domenica 25 febbraio 2024

Antologie: "Le cinque guerre"

 

Le cinque guerre. Poesie e canti italiani è il titolo di un’antologia poetica tutta incentrata sull’argomento bellico. Fu pubblicata in Milano, presso la Nuova Accademia Editrice, nel 1965. I curatori sono Renzo Laurano e Gaetano Salveti (entrambi poeti e presenti con loro versi tra gli antologizzati). Si parte con una presentazione dell’opera da parte di Salvatore Quasimodo, seguita da una introduzione piuttosto lunga scritta da Gaetano Salveti, intitolata Guerra e poesia nello svolgimento del reale. Quindi, inizia la vera e propria parte antologica, che si divide nelle seguenti sezioni:

 

LA GUERRA ITALO-TURCA (1911-1912) E ALTRE POESIE SINO AL 1914.

LA PRIMA GUERRA MONDIALE (1915-1918).

IL PERIODO FASCISTA E LE GUERRE D’AFRICA E DI SPAGNA (1919-1939).

LA SECONDA GUERRA MONDIALE (1940-1943).

LA GUERRA DI LIBERAZIONE E LA RESISTENZA (1943-1945).

CANTI POPOLARI E CANTI DELLE TRINCEE (1911-1945).

 

Come si evince dai titoli delle sezioni e dagli anni indicati all’interno delle parentesi, i versi dei poeti italiani compresi in quest’antologia, trattano delle svariate fasi guerresche che videro coinvolto il nostro paese, più o meno direttamente, nella prima metà del XX secolo. Per chi ben conosce la storia della poesia italiana del Novecento, è facile intuire che in questo ambito, la fanno da protagonisti assoluti tre poeti: Gabriele D’Annunzio, Giuseppe Ungaretti e Salvatore Quasimodo (i primi due vissero direttamente l’esperienza della guerra); sono proprio costoro che scrissero dei versi particolarmente importanti e, in alcuni casi, indimenticabili, che è facile ritrovare in moltissimi libri di scuola di ieri e di oggi. Oltre a loro, in queste pagine compaiono i nomi di poeti più o meno famosi, che scrissero poesie dedicate all’argomento “guerra”; ma, tra di essi, ve ne sono alcuni che si allontanano dalla strada maestra, magari per celebrare un regime che – ai loro tempi – teneva sotto scacco la nazione italiana e veniva esaltato da molti intellettuali non sempre sinceri. C’è anche chi descrive determinate atmosfere che si respirano nei periodi di guerra, nettamente percepiti al di là del fatto che si partecipi direttamente al combattimento. Sono presenti tanti poeti, diversissimi tra loro per scuole e tendenze, accomunati da un evento che, comunque la si pensi, quando accade coinvolge tutti, anche se in modalità diverse. Meno interessante, a mio avviso, è l’ultima sezione del libro, che riporta i testi dei canti guerreschi più famosi, rientranti sempre e comunque nel periodo che va, all’incirca, dal 1911 al 1945, ovvero dalla fine della Belle Epoque, alla fine della 2° Guerra Mondiale. Ecco, per chiudere, tutti i nomi dei poeti presenti in questa antologia (rimangono esclusi dall’elenco gli autori dei testi delle canzoni).

 




Le cinque guerre. Poesie e canti italiani 

Gabriele D’Annunzio, Giovanni Pascoli, Luciano Folgore, Nicola Moscardelli, Giuseppe Ungaretti, Scipio Slataper, Piero Jahier, Giovanni Papini, Corrado Alvaro, Vittorio Locchi, Giulio Barni, Sem Benelli, Ardengo Soffici, Massimo Bontempelli, Francesco Meriano, Angiolo Silvio Novaro, Diego Valeri, Giovanni Bertacchi, Umberto Saba, Clemente Rebora, Eugenio Montale, Ada Negri, Fausto Maria Martini, Vann’Antò, Filippo Tommaso Marinetti, Dino Campana, Luciano Nicastro, Curzio Malaparte, Vincenzo Cardarelli, Renzo Laurano, Antonio Miclavio, Sebastiano Carta, Auro d’Alba, Corrado Govoni, Umberto Olobardi, Berto Ricci, Giuseppe Valentini, Diego Calcagno, Adriano Grande, Emilio Buccafusca, Amedeo Belloni, Elio Bravetta,Ugo Betti, Davide Lajolo, Giovanni Acquaviva, Farfa, Alfonso Gatto, Leonardo Sinisgalli, Enrico Cardile, Piero Bellanova, Raffaele Carrieri, Giuseppe Ravegnani, Guglielmo Petroni, Vittorio Sereni, Mario Gorini, Nelo Risi, Gaetano Salveti, Luciano Luisi, Elio Filippo Accrocca, Marcello Camilucci, Carlo Martini, Roberto Rebora, Mario Farinella, Eraldo Miscia, Egizio Configliacco, Gaetano Arcangeli, Bartolo Pento, Gian Piero Bona, Cesare Vivaldi, Luigi Fiorentino, Giancarlo Marmori, Giuliano Gramigna, Alberico Sala, Fiore Torrisi, Ennio Contini, Luigi Capelli, Bruno Lucrezi, Carlo Galasso, Salvatore Quasimodo, Aldo Palazzeschi, Franco Fortini, Pier Paolo Pasolini, Carlo Betocchi, Libero De Libero, Mario Tobino, Alberto Frattini, Sergio Solmi, Attilio Bertolucci, Cesare Pavese, Giovanni Arpino, Giovanni Titta Rosa, Umberto Bellintani, Mario Cerroni, Franco Matacotta, Giorgio Caproni, Tommaso Giglio, Alberto Mario Moriconi, Giorgio Bàrberi Squarotti, Alfredo De Palchi, Roberto Sanesi, Lorenzo Vota, Egidio Meneghetti, Lino Curci.

 

domenica 18 febbraio 2024

Poeti dimenticati: Giuseppe Albini

 

Nacque a Bologna nel 1863 e ivi morì nel 1933. Fu allievo di Giosuè Carducci e ben presto divenne insegnate universitario a Bologna, dove, dal 1898 tenne la cattedra di grammatica latina e greca. Dal 1924 fu ordinato senatore del Regno. Scrisse poesie fin dall’infanzia, sia in lingua italiana che in latino; fu ottimo traduttore, in particolare di Virgilio, di cui curò l’Opera omnia. Limitandoci ad un breve commento della sua produzione poetica in italiano, si può affermare che Albini rimase sempre un carducciano e, comunque, un poeta strettamente legato ad un fare poetico prettamente ottocentesco.

 

 

 

Opere poetiche

 

“Poesie varie”, Zanichelli, Bologna 1887.

“Liriche (1887-1893)”, Loescher, Torino-Roma 1894.

“Poesie”, Zanichelli, Bologna 1901.

 

 


 

Presenze in antologie

 

"Dai nostri poeti viventi", 3° edizione, a cura di Eugenia Levi, Lumachi, Firenze 1903 (pp. 14-15).

 

 

 

Testi

 

QUARTETTO

 

Scote il quartetto di Mozàrt le corde

Armoniose dei cavati legni:

Il suon s'effonde, né profana morde

Cura già più gli ammaliati ingegni.

 

E tu pure, o Gentil, non lungi siedi,

A le degne di te note beata;

Ma la linea purissima non vedi

Di tua pallida guancia delicata;

 

Che un marmo pare de la dotta Atene,

Se non che su da l'anima amorosa

Spesso una fiamma a colorarla viene,

Come i baci del sole un fior di rosa.

 

Odo e veggo: la sorte, aspra talora,

Gemina fonte di piacer mi schiude,

Ond'io raccolgo a delibar quest'ora.

Quanta è ne l'alma mia, forza e virtude.

 

Tale il greco nocchier, a cui possente

Inno giungeva su pel mar sicano,

Stava, teso l'orecchio, immobilmente

Pendulo il remo da la lenta mano.

 

     Gennaio 1887.

 

(da "Poesie varie", Zanichelli, Bologna 1887, pp. 82-83)

 

 

 

 

Da "TRAMONTI"

 

II.

Il giorno cade, un di que' giorni d'oro,

Ch'è rammarico a l'uom d'esser mortale:

Innanzi al Palatino imperiale

Porporeggia il novissimo decoro;

 

E le colonne memori dal Foro

Guardano ancor per la Via Trionfale:

Romita intanto il Campidoglio sale,

E di sua venustà non chiede alloro,

 

Una dama e dilegua. Il giorno cade,

E lentamente l'inamabil velo

Gli augusti spazi e le reliquie invade.

 

Tale da antico l'uom, intento, anelo,

Vedea fuggirsi per le lievi strade

Il sol nel mare e la bellezza in cielo.

 

(da "Poesie", Zanichelli, Bologna 1901, p. 8)

domenica 11 febbraio 2024

"Piccolo libro inutile" di Sergio Corazzini e Alberto Tarchiani

 

Piccolo libro inutile è il titolo di un volumetto poetico pubblicato nel 1906 dalla Tipografia operaia romana. Gli autori sono Sergio Corazzini (Roma 1886 - ivi 1907) e Alberto Tarchiani (Roma 1885 - ivi 1964); del primo, esponente di spicco della corrente che fu in seguito definita "crepuscolarismo", sono qui presenti otto poesie; di Tarchiani, invece, precedute da una breve prosa poetica, si possono leggere dieci liriche. Per quanto concerne Corazzini, malgrado lo scarso numero di composizioni in versi che compaiono in Piccolo libro inutile, si può affermare che qui il poeta romano raggiunse l'apice del suo brevissimo excursus letterario, poiché i versi di Desolazione del povero poeta sentimentale, così come quelli di Per organo di Barberia e non solo, sono dei veri e propri capolavori, destinati a far parte delle migliori e più severe antologie inerenti la poesia italiana del Novecento. Ho citato due poesie, ma le restanti non sono certamente da trascurare, anzi, direi che complessivamente, questo gruppo di liriche rappresenti il meglio dell'opera poetica di Corazzini. Quanto a Tarchiani, la sua attività poetica iniziò e nello stesso tempo terminò con questa esigua raccolta. Pure, ci furono diversi critici - tra cui Pier Vincenzo Mengaldo - che ebbero buone parole nei suoi confronti; fatto sta che Tarchiani decise, dopo la morte prematura dell'amico Corazzini, di troncare di netto con la letteratura, dedicandosi ad attività ben differenti.

Volendo ora parlare delle riedizioni di questo libriccino, ricordo che, recentemente, sono state pubblicate due ristampe di Piccolo libro inutile: la prima, edita da San Marco dei Giustiniani a Genova nel 2013 (vedi foto sotto); la seconda, pubblicata da Diana Edizioni nel 2021 (ivi sono comprese altre due raccolte di Corazzini: Dolcezze e L'amaro calice). Esiste anche un'ebook recentissimo, edito da StreetLib nel 2021; infine c'è anche un sito web dove è possibile leggere e scaricare gratuitamente la famosa raccolta dei due poeti romani in formato originale.

Passando ai saggi critici riguardanti specificatamente le poesie di Piccolo libro inutile, posso tranquillamente affermare che Sergio Corazzini vantò e tutt'ora vanta una serie innumerevole di commenti più o meno approfonditi di insigni critici letterari riguardanti la sua intera produzione in versi. Diverso è invece il discorso, se si parla di Tarchiani poeta; personalmente, consiglio di leggere almeno il capitolo a lui dedicato da Angela Ida Villa nel volume Neoidealismo e rinascenza latina tra Otto e Novecento (LED, Milano 1999), perché in queste pagine si fa un'analisi molto approfondita delle dieci poesie ivi presenti, oltre che di tutta la fase prettamente letteraria - che in sostanza va ricondotta alla sua prima gioventù - del diplomatico romano.

Chiudo riportando l'indice del volumetto, seguito da due sonetti presenti nella raccolta, rispettivamente di Corazzini e di Tarchiani.   

 

 

Piccolo libro inutile


 



QUESTE SONO LE LIRICHE DI SERGIO CORAZZINI

 

Desolazione del povero poeta sentimentale.

Ode all'ignoto viandante.

San Saba.

Sonata in bianco minore.

A Gino Calza.

per organo di Barberia.

Canzonetta all'amata.

Dopo.

 

 

LIRICHE DI ALBERTO TARCHIANI

 

[Un giorno d'estate...].

A Suora Paola delle Francescane.

Dalle torri del silenzio.

Mattutino.

Polla d'acqua dolce.

Il fanciullo cieco.

Notturno.

Alle cose perdute.

Sull'argine di una gora morta.

Alle foci di un perenne desiderio.

Amen.

 

 

 Testi

 

SAN SABA

di Sergio Corazzini

 

Forse, Antonello, nostra sora Morte,

da la qual nullo uomo può scampare,

udendo quel tuo dolce sospirare

piana venne a le nostre anime assorte,

 

poi che vedemmo le tre chiuse porte

ove i beati stannosi a pregare

e i mendichi non osano levare

occhi, in temenza della buona sorte?

 

Forse, Antonello, se desio di vita

ci crebbe l’ora de le prime stelle

e un di piccoli orti vanimento

 

sì rassegnati al trasfiguramento

che le ingenue anime sorelle

non pensaronsi aver la via smarrita.

 

(da "Piccolo libro inutile", Tipografia operaia romana, Roma 1906, p. 19)

 

 

 

 

AMEN

di Alberto Tarchiani

 

Anima, andremo, sì, per vie serene

e lontano, tra i monti, a salvamento:

alle cerule soglie d'un convento

stenderemo sull'erba nostre pene.

 

Cori sommessi udremo, e cantilene

pie di compagni e favole di vento:

beveremo nei calici d'argento:

faremo un nido delle nostre vene!

 

Ma passeranno l'albe per la valle

e le notti stellate, come fiumi:

a piedi scalzi, un dì, verrà la morte.

 

Tremeranno, di brividi, le porte:

crudeli mani accecheranno i lumi:

andrai piano gemendo, anima, sola!

 

(da "Piccolo libro inutile", Tipografia operaia romana, Roma 1906, p. 89)

 

 

domenica 4 febbraio 2024

La poesia di Giosue Carducci

 

Pur ammettendo il fatto che l’opera poetica di Giosue Carducci non mi entusiasmi più di tanto, è certo che ancora oggi mi rimangono in mente alcuni suoi versi studiati e imparati a memoria, sui banchi di scuola delle elementari (circa cinquant’anni or sono), come quelli di San Martino e Pianto antico. Ciò sta a dimostrare che qualcosa d’importante hanno lasciato in me le scolastiche letture e, direi, non soltanto esse. Oltre alle poesie citate, infatti, ve ne sono almeno una ventina che lessi molti anni dopo, e che mi piacquero. Ancora oggi, rileggendo molta parte dell’opera in versi di Carducci, riconosco il suo indubbio valore. Il ventennio in cui il poeta toscano diede il meglio di sé, credo debba essere identificato nella settima e nell’ottava decade del XIX secolo; in questi anni, caratterizzati da vicende personali assai importanti e da letture decisive (Goethe, Schiller, Baudelaire e Shelley, per citarne alcune), Carducci scrisse versi indimenticabili, che si ritrovano soprattutto nelle raccolte Odi barbare e Rime nuove; ma, più che le tanto celebrate rievocazioni storiche, a me paiono superlativi i sentimenti di dolore, d’amore, di nostalgia e di malinconia che, appunto, si alternano a versi di tutt’altro genere. Ottimo è anche Rime e ritmi: l’ultimo volume di poesie pubblicato da Carducci proprio sul finire di un secolo – l’Ottocento – che nella sua seconda parte lo vide primeggiare indiscutibilmente, e non soltanto nell’ambito poetico (fu anche prosatore e critico letterario). In conclusione riporto l’elenco delle opere poetiche di Carducci, seguito da tre sue liriche che ritengo molto belle. 

 

 


 

Opere poetiche

 

"Rime", Tip. Ristori, San Miniato 1957.

"Levia gravia", Tip. Niccolai e Quarteroni, Pistoia 1868; Zanichelli, Bologna (2° ed.) 1881.

"Poesie", Barbèra, Firenze 1871; ivi (2° ed.) 1875; ivi (3° ed.) 1878.

"Primavere elleniche", Barbèra, Firenze 1872.

"Nuove poesie", Galeati, Imola 1873; Zanichelli, Bologna 1877 (2° ed.); ivi (3° ed.) 1879.

"Odi barbare", Zanichelli, Bologna 1877; ivi (2° ed.) 1878; ivi (3° ed.) 1880; ivi (4° ed.) 1883.

"Juvenilia", Zanichelli, Bologna 1880.

"Nuove odi barbare", Zanichelli, Bologna 1882; ivi (2° ed.) 1886.

"Giambi ed epodi (1867-1872)", Zanichelli, Bologna 1882.

"Ça ira", Sommaruga, Roma 1883.

"Rime nuove", Zanichelli, Bologna 1887; ivi (2° ed.) 1889.

"Terze odi barbare", Zanichelli, Bologna 1889.

"Rime e ritmi", Zanichelli, Bologna 1899.

 

 

 

 

Testi

 

 

UNA SERA DI SAN PIETRO

 

Ricordo. Fulvo il sole tra i rossi vapori e le nubi

calde al mare scendeva, come un grande clipeo di rame

che in barbariche pugne corrusca ondeggiando, poi cade.

Castiglioncello in alto fra mucchi di querce ridea

da le vetrate un folle vermiglio sogghigno di fata.

Ma io languido e triste (da poco avea scosso la febbre

maremmana, ed i nervi pesavanmi come di piombo)

guardava a la finestra. Le rondini rapide i voli

sghembi tessevano e ritessevano intorno le gronde,

e le passere brune strepïano al vespro maligno.

Brevi d'entro la macchia svariavano il piano ed i colli,

rasi a metà da la falce, in parte ancor mobili e biondi.

Via per i solchi grigi le stoppie fumavano accese:

or sí or no veniva su per le aure umide il canto

de' mietitori, lungo, lontano, piangevole, stanco:

grave l'afa stringeva l'aër, la marina, le piante.

Io levai gli occhi al sole - O lume superbo del mondo,

tu su la vita guardi com'ebro ciclope da l'alto! -

Gracchiarono i pavoni schernendomi tra i melograni,

e un vipistrello sperso passommi radendo su 'l capo.

 

(da "Nuove odi barbare", Zanichelli, Bologna 1886, pp. 85-86)

 

 

 

 

 BALLATA DOLOROSA

 

Una pallida faccia e un velo nero

Spesso mi fa pensoso de la morte;

Ma non in frotta io cerco le tue porte,

Quando piange il novembre, o cimitero.

 

Cimitero m’è il mondo allor che il sole

Ne la serenità di maggio splende

E l’aura fresca move l’acque e i rami,

E un desio dolce spiran le viole

E ne le rose un dolce ardor s’accende

E gli uccelli tra ’l verde fan richiami:

Quando piú par che tutto ’l mondo s’ami

E le fanciulle in danza apron le braccia,

Veggo tra ’l sole e me sola una faccia,

Pallida faccia velata di nero.

 

(da "Rime nuove", Zanichelli, Bologna 1889, pp. 80-81)

 

 

 

 

NEL CHIOSTRO DEL SANTO

 

Sì come fiocchi di fumo candido

tenui sfilando passan le nuvole

su l’aëree cupole, sovra

le fantastiche torri del Santo;

 

passan pe l’ cielo turchino, limpido,

fresco di pioggia recente; sonito

di mondo lontano par l’eco

tra le arcate che abbraccian le tombe.

 

Tal su l’audacie de gli anni giovani

a me poeta passâro i cantici,

ed ora ne l’animo chiuso

solitaria ne mormora l’eco.

 

Sì come nubi, sí come cantici

fuggon l’etadi brevi de gli uomini:

dinanzi da gli occhi smarriti,

ombra informe, che vuol l’infinito?

 

(da "Rime e ritmi", Zanichelli, Bologna 1902, pp. 5-6)