domenica 30 luglio 2023

"Cartoline di mare vecchie e nuove" di Nico Orengo

 

Cartoline di mare vecchie e nuove è il titolo di una raccolta poetica di Nico Orengo (Torino 1944 – ivi 2009), pubblicata dall’editore Einaudi di Torino nel 1999. Questo libro, altro non è che un aggiornamento di Cartoline di mare (uscito, presso lo stesso editore, quindici anni prima); rispetto a quest’ultimo, il poeta aggiunge un’ulteriore sezione intitolata Altre cartoline, comprendente 19 nuove poesie che, per argomento, si collegano strettamente alle 59 precedenti. Da leggere l’introduzione di Maria Corti, già presente in Cartoline di mare. Qui, trovo che ci sia il meglio della poesia di Nico Orengo, autore di altre memorabili raccolte come Collier per Margherita e (1977), Canzonette (1981) e la riepilogativa Narcisi d’amore (1994); le brevi poesie di questo volumetto, più che cartoline, mi sembrano frammenti di vita animale e vegetale, circoscritti in un ambiente che si potrebbe definire “tra terra e mare”. I luoghi sono quelli della Liguria e della Provenza (al confine tra Italia e Francia), i personaggi sono, tranne rarissime eccezioni, piante ed animali che vivono in questi precisi paraggi. Orengo ne cita in grande quantità, e per tale motivo, ho voluto fare un elenco pressoché onnicomprensivo delle specie viventi che la fanno da protagoniste nelle 78 poesie di Cartoline di mare vecchie e nuove:

VEGETALI: agavi, limoni, palme, pini, lavande, anemoni di mare, ulivi, alghe, sorbi, garofani, euforbie, calendule, jacarande, rosmarini, pepi, carrubi, peschi, gelsomini, mimose selvatiche, glicini, rose, oleandri, zucchini, pomodori, ranuncoli, cinerarie, betulle, ginepri, more, lantane, brachichiti, plumbagi, buganvillee.

ANIMALI: gianchetti, saraghi, acciughe, ofiure, ricci di mare, orate, granchi, anguille, murene, polipi, celacanti, dentici, mormore, dorine, tordi verdi (verdoni di mare), delfini, gronchi, pesci gatto, branzini, cavedani, artemie, cefali, cernie, meduse, tortore, tordi, rondoni, merli, verdoni, gabbiani, colombi, beccafichi, cardellini, topi, volpi, chiocciole, gatti, pipistrelli, gechi, formiche, farfalle, cicale.

Come si noterà, sia per quanto riguarda le piante, che per gli animali, ve ne sono di svariati tipi, comprendenti specie che vivono sotto la superficie del mare o in terraferma; in certe poesie, anche il mare diviene un essere vivente, e qualche volta viene in soccorso di sue creature, per aiutarle a morire. Anche le stagioni, in cui si svolgono questi spezzoni di vita, sono comprese per intero. Gli esseri umani, invece, non compaiono praticamente mai, ad eccezione di qualche sparuto pescatore, o di cacciatori (in entrambi i casi la loro presenza è negativa). Bello il frammento di Francis Ponge, che in sostanza rappresenta l’esergo della raccolta e che riporto per intero, seguito da tre fra le migliori liriche di Cartoline di mare vecchie e nuove.

 

 

 

CARTOLINE DI MARE VECCHIE E NUOVE

 

 


 

 

Fino all’avvicinarsi dei suoi limiti il mare è una cosa assai semplice che si ripete onda dopo onda. Ma le cose più semplici in natura non si lasciano accostare senza mettervi molte forme, fare molte cerimonie, né le più spesse senza passare attraverso un certo assottigliamento. Perciò l’uomo, anche per risentimento verso un’immensità che mal sopporta, si precipita ai termini o all’intersezione delle cose grandi per definirle.

 

                                                                                               FRANCIS PONGE, Rive di mare    

                                                                                               (traduzione di Luciano Erba)  

 

 

 

 

IL MARE PERDE

 

Il mare perde

con dolore il pesce

atteso all'amo,

lo aiuta nella lotta

stringendolo in correnti:

per non soffocarlo

lo spinge poi, come

una doglia, verso l'alto.

 

(da "Cartoline di mare vecchie e nuove", Einaudi, Torino 1999, p. 22)

 

 

 

 

IL VERDONE DI MARE

 

Il verdone di mare,

che tra le alghe

prova la resistenza

della coda, ignora

che tra i rami dell'ulivo

un uccello simile nel nome

guizza, per conoscere

l'elasticità delle sue ali.

 

(da "Cartoline di mare vecchie e nuove", Einaudi, Torino 1999, p. 42)

 

 

 

 

ESTATE DI MEDUSE

 

Estate di meduse,

fu una processione:

seguivano le stelle,

le erano sorelle:

trasparenti nella trasparenza

dell'acqua, cercavano

il colore: sospese

al riccio, alla poseidonia.

Cercavano una consistenza

sopra un'altra esistenza.

Erano meduse e invidiavano

la luce dell'aria, quella che

le brucia senza fremito.

 

(da "Cartoline di mare vecchie e nuove", Einaudi, Torino 1999, p. 76)              

 

domenica 23 luglio 2023

"Da poeta a poeta": 10 poesie di 10 poeti italiani dedicate ad altrettanti poeti

 

Sebbene il titolo di questo post sia abbastanza esplicativo, è necessario che aggiunga ulteriori precisazioni al riguardo. Tanto per cominciare, i testi qui presenti sono tutti stati scritti da poeti italiani del XX secolo; invece, i poeti ai quali questi versi sono diretti, non sono tutti novecenteschi e italiani. In diversi casi, le poesie rappresentano degli omaggi a poeti importanti deceduti da poco tempo; coloro che ne parlano, a volte in modo amorevole, alter volte con toni appassionati ed entusiastici, sono degli amici (anche intimi) o, più semplicemente, degli ammiratori. Vi sono anche poesie dedicate a poeti vivi e vegeti (ovviamente ai tempi in cui furono scritte), e, anche qui, a realizzarle sono degli appassionati seguaci o degli amici. Un ultima constatazione: in una delle poesie in cui si parla di poeti stranieri, più precisamente di Philip Larkin, si notano dei toni indignati e polemici; Adriano Guerrini - ovvero l’autore della poesia in questione - si riferisce ad un potere sotterraneo che guida e gestisce la cultura a suo piacimento, e che il poeta inglese ha intercettato e combattuto coi suoi versi.

 

 

10 POESIE DI 10 POETI ITALIANI DEDICATE AD ALTRETTANTI POETI

 

 

ADA NEGRI

di Paolo Buzzi (1874-1956)

 

La tragedia lombarda

delle terre

grasse ai signori

e metifiche ai paria

è sul tuo viso tutto maschera e lampi:

nella voce Tua

l'Adda ritorna

co' suoi divini argenti

e il gorgoglio d'ira bollente

alle pile del Ponte di Lodi:

Tu canti all'Italia

il facile canto possente

del fiume che viene dal Nord:

scintillano le tue rime ed i tuoi ritmi

dell'elettrica presa di Tresenda: ardi

sempre fanciulla: erri

sempre zingara: fissi

sempre medusa l'astro da rendere tuo.

E sei madre:

ed hai pianto:

e sorridi:

e più speri:

e la tua viscera bella intona alto il suo canto.

 

(da "Poema dei quarantanni", Edizioni Futuriste di «Poesia», Milano 1922, pp. 210-211)

 

 

 

 

IN MEMORIA DI GIOVANNI CAMERANA

di Giulio Gianelli (1879-1914)

 

Pace a te disdegnosa anima! Prima

d'umiliarti per umano alloro,

salvasti in cielo intatto il tuo tesoro

che innanzi a Dio clemente or ti sublima.

 

Nel lirico desio t'uscì la rima

temperata a la fiamma come l'oro;

permeato di spasimi il tuo coro,

muto il volgo, echeggiò di cima in cima.

 

O veramente anima devota

cui tardò l'ora d'integrarsi in Dio,

termine fisso a sogno di bellezza,

 

se a tua sacra ineffabile tristezza

manchi un ave fraterno, abbiti il mio

che, te lodando, i farisei percota!

 

(da "Tutte le poesie", IPL, Milano 1973, p. 315)

 

 

 

 

A PHILIP LARKIN

di Adriano Guerrini (1923-1986)

 

Per te ho maledetto la maledizione delle lingue,

quasi ho desiderato di chiamarmi Adrian Wareen.

Tu dicevi anni orsono quello che anch'io dicevo,

e ripeto, contro l'astuto cartello dei preziosi

e dei servi arroganti d'una cultura asservita,

che ci hanno tolto i nostri numerosi lettori.

 

Certo, tu sei più sottile; ma esprimi anche tu,

con ritmico chiaro discorso, la nuda esistenza

nel grigio brulichio di Babele. Tu sei più saggio:

sorridi, taci, ti apparti. Io sono troppo stanco

e grido contro questi intelligentissimi idioti;

forse perché qui essi sono divenuti legione.

 

Ho passato tre notti sulla tua incognita lingua;

ma non lasciare che essi guastino traducendoti

le strofe della tua irreprensibile perfezione.

Non l'amano, essi; né amano la nuda esistenza.

Amano solo il potere; e gonfiare penne di moda.

Li perdòno solo perché per essi t'ho conosciuto.

 

(ottobre 1979)

 

[da "Poesie (1941-1986)", De Ferrari, Genova 1996, p. 164]

 

 

 

 

PER GUIDO GOZZANO

di Amalia Guglielminetti (1881-1941)

 

L'Eguagliatrice che ti stava a lato,

inacerbita da decenne attesa,

dolce Fratello, te, preda indifesa,

attrasse infine nel suo muto agguato.

 

Tu sorridesti di quel tuo pacato

sorriso che vinceva odio ed offesa.

- Ecco, - dicesti poi senza sorpresa,

- la Signora che l'uom Morte ha chiamato.

 

- Ecco, sei tu. Da tanto io ti conosco.

Questo male che lento mi flagella

non fu che l'ombra del tuo sguardo fosco.

 

Stanco e sereno io varco le tue porte.

Se m'ha mentito l'altra cosa bella,

almeno tu non mi mentisti, o Morte.

 

(da «La Donna», settembre 1916)

 

 

 

 

FANTASIA SUL NOME DI LIBERO DE LIBERO

di Margherita Guidacci (1921-1992)

 

Mi piace leggere il tuo nome, in quella

geometrica eleganza

che lo pone in figura di saliera:

dove ciascuna vaschetta splendente

reca il discorso saggio

o il discorso pungente.

(A unirli e separarli, perentoria,

la verticale delle immagini.)

 

Ma più mi piace udirlo, perché allora

non è più un nome: è un motto, la promessa orgogliosa

del tuo lavoro di poeta, mai

venuto a patti: «libero delibero».

Vale a dire: «io decido

liberamente.»

 

(da "Le poesie", Le Lettere, Firenze 1999, p. 228)

 

 

 

 

LAFOURGE

di Marino Moretti (1885-1979)

 

Io amo I tuoi giardini senza nome

dove c’è l’erba della guarigione:

 

    Dans les jardins

    de nos instincts

    allons cueillir

    de quoi guérir…

 

Sempre di te raccolgo un epigramma

che val più d’una graziosa damma:

 

    Ah! Vous savez cez choses

    tout aussi que moi,

    je ne vois pourquoi

    on veut que j’en recause…

 

No, non t’ho conosciuto a’ miei bei giorni,

e pur ti riconosco e a me ritorni.

 

(da “Tutte le poesie”, Mondadori, Milano 1966, p. 356)

 

 

 

 

PER SERGIO CORAZZINI

di Nicola Moscardelli (1894-1943)

 

Hai lasciato un pianto nell'aria

come una lacrima che non sa cadere:

(nuvole rosee leggere

e questa vita sempre più varia).

 

Ti ritroverò una sera

nell'attimo di questo sognare,

dall'ombra ti sentirò frusciare

come un alito d'ombra leggera:

 

girerò il mondo a tentoni

come una cosa con occhi straziati

(pastelli di sole arancione

come nei tempi dei tempi passati).

 

Pezzo di sole e di sasso

ruvido scabro a morire d'amore,

scalpellato da nuovo dolore

risollevato dal gorgo più basso:

 

un giardino odorava lontano

una rosa sfioriva sul balcone,

confuso fra tante persone

nel buio ti strinsi la mano.

 

Imbuto nero, tromba di scale

precipitammo a cogliere la luna,

pazzi della nostra fortuna

ci sedusse un odor d'ospedale.

 

Spacco nel muro, luci mutilate

spigoli d'ombra, diffuso chiarore,

tremanti del nostro terrore

ci demmo alle vecchie vie dimenticate.

 

Tavoli bianchi, morgue della notte,

ci distendemmo senza peccato:

orgia, convito purificato,

spillaci il sangue dalle vene rotte!

 

Torneremo dalla solita via

come nei tempi dei tempi andati,

con i nostri occhi vecchi sconsolati

riabbracceremo la malinconia.

 

Lampade spente, vie desolate

per noi solitari di lungo cercare:

qualcuno ci udirà singhiozzare

sotto stelle di vetro spezzate.

 

(da "La Mendica muta", Vallecchi, Firenze 1919, pp. 16-17)

 

 

 

 

A MARINO MORETTI

di Aldo Palazzeschi (1885-1974)

 

Ci siamo incontrati nel mese di febbraio del 1903

esordienti in una commedia di Goldoni: il ventaglio.

Tu eri Scavezzo, io il barone Del Cedro.

Chi ci aveva portati in quel luogo?

Sembra difficile indovinarlo, invece è facilissimo:

la poesia che a quel tempo aleggiava sul teatro

e della quale due adolescenti dotati di fantasia

avevano subito il fascino.

E fu proprio in quel luogo che la poesia

rivelò ai due adolescenti il proprio cammino,

sul quale in perfetta armonia

procedettero da quel giorno

discutendo di tutti e di quanto si faceva nel mondo

fuorché di quello che facevano loro,

quasi non lo avessero saputo

ognuno per la propria strada

e nel rispetto assoluto l'uno dell'altro.

Fu questo il nostro stupendo segreto

per il quale settant'anni di amicizia

non produssero un'ombra fra noi

non provocarono uno screzio,

un punto di ruggine o di attrito.

E ora, caro Marino,

stringiamoci un'altra volta la mano

nella medesima serenità di quel giorno

quando eravamo tu Scavezzo, io il barone Del Cedro.

 

(da "Tutte le poesie", Mondadori, Milano 2002, p. 843)

 

 

 

 

SABA

di Vittorio Sereni (1913-1983)

 

Berretto pipa bastone, gli spenti

oggetti d’un ricordo.

Ma io li vidi animati indosso a uno

ramingo in un’Italia di macerie e di polvere.

Sempre di sé parlava ma come lui nessuno

ho conosciuto che di sé parlando

e ad altri vita chiedendo nel parlare

altrettanta e tanta più ne desse

a chi stava ad ascoltarlo.

E un giorno, un giorno o due dopo il 18 aprile,

lo vidi errare da una piazza all’altra

dall’uno all’altro caffè di Milano

inseguito dalla radio.

«Porca – vociferando – porca.» Lo guardava

stupefatta la gente.

Lo diceva all’Italia. Di schianto, come a una donna

che ignara o no a morte ci ha ferito.

 

(da "Gli strumenti umani", Einaudi, Torino 1995, p. 36)

 

 

 

 

A STEFANO MALLARMÉ

di Federigo Tozzi (1883-1920)

 

Il mare, forse, ti comprende bene

Quando la cener delle tue parole

Cade da tutto il cielo e si sovviene

Del fuoco spento di un eterno sole

 

Sopra la voluttà delle sirene,

Che insegnano la morte alle figliuole.

Ma l'anima che troppo a sé ritiene,

Inutilmente vasta, se ne duole.

 

E tu se' buono come Marsia ed hai

Le labbra appesantite dal destino,

Sì come da una pietra sepolcrale.

 

Tu nel silenzio dell'azzurro stai,

E al tuo rorido sogno sei vicino

Sì come arcangel che si guarda le ale.

 

(da "La zampogna verde", Garzanti, Milano 1948, p. 81)