In queste dieci poesie non si parla di città specifiche, ma di centri abitati in generale; ogni poeta, ha creato dei versi che vogliono evidenziare delle sensazioni personali, provate vivendo in una o più città. Nella maggior parte delle poesie, risultano abbastanza evidenti degli elementi negativi, che si identificano in una pressoché totale incomunicabilità tra gli esseri umani, così come in una sorta di ansia, che coinvolge tutti, e che costringe chiunque ad adeguarsi ai ritmi caotici delle strade cittadine, dove tutto, dallo spuntare dell’alba al calare della sera, va troppo velocemente. Ma vi è anche qualche poeta che riesce a trovare delle caratteristiche positive, all’interno del caos cittadino; Saba e Sbarbaro ne sono un esempio: il primo, aggirandosi nella parte più vecchia della sua città natale, tra la popolazione più umile rintraccia alcune peculiarità che la rendono particolarmente umana, e a cui si sente vicino; il secondo, invece, con alcuni paragoni ben calzanti, esterna un’assuefazione verso determinate attrattive cittadine, che divengono basilari per la sopravvivenza del poeta. Vi sono, infine, due poesie – quelle di Betti e della Menicanti – in cui si parla di città fantastiche, nate dall’immaginazione senza fine dei poeti, forse per trovare una consolazione, ovvero un’evasione dalla deprimente realtà che è propria di tante città senz’anima.
CITTÀ
di Luigi
Bartolini (1892-1963)
Ogni incontro
nelle città è un
guardarsi
girare gli occhi
e dimenticarsi.
(da «Il
Selvaggio», novembre 1937)
LA CITTÀ DEI RE
di Ugo Betti
(1892-1953)
Oro le mura
le torri
cristallo;
è la terra
scaglia dura,
accecante
specchio giallo.
Senza mai notte o
ristoro
la vampa del sole
piomba.
Sfolgora la città
d'oro.
Non v'è stilla
d'acqua o fronda.
Non alito, né
ronzìo,
né calpestìo.
Vanno i Re nei
manti scarlatti,
taciturni, col
passo dei gatti.
Ogni gemma, ogni
metallo,
implacabile
specchio giallo,
specchia gli
occhi, fissi, matti,
specchia sonno,
senza pianto...
Non v'è alito,
non canto.
Duro è l'oro, la
gemma è dura,
non si può fare
sepoltura.
Guardano il sole
con gli occhi sbarrati
i Re morti
sull'oro coricati.
(da
"Poesie", Cappelli, Rocca San Casciano 1957, p. 94)
CITTÀ
di Luciano
Budigna (1924-1988)
Queste vie di
città sono nel cuore
come conclusi
sentimenti.
Tornano
sempre di nuovo
le stagioni: l'aria
muta da azzurro a
grigio, lo squallore
di questi vecchi
alberi diviene
verde canto nel
cielo.
Una marina
ogni giorno di
vita ha in sé: si allarga
l'orizzonte di luce
se lo sguardo
è stanco di
seguire l'onde brevi
sul bianco delle
dighe.
Torna il vento.
(da "Infine
vivere", Rusconi, Milano 1975, p. 29)
LA CITTÀ
ADDORMENTATA
di Enrico
Cavacchioli (1885-1954)
Con la rete
intricata delle strade violette,
sulle quali un
asino pigro sferraglia nella penombra,
con le finestre
chiuse e qualche beghina, in piedi,
su la porta, che
scruta il cielo orientale,
la città che
dorme, ha stamane un profumo
di convalescenza.
Ma dalla campagna
lontana, giungono strani carriaggi,
che sanno di
verdura e di concime. Schiocca una frusta
dietro lo
zoccolante passo di un ronzino da fiera,
ed una canzone, a
mezza voce, accompagna l'apparizione.
Piccolo borgo
paesano, pare questa città nell'alba
con le bandiere
dei cenci che
l'adornano da una finestra all'altra;
coi due caffè che
spalancano le loro luci beffarde
prima delle
chiese, e le campane malinconiche,
sguinzagliate a
chiamar fedeli, di porta in porta....
Se non fosse la
sua scenografia da Bastiglia,
se non fosse l'artiglieria
delle sue ciminiere,
questa città
sembrerebbe una ridicola
messa in scena
borghese
cresciuta e morta
su di una fossa:
in cui per
fortuna, un pesco distende a gran pena
un braccio tutto
fiorito della sua gloria rossa....
(da
"Cavalcando il Sole", Edizioni Futuriste di "Poesia",
Milano 1914, pp. 116-117)
CITTÀ
di Gino Geròla
(1923-2006)
Ancora sorgi con
la mano bianca
alba triste
d'inverno che risvegli
nebbiosa le
campane dei quartieri.
Al tuo livido
fiato entra nel giorno
la fiumana dei
passi.
E già dalle
officine ulula rossa
l'ora che fa
deserti
e riaffolla i
reparti. L'operaio
che esce dalla
notte
assordata di
rombi, per le strade
coglie il mattino
come un'ombra dolce
covando il suo
riposo nel mantello
umido che già
odora di tepore.
Tra i campanili
il vento non ha pace.
Non conosce buio
o meriggio
il tuo canto,
città, che agiti insonne
la corsa dei
treni, la febbre
per cui nessuno
può adagiare indenne
la fronte in
grembo ai sogni.
Un moto
inclemente ci trascina
stimolato dall'occhio
dei semafori
e lontane si
perdono le voci
a cui l'animo
affida la sua festa.
Perché la
primavera entri festosa
negli angiporti
dove ai mendicanti
scendono le tue
sere desolate,
nostra amara
vicenda,
il tuo moto
s'inquieta e i nostri sguardi
rapiscono la luce
a cui s'accendono
le lucciole e i
baleni. Il nostro piede
sfida gli abissi,
ascolta
il suono e la
minaccia
che tuonerà
propizia quando il sole
vedrà i ragazzi
ridere nei vicoli.
Un coro sulle
torri sarà il vento.
[da "La
valle e periferia (1943-1995)", Osiride, Rovereto 2001, pp. 47-48]
CITTÀ E CITTÀ
di Daria
Menicanti (1914-1995)
Tra scampoli neri
di sogni
nell'ora più
sontuosa della notte
mi si fa incontro
una mai prima vista
città di case
sospese di alati
bambini e gente
trasparente.
Treni di luce,
bus color aurora
fanno cangianti
le strade e i raccordi
e lunghi fiori
notturni salendo
planando
inventano giardini
in perpetuo
volanti.
Dopo le nostre - allora mi conforto -
altre ci sono
città come queste:
ali silenzio
lampi. Saranno
esse a ospitarci,
noi
e le nostre care
cose
(da "Il
concerto del grillo", Mimesis, Milano-Udine 2013, p. 607)
CITTÀ VECCHIA
di Umberto Saba
(Umberto Poli, 1883-1957)
Spesso, per
ritornare alla mia casa
prendo un'oscura
via di città vecchia.
Giallo in qualche
pozzanghera si specchia
qualche fanale, e
affollata è la strada.
Qui tra la gente
che viene che va
dall'osteria alla
casa o al lupanare,
dove son merci ed
uomini il detrito
di un gran porto
di mare,
io ritrovo,
passando, l'infinito
nell'umiltà.
Qui prostituta e
marinaio, il vecchio
che bestemmia, la
femmina che bega,
il dragone che
siede alla bottega
del friggitore,
la tumultuante
giovane impazzita
d'amore,
sono tutte
creature della vita
e del dolore;
s'agita in esse,
come in me, il Signore.
Qui degli umili
sento in compagnia
il mio pensiero
farsi
più puro dove più
turpe è la via.
(da "Tutte
le poesie", Mondadori, Milano 1994, p. 91)
CITTÀ, CITTÀ, PER
ME TU SEI...
di Camillo
Sbarbaro (1888-1967)
Città, città, per me tu sei l'ossigeno pel
moribondo, la tremenda dose di cantaride per l'esaurito! Tu sola mi dài l'acuto
senso d'inesprimibile. Divento il balbuziente cui sul viso si disegna una riga
di dolore.
Non resta che il grido.
Napoli, Marsiglia, Vienna... Parole che
m'empiono di vertigine.
(da
"Trucioli", Scheiwiller, Milano 1990, p. 180)
CITTÀ DI NOTTE
di Vittorio
Sereni (1913-1983)
Inquieto nella
tradotta
che ti sfiora
così lentamente
mi tendo alle tue
luci sinistre
nel sospiro degli
alberi.
Mentre tu dormi e
forse
qualcuno muore
nelle alte stanze
e tu giri via con
un volto
dietro ogni
finestra - tu stessa
un volto, un
volto solo
che per sempre si
chiude.
(da
"Frontiera. Diario d'Algeria", Guanda, Parma 2013, pp. 235-239)
CITTÀ-CIMITERO
di David Maria
Turoldo (Giuseppe Turoldo, 1916-1992)
E altri che se ne
sono andati
tenendosi per
mano;
o soli,
inghiottiti
dalla tiepida
luce delle case.
Ed altri con
macchine lunghe
scivolanti via
su vie bagnate
dalla pioggia d'autunno,
uguali al guizzo
di serpe
in cerca di una
tana.
Ed altri ancora
vivi solo
nei tum-tum così
radi dei tabarin,
sopravanzati
sbadigli di luce
per la strada
ormai deserta.
Ed altri, quasi
ombre favolose
in cerca di
inaspettate prede.
E poi il vigile
nella veste nera;
e poi gli occhi
soli della prostituta.
E poi tu,
poverello, cariatide
incosciente,
immensa
sotto il
monumentale pronao del tempio.
E il solitario
pino dei giardini
intriso di nebbia
solo testimone
vivo
nella
città-cimitero.
(da "O sensi
miei... Poesie 1948-1988", Rizzoli, Milano 2002, p. 121)
(da questa pagina web) |
Nessun commento:
Posta un commento