domenica 29 settembre 2019

Antologie: "Lirici della Scapigliatura"


Ritengo che sia la migliore antologia su quel movimento artistico e letterario, nato più o meno insieme alla nazione italiana e dipanatosi per circa un ventennio. Tale movimento, che dai critici fu definito Scapigliatura, fu il primo a dimostrare un'avversione pressoché totale nei confronti dei modelli di vita borghesi; altresì tentò un rinnovamento della letteratura italiana, allontanandosi in maniera decisa da qualsiasi tendenza o influenza romantica, in nome di un "maledettismo" che faceva coppia con quello francese - in verità assai più efficace - impersonato da un poeta incomparabile quale fu Charles Baudelaire. Lirici della Scapigliatura uscì per la prima volta nel 1965, presso la Mondadori di Milano; venne quindi ristampato, con alcune modifiche apportate dal medesimo curatore: Gilberto Finzi (1927-2014), nel 1997. Relativa a quest'ultima edizione, riporto (non è la prima volta che lo faccio) la sinossi pubblicitaria presente nella quarta di copertina del libro, che mi pare esprima in modo ineccepibile la sostanza e il fine dell'antologia:

Quindici scrittori del dopo-Unità e le loro esistenze tormentate; la loro poesia, un lirismo ora superromantico ora liricamente innovatore. La Scapigliatura, riletta nei versi e nelle prose poetiche, si rivaluta come complessa e anticipatrice postavanguardia il cui orizzonte, a partire dai più frequentati Emilio Praga, Igino Ugo Tarchetti e Arrigo Boito, si estende e si dirama in più direzioni: verso il simbolismo, con Giovanni Camerana; verso il futurismo, con Gian Pietro Lucini; verso una moderna idea del narrare, con Carlo Dossi. Un panorama in cui chiedono posto e richiedono attenzione altri nomi meno famosi, da Gualdo a Ghislanzoni, da Pinchetti a Fontana. Un libro che riproposto quasi trentacinque anni dopo la prima edizione del 1965, ha contribuito a far conoscere e amare uno dei più importanti movimenti letterari della seconda metà dell'Ottocento.

Per quanto riguarda i quindici scrittori selezionati, come è successo nei casi di altre antologie simili, si parte dai nomi "sicuri" della Scaigliatura (Praga, Tarchetti, Boito, Dossi, Faldella, Cagna e Camerana) per poi sbizzarrirsi con l'inclusione di altri prosatori e poeti che sicuramente sono stati vicini al movimento, ma che non possono definirsi "scapigliati" a tutti gli effetti. Mi sembra comunque opportuna l'idea d'inserire, quale ultimo scrittore preso in considerazione, Gian Pietro Lucini, ovvero colui che fece da trade union tra l'ormai superato movimento scapigliato e il simbolismo; ciò avvenne durante l'ultimo decennio del XX secolo, quando i cosiddetti scapigliati avevano ormai esaurito il loro compito - fa eccezione Camerana, che scrisse poesie anche agli albori del nuovo secolo -; e sarà proprio Lucini, insieme ad altri scrittori "rivoluzionari" come Paolo Buzzi e Enrico Cavacchioli, a instaurare un nuovo legame tra un modo di scrivere classico, e quindi legato alla tradizione dell'Ottocento, e un altro del tutto innovativo, rappresentato dal verso libero, che può ben dirsi la prima espressione poetica "nuova" del XX secolo. Ecco infine, seguendo l'ordine in cui si trovano nel libro, l'elenco dei quindici scrittori qui antologizzati.




LIRICI DELLA SCAPIGLIATURA

Emilio Praga, Igino Ugo Tarchetti, Arrigo Boito, Antonio Ghislanzoni, Giulio Pinchetti, Ferdinando Fontana, Giovanni Camerana, Giovanni Faldella, Giuseppe Cesare Molineri, Achille Giovanni Cagna, Carlo Dossi, Luigi Gualdo, Ambrogio Bàzzero, Pompeo Bettini, Gian Pietro Lucini. 

domenica 22 settembre 2019

Il pianto: qualche riflessione e tre poesie


Forse è un sintomo della vecchiaia o chissà cos'altro, fatto sta che da un po' di tempo a questa parte mi succede di piangere spesso; ciò mi può accadere mentre sto guardando un determinato film, o ascoltando una particolare musica; altre volte le lacrime affiorano a seguito di pensieri... Quando sono solo le lascio cadere copiose, e mi abbandono senza resistenza al pianto... ma se mi trovo in compagnia, cerco di reprimerle, anche perché susciterei imbarazzo o ilarità in coloro che si troverebbero con me in quel preciso momento, e che magari proverebbero a farmi smettere immediatamente. Perché l'uomo, spesso, si vergogna di piangere? e perché, chi osserva una persona che piange, sente l'istinto di consolarla per farla smettere? cosa c'è di imbarazzante e di sbagliato nel pianto? A pensarci bene nulla, e non dovrebbe esistere nessuna vergogna nel piangere. Il pianto è un atto liberatorio e a volte piacevole, che fa emergere il lato più bello della nostra personalità: quella capace di commuoversi e di provare un'emozione molto forte. Non è detto che si pianga per dolore: si può piangere per emozioni spiacevoli o piacevoli; si piange anche per felicità. Purtroppo il pianto è sempre stato considerato quale sintomo di debolezza e, a volte, di immaturità. Ebbene io non potrò mai essere di questo parere, sebbene mi vergogni di piangere davanti ad altre persone, poiché ogni volta che ho la possibilità di farlo provo un senso di benessere e, quando è caduta l'ultima lacrima dai miei occhi, mi sento molto meglio. Ecco, a tal proposito, tre poesie di tre poeti italiani del Novecento, dedicate al pianto e alle lacrime - che del pianto sono le figlie -. La prima è di Camillo Sbarbaro (Santa Margherita Ligure 1888 - Savona 1967), e fa parte di Pianissimo (La Voce, Firenze 1914), una raccolta poetica fondamentale, di cui ho già parlato in un post dedicatogli; la seconda si trova in Ora serrata retinae (Feltrinelli, Milano 1980), primo volume di versi di Valerio Magrelli (Roma 1957), che confermò il grande talento del poeta romano, già rivelatosi appena ventenne in alcune poesie apparse nella storica antologia La parola innamorata (Feltrinelli, Milano 1978); la terza è di Roberto Carifi (Pistoia 1948), e si trova all'interno di un bellissimo volume di versi intitolato Amore d'autunno (Guanda, Parma 1998), forse il migliore tra quelli pubblicati in Italia nell'ultimo decennio del XX secolo. Buona lettura.

 
Vincent van Gogh, "Weeping Woman"
(da questa pagina web)


LACRIME, SOTTO SGUARDI CURIOSI
di Camillo Sbarbaro

Lacrime, sotto sguardi curiosi
non mi scoppiate a un tratto mentre parlo
di vane cose (mi sovviene a un tratto
del mio cammino sotto cieli bui,
non avendo una mano che m’incuori;
e l’inutilità di ciò che dico
di ciò che faccio mi fa grave il cuore).
M’irrita la carezza nei capelli.
Io troppe volte in giovinezza risi
per ricacciare dentro le mie lacrime,
ché la pietà degli uomini mi umilia.
E quell’altro mio io il quale sempre
m’accompagna, vorrebbe quando piango
alzar la faccia e ridere frenetico.

Mentre guardo mio padre ginocchioni
non mi colate giù rapide e calde.
Mi guarda il padre coi suoi poveri occhi
senza battere ciglio e scopre nuovo
l’irrequieto che tenea per mano
e che gli crebbe presso sconosciuto.

Ma nell’angolo buio d’una stanza
o nella solitudine d’un bosco
oh dolcezza di pianger tutto solo!
Al sostegno più prossimo m’appoggio
nell’improvvisa piena del mio petto
abbandonatamente come fossi
per morire e tra mezzo grosse lacrime
mi brilla il viso di riconoscenza.

Allora sotto la bontà dei cieli
io sono nudo come quando nacqui.
Dietro il sottile velo delle lacrime
allora sono solamente io.

(da "Pianissimo", Marsilio, Venezia 2001, pp. 54-55)






È SPECIALMENTE NEL PIANTO
di Valerio Magrelli

È specialmente nel pianto
che l’anima manifesta
la sua presenza
e per una segreta compressione
tramuta in acqua il dolore.
La prima gemmazione dello spirito
è dunque nella lacrima,
parola trasparente e lenta.
Secondo questa elementare alchimia
veramente il pensiero si fa sostanza
come una pietra o un braccio.
E non c’è turbamento nel liquido,
ma solo minerale
sconforto della materia.

[da "Poesie (1980-1992) e altre poesie", Einaudi, Torino 1992, p. 26]





CHI PIANGE, CAMPANA...
di Roberto Carifi

Chi piange, campana, nel lento rintocco,
che cielo tramonta sul  tuo campanile,
il rosso è di sangue
o così si colora l'amore morente?
Tu sola conosci, campana, il canto dolente
che l'angelo intona
quando di sera abbandona chi ama
all'abbraccio del nulla,
ma dimmi se l'angelo piange
nel lento rintocco
oppure è soltanto il mio cuore
che piano si spegne.

(da "Amore d'autunno", Guanda, Parma 1998, p. 17)



domenica 15 settembre 2019

Poeti dimenticati: Giuseppe Vannicola


Nacque a Montegiorgio, in provincia di Fermo, nel 1876 e morì in circostanze misteriose nell'isola di Capri, nell'agosto del 1915. Musicista, in gioventù fu valido violinista ed entrò a far parte della prestigiosa orchestra diretta da Arturo Toscanini. Si dedicò, in seguito, alla letteratura, collaborando con suoi scritti a giornali, periodici e riviste come Il Mattino, La Voce, Poesia e Prose; di quest'ultima rivista fu anche direttore. Dopo qualche anno trascorso a Firenze, andò ad abitare a Roma. Qui si ammalò e rimase, per il resto della sua vita, fortemente segnato dalla malattia. Attratto dal simbolismo e dal decadentismo francese, scrisse poesie, prose poetiche ed articoli che ne ricalcano gli echi. Solo recentemente è stata pubblicata un'opera che raccoglie la sua produzione letteraria.



Opere poetiche

"Trittico della Vergine", Voghera, Roma 1901.
"Sonata Patetica", Libreria Editrice Nazionale, Milano 1904.
"De profundis clamavi ad te", Tip. della Biblioteca di Cultura Liberale, Firenze 1905.
"Da un velo", Revue Du Nord, Roma, 1905.
"Corde della grande Lira", Tip. Cooperativa Sociale, Roma 1906.
"Distacco", Lux, Roma 1908.
"Il veleno", Baldoni, Firenze 1912.
"Tetano metafisico. Tutte le opere", Aragno, Milano 2017.

 
Frontespizio del volume "Giuseppe Vannicola: Tetano metafisico. Tutte le opere", Aragno, Milano 2017

Presenze in antologie

"Poeti simbolisti e liberty in Italia", a cura di Glauco Viazzi e Vanni Scheiwiller, Scheiwiller, Milano 1967-1972 (vol. 1, pp. 195-197; vol. 2, pp. 275-276; vol. e, pp. 281-285).
"Dal simbolismo al déco", a cura di Glauco Viazzi, Einaudi, Torino 1981 (tomo primo, pp. 245-248).



Testi

CAUSA NOSTRAE LAETITIAE (frammento)

- Adorate! Plaudite! -
l'inno del Sole clamava esultando -
Io la magna, io la terribile
Gloria, principio e fine,
potente Dea - potente demone,
bugiardo libro de l'Enigma eterno:
una insidiosa face brillante,
tropicale di sogni iridescenti.
  E corro e mi spazio,
e incorono di porpora la terra
vibrando, irragiando!
Poi a meriggio, avvivata la fiamma
del suo desiderio, io scendo a l'occaso
accarnandola a vespero,
e la rimuto in un agro di sangue,
Io triumphe! Plaudite! Adorate!
Tra le mie braccia disserro
a le anime, nobili sogni
e nobili chimere,
d'un'altra vita armoniosa a' cieli
vol di speranze inutilmente altere.
Come m'invengo in un'anima pura
che, rutilante di nativo lume
salva non so per quali forze arcane
alta si tiene per l'immane fiume
a spiare del ciel luci lontane
e lontano parlar di vita eterna,
bugiarda gloria a la sua fronte attorco
col caldo fluttuar di baci e il raggio
d'appetiti terreni impreveduti.
...

(da "Trittico della Vergine", 1901)




DE PROFUNDIS CLAMAVI AD TE (frammento)

Beethoven è l'uomo del silenzio.
L'uomo che la parola può appena avvicinare; l'uomo che, avviluppato di silenzio, ispira e comanda il silenzio; l'uomo per cui il silenzio è atmosfera musicale.
Le montagne s'alzano nel suo profondo su le montagne; le montagne gettano nel suo profondo un'ombra densa e vastissima; le montagne nel suo profondo fanno silenzio.
Un silenzio che abbraccia tutto nelle sue profondità.
Un silenzio che non determina, ma che riposa e comprende.
Un silenzio che comprende nel suo riposo le musiche che hanno aperto al silenzio orizzonti nuovi, le musiche per cui il silenzio si solleva sul silenzio e le montagne su le montagne, in un Infinito più infinito, in un Silenzio più silenzioso.

(da "De profundis clamavi ad te", 1905)




CORDE DELLA GRANDE LIRA (frammento)

Dio: Figura sublime dell'uomo; vigna degli umani desideri; catena delle umane speranze; risultato delle umane volontà; sintesi delle umane idee; nome perfetto dell'umana scienza; Uomo dell'uomo.

(da "Corde della grande Lira", 1906)

domenica 8 settembre 2019

Biobibliografia


A te che vuoi notizie
biobibliografiche di me
dico che ho nome
e cognome data e luogo di nascita
in un'anagrafe ingiallita
in un antico archivio d'analfabeti
piegati in quattro invece
mi porto in tasca
il luogo e la data della morte.
Scrissi talvolta qualcosa
su carta urgente
a indirizzi disabitati.
Se hai fiuto mi trovi
negli angoli d'un buio quartiere
o agli incroci dei verdi semafori
la mano tesa a chiedere aiuto.




Biobibliografia è il titolo di una poesia di Bartolo Cattafi (Barcellona Pozzo di Gotto 1922 - Milano 1979). L'ho estratta dal volume Il tempo del Ceppo¹, Giunti, Firenze 1997; più precisamente si trova alla pagina 557 di suddetto volume, all'interno della seconda parte intitolata Racconti e poesie rari o inediti. Grazie alle notizie - sempre presenti in questo libro - riguardanti il testo del poeta siciliano, mi è possibile ricordare che Bibliografia fu pubblicata nella rivista Paragone dell'aprile 1972 e non più inserita nei volumi successivi di Cattafi.
Il poeta si rivolge ad una persona non ben precisata, che gli ha richiesto dei dati biografici e bibliografici personali. Da questa richiesta Cattafi trae spunto per dichiarare la completa inutilità della sua vita e della sua scrittura, così come fecero, in tempi più remoti, i poeti crepuscolari. Si dichiara, paradossalmente, un analfabeta, e confessa di aver scritto cose inconcludenti, che nessuno ha mai letto. Infine confessa di identificarsi con  gli emarginati, i barboni e i vagabondi, di risiedere nei cantucci più infimi dei quartieri di qualsiasi città, e di sopravvivere grazie all'elemosina dei passanti. Praticamente, palesa la totale inutilità del poeta, posto agli estremi margini della società odierna, come un essere che è fuori del suo tempo, e si dedica a cose che non meritano la minima considerazione, e per cui al massimo, è possibile provare un senso di pietà.

NOTE
1) Si tratta di una raccolta di racconti e poesie di autori italiani, selezionati e insigniti del Premio Letterario il Ceppo, dal 1956 al 1996.

domenica 1 settembre 2019

Il misticismo nella poesia italiana decadente e simbolista


Il misticismo - ovvero la propensione dell'essere umano per l'assoluto, che si concretizza seguendo vie alogiche e misteriose, che si rivelano soltanto a chi possiede una fede - nel simbolismo e nel decadentismo italiano è spesso un tema portante di versi che si rivelano anche molto belli. Ovviamente, data la tradizione e la cultura nostrana, è la religione cristiana che trova più spazio nelle poesie mistiche; eppure non sono assenti anche altri credi, come, in taluni casi, una interpretazione del cristianesimo del tutto personale, o collegata a determinate dottrine filosofiche.



Poesie sull'argomento

Carlo Basilici: "Il Canto del Mentecatto" in "Dai poemi" (1904).
Paolo Buzzi: "I funghi dell'anima" in "Aeroplani" (1909).
Giovanni Camerana: "Cantano e vanno", "Lenta e serena dalla ottagonale" e "Strofe all'Idolo" in "Poesie" (1968).
Giovanni Cavicchioli: "Io penso un idolo di bronzo" in "Palazzi incantati" (1916).
Francesco Cazzamini Mussi: "Momento religioso" in "Il cuore e l'urna" (1923).
Guelfo Civinini: "Miriam di Nazareth" in "I sentieri e le nuvole" (1911).
Auro D'Alba: "Il Piccolo Re" in "I Poeti Futuristi" (1912).
Raoul Dal Molin Ferenzona: "Orazione" da "Zodiacale. Opera religiosa" (1919).
Guglielmo Felice Damiani: "Vigilate" in "Lira spezzata" (1912).
Gabriele D'Annunzio: "Il voto" in "Elegie romane" (1892).
Luigi Donati: "Nel Chiostro" in "Le ballate d'amore e di dolore" (1897).
Giuliano Donati Pétteni: "L'Annunciazione" in "Intimità" (1926).
Aldo Fumagalli: "La canzone mistica" in "Arcate" (1913).
Luisa Giaconi: "Le due preghiere" e "Preghiera" in "Tebaide" (1912).
Giulio Gianelli: "L'Angelus del mattino" e "Alla croce" in "Tutti li angioli piangeranno" (1903).
Cosimo Giorgieri Contri: "La preghiera" in «Nuova Antologia», aprile 1906.
Alessandro Giribaldi: "L'Olocausto" in "Domenica Letteraria", Giugno 1897.
Corrado Govoni: "Anime preganti" e "Benedizione serale" in "Armonia in grigio et in silenzio" (1903).
Guido Gozzano: «Ex voto» in "La Donna", dicembre 1913.
Arturo Graf: "I dèmoni e la croce" in "Medusa" (1890).
Amalia Guglielminetti: "Mistiche" in "Le Seduzioni" (1909).
Giuseppe Lipparini: "L'idolo" in "Le foglie dell'alloro. Poesie (1898-1913)" (1916).
Fausto Maria Martini: "La croce" in "Poesie provinciali" (1910).
Pietro Mastri: "Il carro dell'idolo" e "Davanti al tabernacolo" in "La Meridiana" (1920).
Giovanni Pascoli: "La notte dei morti" in "Myricae" (1900).
Romolo Quaglino: "Li stiliti - Preludio" in "Dialoghi d'Esteta" (1899).
Ceccardo Roccatagliata Ceccardi: "La Santa" in "Il Libro dei Frammenti" (1895).
Giulio Salvadori: "Ricordo" in "Ricordi dell'umile Italia" (1918).
Emanuele Sella: "Flora mirabilis" e "La sua venuta" in "Il giardino delle stelle" (1907).
Emanuele Sella: "Abundantia roris" in "L'Ospite della Sera" (1922).
Emanuele Sella: "Splendono aurore e sono Solitudini" in "Il Flauto d'argento" (1932).
Giovanni Tecchio: "La preghiera" in "Mysterium" (1894).
Federigo Tozzi: "Crocefissione" in "La zampogna verde" (1911).
Domenico Tumiati: "La fiamma de le palme" e "L'incensiere" in "Musica antica per chitarra" (1897).
Alessandro Varaldo: "L'Elevazione" in "Domenica Letteraria", Giugno 1897.
Remigio Zena: "In obitu Christinae virginis" in "Le Pellegrine" (1894).



Testi

CANCER. ORAZIONE
di Raoul Dal Molin Ferenzona

  Dall'oscura porta di cui sono, per servirti, il severo guardiano, le anime del Cielo scendono, o Altissimo, negli Embrioni umani e vi s'incarnano a prova della Tua bontà.
  Da la Terra a l'orbita tranquilla ove io risiedo, e da l'orbita al Tuo trono, si intersecano onde profumate di canfora e di mirto.
  Io Ti parlo, o grande Dio, perché Tu sia benigno verso quelli che la Disgrazia e la follia ànno tenacemente afferrato. Ma Tu puoi compiacerti in quelli che tengono la palma de la fecondità e de la simpatia. Amoroso di rendere più occulta ch'io possa la mia psiche magnetica e sensitiva, sono ben fiero dei poteri da Te avuti di attrarre le genti al Tuo culto.
  Nella mia doppia Casa diurna e notturna, alacremente si opera ne l'attualità il parallelo tra il positivo e il negativo.
  Io ti prego nel senso riflessivo de la mia virtù cardinale, e per la maternità Nâma-Rûpa.
  Per le contrade de la Numidia a stuolo vanno le pantere ululando in Tua lode: guardano disegnarsi nel cielo due cerchi congiunti, l'uno d'aria e l'altro di fuoco, entro cui apparisce il Drago-Serpente dalla testa di sparviero.
  Le pantere che portano su la spalla l'arco crescente e decrescente de la Luna ululano, e il coro delle rane è ritmico, e tra i palmeti le jene cambiano di sesso, mute e tremanti.
  Gli alberi sono in piena linfa, vibrano nella Terra le radici, i metalli si concentrano maggiormente nella loro solidità e le pietre intensificano il loro colore - per lodarti, o Spazio divino di Dodici Spazi!

(da "Zodiacale", Ausonia, Roma 1919)




LI STILITI - PRELUDIO
di Romolo Quaglino

Armonia di antichi marmi
  alita, bianca, ne la notte, -
  fremito di piume,
  gorgheggio di voci infantili:
  armonia luminosa,
  ne l'etere azzurro,
  rutilante o pallida per le stelle.

Come timida anima,
  fra i fantasmi della lussuria,
  il tempio sale e prega
  nel serto bieco dei Mostri.
In alto brilla, come un faro,
  la Madonna,
  sola ne l'orizzonte, a la luna.

(da "Dialoghi d'Esteta", Treves, Milano 1899)



Pierre Puvis de Chavannes, "Christian Inspiration"
(da questa pagina web)