sabato 7 giugno 2014

Gli animali in 10 poesie di 10 poeti italiani del XX secolo (II)

VOLO DI COLOMBE A NOTTE
di Luigi Bartolini (1892-1963)

Volo, 
volo
nero,
s'ode
per le oscure
balze
della notte,
per le oscure
vele
della notte,
salire in cielo.
E' di colombe
disperse
che cercano
altre colombe
collarine.
Volo
volo nero
volo grigio
volo d'argento
s'ode
che sale
dalle balze,
per le oscure
torme,
della notte,
al primo cielo.

(Da "Poesie 1911-1963", Rebellato, Cittadella 1964)





LA MUCCA SULLA VETTA DELLA MONTAGNA
di Umberto Bellintani (1914-1999)

Salita era la mucca sulla più alta montagna,
e da lassù lanciava il suo muggito al cielo
e si poteva ben crederla il più grandioso dio.

S'udiva il suo muggito calare alla valle.
S'udiva il suo muggito salire alle stelle.
E quella mucca sulla montagna era ancor visibile;
perciò ogni uomo aveva gli occhi rivolti lassù.

Era la sera e il cielo era chiarissimo.
E nessuno si chiedeva di chi fosse l'animale,
poiché era un fatto grandioso e quel mugghiare
affascinava ogni spirito e incuteva timore.

Poi fu la notte densa di oscurità;
e le lanterne si accesero per salire sul monte.
Ma già la mucca era scesa e attraversava il paese
come sempre aveva fatto col suo silenzio bovino.

(Da "E tu che m'ascolti", Mondadori, Milano 1963)





IL GIBBONE
di Giorgio Caproni (1912-1990)

No, non è questo il mio
paese. Qua
- fra tanta gente che viene,
tanta gente che va -
io sono lontano e solo
(straniero) come
l'angelo in chiesa dove
non c'è Dio. Come,
allo zoo, il gibbone.

Nell'ossa ho un'altra città
che mi strugge. E' là.
L'ho perduta. Città
grigia di giorno e, di notte,
tutta una scintillazione
di lumi - un lume
per ogni vivo, come,
qui al cimitero, un lume
per ogni morto. Città
cui nulla, nemmeno la morte
- mai, - mi ricondurrà.

(Da "Poesie 1932-1986", Garzanti, Milano 1993)





GABBIANI
di Vincenzo Cardarelli (1887-1959)

Non so dove i gabbiani abbiano il nido,
ove trovino pace.
Io son come loro,
in perpetuo volo.
La vita la sfioro
com'essi l'acqua ad acciuffare il cibo.
E come forse anch'essi amo la quiete,
la gran quiete marina,
ma il mio destino è vivere
balenando in burrasca.

(Da "Poesie", Mondadori, Milano 1958)





GALLO
di Libero De Libero (1906-1981)

A registro della notte
il gallo nomina astri
e fuochi alle stagioni.
Guardiano del sonno
gli è febbre l'aurora
nell'ala rinata, strepita
d'alba il suo canto
e tutta l'aria s'impenna,
è del suo regno
la giornata guerriera.
Padrone dell'ora
è la sua cresta una legge,
onore della giostra,
al bel tempo e al vento
del suo grido si arma la luce.
E se col morto sole patisce
rapido sfugge alla catena,
già nel suo occhio stretto
un altro mattino s'indora.

(Da "Scempio e lusinga. 1930-1956", Mondadori, Milano 1972)





L'ORSO
di Luciano Erba (1922-2010)

Dovevi imparare dall'orso
che cosa?
la solitudine nei boschi, la monogamia
oggi
non puoi essere che un orsetto di pezza
un bigio orsacchiotto
in braccio allo stato sociale.

(Da "Negli spazi intermedi", All'Insegna del Pesce d'Oro, Milano 1998)





IL VERDONE DI MARE
di Nico Orengo (1944-2009)

Il verdone di mare,
che tra le alghe
prova la resistenza
della coda, ignora
che tra i rami dell'ulivo
un uccello simile nel nome
guizza, per conoscere
l'elasticità delle sue ali.

(Da "Cartoline di mare vecchie e nuove", Einaudi, Torino 1999)





PER UNA FARFALLA
di Anna Maria Ortese (1914-1998)

Dormi da ieri sera.
Nella spazzatura
ti eri rifugiata.
Niente ti ha svegliata.
Neppure il sole.
Neppure un geranio
verde e rosso.
Com'è strano
il tuo sonno - perché
mai hai parlato,
e neppure ieri,
e neppure stamane,
e intanto ti sfai.
Ma forse sei un'ombra,
di Te - che ora vai
volando nell'oro
nel verde, sui fiori,
sul biancospino
di un fresco giardino,
su una sponda
o l'altra
delle tumultuose adoranti
Costellazioni.

(Da "Il mio paese è la notte", Empirìa, Roma 1996)





L'UCCELLINO DEGLI ADDII
di Alessandro Parronchi (1914-2007)

Da uno strappo di fumo
nel tetto delle pensiline
frulla e sfiora la morchia risecchita
sulle rotaie e su un nonnulla
di piccoli rifiuti
saltella infine e becchetta

l'uccellino degli addii, il felice abitante
della tetra stazione, che sa tutto
di chi parte e di chi rimane,
di chi cerca e cercherà senza fine,
di chi deve lasciar quel che ha trovato
e di chi fugge e abbandona.

A un fischio vola via, rinfila la leggera
volta, balza, scompare al viaggiatore
nell'atto di partire, ma col cuore
tremante di chi arriva
la prima volta a una città straniera.

(Da "Coraggio di vivere", Garzanti, Milano 1961)





L'OMO E LA SCIMMIA
di Trilussa (Carlo Alberto Salustri, 1871-1950)

L’Omo disse a la Scimmia:
- Sei brutta , dispettosa:
ma come sei ridicola!
ma quanto sei curiosa!

Quann’io te vedo, rido:
rido nun se sa quanto!...
La Scimmia disse: – Sfido!
T’ arissomijo tanto!

(Da "Tutte le poesie", Mondadori, Milano 1951)

Nessun commento:

Posta un commento