Per le vie, sono guardato da tutti. Le ragazze, che tornano a lavorare negli stabilimenti industriali, ridono di me. Qualcuna dice forte:
«Com'è brutto! Pare un prete».
Io mi fermo e la guardo. Quella abbassa il capo con le compagne, e si sforza di non ridere. Ma dopo pochi passi, il vento mi butta il cappello sotto le ruote del tranvai elettrico, che giunge da Pisa con molto fracasso. Si è sporcato di fango, e la tesa recisa. Le ragazze, fermatesi tutte insieme, si torcono dal ridere. Certamente io devo imparare ad abituarmi a tutto; e devo mostrare di non prendermela. Ma come mi sento offeso!
Ricordi di un giovane impiegato è il titolo che Federigo Tozzi diede inizialmente ad una sorta di diario, scritto durante il 1908: anno in cui lo scrittore toscano lavorò, col ruolo d’impiegato, nelle ferrovie di Pontedera e Firenze. Ma questo diario non fu mai pubblicato da Tozzi finché fu in vita; uscì postumo, nel 1927 presso la Mondadori di Milano, col titolo Ricordi di un impiegato.
Il frammento che ho tratto da una riedizione del volumetto (Edizioni Studi Tesi, Pordenone 1994), descrive un momento particolarmente imbarazzante, se non umiliante, che coinvolge direttamente il giovane impiegato. Alcune ragazze che passano lungo una via, lo incrociano e, guardandolo attentamente, non possono fare a meno di scoppiare a ridere, ritenendolo estremamente ridicolo sia fisicamente che per gli abiti da lui indossati; a peggiorare la situazione arriva una improvvisa ventata che fa volare il cappello dell’impiegato; quando quest’ultimo cade in terra, dove c’è fango, viene praticamente investito da un tram che sta passando proprio in quel punto. Le ragazze vanno in visibilio e si torcono dalle risate, mentre il povero impiegato recupera il suo cappello distrutto e se ne va. L’ultima riflessione di Tozzi, assai amara, è in sostanza una filosofia di vita, ovvero un modo come un altro per affrontare con coraggio determinate situazioni sgradevoli e impreviste.
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