seconda dei casi, ad una sensazione di prigionia ovvero quella di trovarsi in uno stato di isolamento dal resto dell'umanità (e i motivi possono essere svariati), la cosa può portare alla deduzione che l'intera vita, rappresentata da "una muraglia | che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia" sia nient'altro che una prigione da dove è impossibile evadere. Ma i muri (o le mura) esprimono anche enigmaticità e mistero, visto che a volte il poeta si trova davanti a un muro alto che non permette alcuna possibilità di scavalcamento, e allora si chiede cosa ci sia al di là, riuscendo a percepire soltanto alcuni rumori che fanno nascere in lui più di una ipotesi; è, in sostanza, tutto ciò che nasce nella mente umana guardando l'immensità dell'universo: luogo che, per quanto ci si sforzi, non permette una comprensione totale. In altri versi i muri sono popolati da fantasmi, effigiati nei dipinti e nei disegni appesi alle pareti, che nutrono una sorta di risentimento nel vedere i nuovi inquilini di quelle che erano le loro ville, profanare i loro "templi". Altre volte ancora il muro diviene la "mente" dolorosamente trafitta da un "chiodo-pensiero". C'è infine il caso in cui il muro vuol simboleggiare una separazione da altra persona o dal mondo, per incomprensione, mancanza di amore o malattia.



MURO DI CINTA
di Adelchi Baratono (1875-1947)

Sì, basso, ma orlato di punte,
di scheggie, di vetri. I monelli
che vengono a dar la scalata,
si tirano su su su, e, giunte
le mani a toccar la crestata,
ricadon lasciando i brandelli.

Quel muro recinge una valle
angusta, una conca d'ombrati
riposi; gli alberi, tanti!
lì dentro. Di fuori va il calle
bruciato di sole. Davanti
un'erta aridità di prati.

Ieri passò una bambina;
che bella! pe 'l caldo il sudore
madeva l'ovale del viso.
Guardò quell'ombrìa dalla china
segnando con gli occhi un sorriso,
ma poi sentì piangere il cuore!

(Le chiesi:
- Quant'anni hai, bambina? -
Rispose: - Mammina
ha detto, nove anni e tre mesi. -)

Null'altro? E no. Sono come
un piangere, questi paesi.
C'è il sole che affoca... e quei muri...
Domani ci torno. So un nome
che brucia. Lo incido, che duri
sul muro nove anni e tre mesi.

(Da "Sparvieri", Stab. tip. Montorfano, Genova 1900)





IL CHIODO
di Vittorio Emanuele Bravetta (1889-1965)

Come avvenga non so, né per che modo,
battere sento nel silenzio oscuro
un martello.... chi mai batte nel muro?
stupidamente al cupo rombo godo.

Ne l'alta notte quando più mi rodo,
quando più per l'insonnia mi torturo,
io ne la stolta illusion perduro:
chi batte, penso, ne la pietra un chiodo?

Ma sussulto, che poi sento feroce
penetrare una punta entro il cervello
e, ricreduto, a me confesso: errai.

Muro è la mente, il pensier chiodo atroce,
Ve lo pianta il dolor come un martello:
e il muro cede e non si spezza mai!

(Da "Odi e canzoni", Libreria Petrini, Torino 1910)





LA MURAGLIA
di Enrico Cavacchioli (1885-1954)

Pur, nella roggia e trepida muraglia
i caprifichi stendono a viluppi
le foglie scarne, e sembra che ne' gruppi
dei rami gocci sangue a scaglia a scaglia.

Tra queste mura, sospirando, manca
l'aria. Stridendo, a volo, un pipistrello
si precipita e già pel tuo risveglio
Anima - forse - non ti senti stanca!

Ti chiamano. Un cipresso si scompiglia.
Tutto si tace: nel silenzio un rauco
pianger di bimbi ti sconvolge il core
di dolorosa e grave meraviglia;

tu, valichi il cammino ed oltrepassi
corpi di Sfingi e tronchi di Titani,
Chimere di piramidi lontane
che tendono al passante i fianchi grassi;

trovi muraglia, muraglia, muraglia,
si chiudon li occhi, il core s'addormenta,
ma nessuno rimpiange o si lamenta
di questa fuga che il sonno attanaglia.

Tu sei convinto di morire? Un velo
ricopre le pupille lacrimose:
Avanti! Avanti! Ché oltre le pensose
tregue s'à da veder stellare il cielo!

(Da "L'Incubo Velato", Edizioni di «Poesia», Milano 1906) 





VECCHIE MURA
di Giovanni Chiggiato (1876-1923)

Quando i nuovi signori
muovono i passi brevi
per l'ampie sale, grevi
di fregi, stucchi e ori,

dalle antiche cornici
appese tra i parati,
gli uomini effigiati
hanno ghigni nemici:

con ira dai socchiusi
cigli inchinano sguardi
attoniti o beffardi
a squadrarne gl'intrusi.

Son giovani alti e snelli
d'una febbre consunti:
pallidi visi smunti,
mani carche d' anelli;

son vecchi venerandi:
per un'impresa eccelsa
stringon superbi un'elsa
nel pugno uso ai comandi;

son donne dai soavi
languori: lunghe e miti
labbra, occhioni spauriti
da peritanze gravi;

ma tutti han fieri cenni
d'odio contro la turba
gretta e vana che turba
i loro ozi centenni.

È giorno? il fuoco splende
nel camino di strani
guizzi, e strepiti arcani,
pur senza il vento, rende:

talor, pur senza il vento,
sbatte o brandisce un uscio;
erra di sete un fruscio
lento sul pavimento;

s'agita di sui vecchi
muri un logoro arazzo;
si sfoglia a un tratto un mazzo
giallo di fiori secchi;

s'increspa nella vasca 
l'acqua; l'aria è tranquilla, 
ma la lampada oscilla,
ma un vecchio libro casca,

È notte? E tenta il vento
i cardini a le imposte 
ne le stanze riposte
ùggiolan di spavento

i cani; in ogni fibra
dei secolari travi
cricchia un tarlo: nel clavi- 
cordio una corda vibra:

ronzano strani insetti
di contro a le specchiere;
leva il vento in leggiere
spire dai caminetti

la cenere che vela
l'illanguidir del fuoco;
con un crepitio roco
spegnesi una candela...

Contan che un re tra quelle
mura in tempi lontani
strozzasse di sue mani
un'amante ribelle.

(Da "La fonte ignota", Ist. Veneto di Arti Grafiche, Venezia 1907)





IL MURO 
di Pietro Mastri (1868-1932)

Una solinga via fa capo al muro; 
alto ed oscuro per crepacci antichi; 
dalla cui sommità pendono intrichi 
d'ellera, come ancor neri cernecchi 
su certe fronti ruvide di vecchi... 
Io non lo so, che cinga il vecchio muro. 

Di là, nel vespro, il martellar d'un merlo 
da invisibili frasche ora mi giunge; 
ed un garrir di passeri, più lunge, 
da invisibili tetti. Ma che cinga 
il vecchio muro in questa via solinga, 
io non lo so: né bramo di saperlo. 

Che?... Forse l'orto d'un convento... Suore 
pallide in volto d'un pallor di cera, 
cui sa d'incenso l'ampia veste nera, 
vanno per quelle aiòle; e di lor sogni 
vedon fiorire, attorno, sfiorire ogni 
rosa che nasce, ogni rosa che muore. 

Fors'anche un cimitero abbandonato... 
Ferve sulla chiesetta il passeraio? 
V'è qualche siepe fatta ora sterpaio, 
nido di merli?... Ed erbe in gran vigore; 
ove, a tratti, un marmoreo biancore 
stagna, com'acqua lucida in un prato. 

O forse un dolce solitario asilo 
d'amore... Ecco il viale dei sorrisi; 
mani allacciate, occhi negli occhi fisi. 
Bianca nel fondo sta la villa e aspetta. 
La luna poi vedrà stamparsi netta 
un'ombra in terra, un duplice profilo. 

O, chi sa mai?, come talor si vede 
retto da un vecchio un gracile bambino, 
regge il muro uno squallido giardino. 
E dietro, forse, un giovinetto langue; 
e chino l'avo su quel volto esangue, 
spengersi mira il suo ultimo erede... 

Tace ogni suono ormai. Gl'intrichi neri 
d'ellera, al sommo dello scabro muro, 
lievemente oscillano nel puro 
vespro così, com'ispidi cernecchi 
su certe fronti ruvide di vecchi; 
fronti che serban chiusi i lor pensieri. 

(Da "L'arcobaleno", Zanichelli, Bologna 1900)





MERIGGIARE PALLIDO E ASSORTO
di Eugenio Montale (1896-1981)

Meriggiare pallido e assorto
presso un rovente muro d’orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi.

Nelle crepe del suolo o su la veccia
spiar le file di rosse formiche
ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano
a sommo di minuscole biche.

Osservare tra frondi il palpitare
lontano di scaglie di mare
mentre si levano tremuli scricchi
di cicale dai calvi picchi.

E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com’è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.

(Da "Ossi di seppia", Gobetti, Torino 1925)





IL MURO
di Ada Negri (1870-1944)

Alto è il muro che fiancheggia la mia strada, e la sua nudità rettilinea si prolunga nell'infinito.

Lo accende il sole come un rogo enorme, lo imbianca la luna come un sepolcro. 

Di giorno, di notte, pesante, inflessibile, sento il tuo passo di là dal muro.

So che sei lì, e mi cerchi e mi vuoi, pallido del pallore marmoreo che avevi l'ultima volta ch'io ti vidi.

So che sei lì; ma porta non trovo da schiudere, breccia non posso scavare. 

Parallela al tuo passo io cammino, senz'altro udire, senz'altro seguire che questo solo richiamo,

sperando incontrarti alla fine, guardarti beata nel viso, svenirti beata sul cuore.

Ma il termine sempre è più lungi, e in me non v'è fibra che non sia stanca; 

ed il tuo passo di là dal muro si scande a martello sul battito delle mie arterie.

(Da "Il libro di Mara", Treves, Milano 1919) 





PARCO UMIDO
di Aldo Palazzeschi (1885-1974)

Il parco è serrato serrato serrato,
serrato da un muro eh'è lungo
le miglia le miglia le miglia,
da un muro coperto di muffe,
coperto di verdi licheni,
grondante di dense fanghiglie.
Né un varco soltanto nel parco traspare
né un foro vi luce,
soltanto si posson le muffe cadenti
vedere, soltanto
le dense fanghiglie grondanti.
Altissimi i cedri ne passano il muro,
i pini dal fusto robusto ne sporgon l'ombrello 
s' innalzan cipressi, rossastre magnolie,
e salici, e salici tanti
piangenti di pianti lontani,
che mischian sul muro cadenti
le lagrime ai verdi licheni,
a grige fanghiglie grondanti.
Di fuori ecco il parco serrato,
serrato da un muro
ch'è lungo le miglia e le miglia.
Fra l'ombre, fra l'ombre potenti
nel folto degli alberi grandi
soltanto tre donne s'aggirano lento,
bellissime donne: Regine Parenti.
S'aggirano lento in silenzio
ne l'ombre del parco serrato,
pesante trascinano il manto di lutto, le Donne,
coperte da un velo
che appena il pallore del volto ne scopre.

(Da "Lanterna", Stab. Tip. Aladino, Firenze 1907)





CANZONETTA DI FEBBRAIO TRAVERSO IL MURO
di Romualdo Pantini (1877-1945)

La Primavera torna
ed è lontana ancóra!
Ma ogni giorno più vicino torna
anche alla mia dimora.
La sento, come sento lei cantare
le canzonette sue più lunghe e care.

L'inverno ella cantava
solo ai giorni di festa:
cantava tardi sempre in aria mesta
e piano, che parea povera schiava.
Mi giungevano incerte le parole
come vedevo sempre incerto il sole.

Ma Primavera affretta,
per ogni dito offre una violetta:
presto l'avrà per ogni suo capello,
e 'l cielo incanterà solo a vederlo.

Soffio di Primavera,
piccol'ala leggera
che volteggi nell'aria e non ti posi,
posati su quei labbri armoniosi.

Oh! lo saprò quel giorno
del tuo vero ritorno,
o languida terribil Primavera:
dall'alba canterà fino alla sera;
e il giorno dopo a compiere l'incanto,
ecco il muro fra noi scomparso, infranto!

(Da "Canti di vita", Treves, Milano 1910)





IL MURO
di Térésah (Teresa Ubertis, 1877-1964)

Pietra su pietra inesorabilmente
il muro crebbe. Lontanava il cielo;
non fu più che una striscia alta e sottile...
(pietra su pietra!)... e sparve da la mente.
Ella piegava, illanguidito stelo
di giovinezza inferma. E battè Aprile
inutilmente a l'algida vetrata.

Fuori cresceva l'opra inesorata.
S'aderse il muro tenebroso a l'alto:
ella non seppe mai quanto! Pensava
il color delle stelle e la vetrata
scossa da i venti liberi a l'assalto.
Sola una fonte da la pietra cava
gemeva il pianto delle antiche cose.

Sole e gementi, suore dolorose.
Nell'ombra eguale i matutini albori
e le lucide sere ebbero aspetto
eguale: cieli soffusi di rose
vissero, cieli gonfi di bagliori...
Ella seppe soltanto il buio eretto
nemico tra il suo capo umile e il sole.

Sussurrava indicibili parole:
udìa crescere l'erba a' piè del muro,
sognava il muschio verde su la pietra.
Sognò vive, lanciate incontro al sole,
ghirlande di rosai: vide l'oscuro
nemico vinto... E singhiozzava tetra
la fonte, eco del suo trepido cuore.

Poi ch'estate languì nel dolce ardore
de' suoi roseti, a consolar l'inferma
ne trapiantammo a piè del muro fosco.
Ella scordava il tremulo splendore
degli astri... Ma non fu simile a un'erma
bianca, nel verde! il profumato bosco
non ebbe intorno. O dolorosa, ave.

Nell'ora della morte, umile e grave
parlò dell'invincibile nemico:
io raccolsi il suo fato. Ella è dispersa 
forse nei venti, cenere soave.
Ma ancor si scaglia il suo dolore antico
incontro al sole, inesorato. Versa
la fonte goccia a goccia il suo compianto

simile a un'eco di lontano pianto.

(Da "Nova lyrica", Roux & Viarengo, Torino-Roma 1904)

4 commenti:

  1. Scagli la prima pietra chi non ha mai innalzato un muro intorno a sé. C'è un antico proverbio cinese che dice; "sono più numerosi gli uomini che costruiscono muri di quelli che costruiscono ponti". E i cinesi in fatto di muri e muraglie ne sanno qualcosa.
    Sono molto interessanti queste poesie, suddivise per tematiche, che ci propone da un po' di tempo. Grazie

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  3. Tema significativo quello del muro, da cui si staglia quello dell'Hortus conclusus sempre in ambito simbolico e precrepuscolare. Notevoli i versi di Adelchi Baratono che inaugurano per la loro asperità quella "linea ligure" che attraverso a Boine ed a Sbarbaro condurrà a Montale, giustamente presente in questa scelta. Ineccepibili come sempre i versi di Chiggiato. Dello stesso volume da cui è tratta la poesia (La fonte ignota) volevo segnalare sebbene fuori tema "Il sonno dei macelli", una lirica che spicca sulle altre per il suo espressionismo. Mi riporta all'occhio (ma sono reminescenze personali) alcuni crudeli bagliori di Benn e di Trakl (cfr. SOBBORGO NEL VENTO ALPINO di quest'ultimo). E' dovuto un ringraziamento per l'attenzione a questi meritevoli semi-sconosciuti.


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  4. Ringrazio tutti coloro che sono intervenuti (o che vorranno intervenire) per commentare questo post inserendo notevoli considerazioni e ottime citazioni.

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