domenica 30 aprile 2023

Sera di Gavinana


 




                                          ad Angiolo Orvieto

 

 

L'aere torbido quando è sera

si quieta in una intima canorità.

Con lo scender che fa la nube a valle,

presa a lembi qua e là,

come ragna tra fronde intricata,

tutto il mondo è dipinto di viola.

Non è allora un più dolce vagare,

per l'anima che tutto il dì s'affanna

ed in se stessa, incredula, si torce.

Dai borghi affaccendati,

qui sotto,

però che al lungo riposo

vuol esser presta ogni cura,

e quasi, declinando,

l'opere sue più il giorno affretta,

è un venire di voci

alacri e folte come le formiche.

Vi si mischia il pulsare, il batter secco

ed alto del camion sullo stradone

che varca i monti con stupor dell'occhio

incarcerato nell'eterno cerchio.

E tutto quanto a sera,

dai campanili dalle fonti

dalle introvabili alcove

degl'insetti sonori,

fa concerto e preghiera,

lascia nell'aria sgombra

la sua tremante risonanza effusa.

Ma sovrattutto come più riluce,

nell'ombra che non ha un altro riso,

il manto de' tuoi fianchi ampii, appennino!

Sui tuoi prati che salgono a gironi

questo liquido verde, che s'accenta

più chiaramente sulle prode erbose,

dove la mucca vorace non rade,

e dovunque lo stria,

mobile come il vento,

un mirabile argento di ninfea,

tante volte rinasce

quant'acqua è che ricade,

novellamente, tra gl'inganni del sole.

Ed io n'ho punto il cuore.

Non pur la sera,

è questo santo colore

che veste Iddio nell'atto germinale,

quando le cose uscite appena

sono ancor umide del suo mistero,

che mi rapisce sull'inquieta via

e sì teneramente fa star muto

il mio perenne monologo acerbo.




COMMENTO

Con l'arrivo della sera, nella località di Gavinana (quartiere di Firenze) e in tutto il circostante Appennino toscano smette di piovere; le nubi scendono a valle sparpagliate, quasi strappate a lembi - tanto da far pensare a delle ragnatele che s'avvolgono tra i rami degli alberi - mentre i monti, con lo scemare della luce, assumono un colore violaceo. In questi momenti è bello vagabondare, soprattutto per coloro che, durante la giornata, sono troppo presi dai soliti affanni e si tormentano per la loro mancanza totale di qualsivoglia fede. Dai borghi sottostanti giunge un vociare piacevole e fitto, che fa da prologo alla fine della giornata ed all'imminente riposo notturno. A quest'ultimo si mescola il rumore di un camion che passa sulla strada e attraversa i monti; con esso, si odono altri rumori gradevoli: grilli che cantano, campane che suonano e fonti che chioccolano; il tutto, forma una sorta di concerto o preghiera serale che sembra tremare nell'aria sgombra della fine di un giorno. Ma, proprio in quest'ora quasi buia, lo sguardo rimane attonito nel vedere lo splendore dei prati presenti sui fianchi dell'Appennino, i quali sembrano salire a fasce; questo verde limpido, che torna più vivo ogni volta che è caduta la pioggia e che, grazie al vento e alla luce ingannevole irradiata dal sole, ha riacquistato una sua particolare lucentezza, trasmette all'anima un senso vago di rapimento; così, quest'anima soventemente troppo inquieta e vagabonda, può permettersi una sosta di silenzio e di estasiata tenerezza. 

Questa poesia di Vincenzo Cardarelli (Corneto Tarquinia 1887 - Roma 1959) mostra più di un'affinità con alcune liriche di Giacomo Leopardi, come La quiete dopo la tempesta o Il sabato del villaggio; è, insomma, una sorta d'idillio in cui il poeta, nel descrivere particolari momenti di una giornata (in questo caso quelli che seguono lunghe ore di pioggia e preannunciano un notte tranquilla), inserisce anche considerazioni intime e morali favorite dall'osservazione di certi fenomeni naturali, che alla fine divengono massime, sentenze e ammonimenti. Sera di Gavinana fu pubblicata per la prima volta sulla rivista Lirica, nel numero speciale del Natale 1913. Ricomparve in Il Tevere del 4 settembre 1929; nel medesimo anno, Cardarelli la inserì nel volume di prose e versi Il sole a picco (L’Italiano, Bologna 1929); fu quindi reinserita in Giorni in piena (Quaderni di Novissima, Roma 1934) e, finalmente, nel primo volume che comprendeva la gran parte dei versi del poeta tarquiniese: Poesie (Novissima, Roma 1936). Nella foto che apre questo post, si può leggere dalla pagina 24 del volume Opere (Mondadori, Milano 1993); subito dopo, ho trascritto la prima versione della poesia, che, come ho già detto, comparve sulla rivista Lirica.

martedì 25 aprile 2023

Le partigiane in due poesie

 

Quest’anno, in occasione del 25 aprile, ripropongo la lettura di due poesie che vedono protagoniste due figure femminili; sono due giovani donne che parteciparono direttamente alla Resistenza, e a cui due poeti: Enzo Petrini (Siena 1916 – Bassano del Grappa 2008) e Federico Almansi (Firenze 1924 – Milano 1978), hanno dedicato dei versi. Della prima, viene reso noto il nome: Anna; a parte ciò, se ne sa poco, ma è sicuro che il poeta l’ha perduta di vista; ciò nonostante l’uomo la ricorda ancora con affetto, ed è certo che, nel caso in cui si dovesse ricreare una situazione drammatica, simile a quella della guerra da poco conclusasi, entrambi tornerebbero a combattere per difendere quei valori che sono fondamentali per poter vivere in una società giusta e libera. Della seconda non si conosce neppure il nome, ma si sa che, come il poeta, ha vissuto e lottato negli anni del conflitto bellico, combacianti col periodo della loro prima giovinezza; tra i due, proprio in quel periodo, è nato qualcosa di particolarmente importante, che li lega ancora, malgrado ora siano lontani; il legame si estrinseca nella condivisione del forte dolore che la ragazza in particolare ha vissuto, a causa di gravi perdite affettive. Questo sentimento comune è stato talmente intenso che entrambi, ora, si sentono uniti per tutta la vita.

La poesia di Petrini, si trova nel volume intitolato In cammino, comprendente, oltre ai versi del poeta senese, quelli di Renzo Bresciani, Pigi Piotti e Angio Zane; fu pubblicato dalla Tipografia F. Apollonio e C. in Brescia nel 1946. Per una giovane partigiana, di Federico Almansi, è tratta dal volume Attesa. Poesie edite e inedite, Diego Dejaco Editore, Segrate 2015; era già apparsa nell’unica raccolta di versi che il poeta fiorentino pubblicò in vita: Poesie (1938-1946), Fussi, Firenze 1948.

 

 

 LE PARTIGIANE IN DUE POESIE

 



 

AD UNA PARTIGIANA

di Enzo Petrini

 

Forte, Anna, te penso

nell’educato cuore

e dolce ai perduti giorni

che chiusero la nostra giovinezza.

Riprendere le immagini non oso

al giro già fermo del tempo

eppur le voci sussistono immutate

e come vive

sulle strade che abbiamo conosciute.

Forse, se pensi, rivelati

fummo nella vera essenza

dimentichi degli uomini leggeri

che fingevano amore

e divorati

da una fiamma segreta

che ci rendeva uguali.

Or nella vita ti auguro

divertita ad altri frammenti

del consumato esistere

e conclusa.

Dopo il breve pertugio

il cerchio si richiude;

ma se tornasse il tempo,

saremmo ancora sull'altana

donde si domina il mondo.

 

(da In cammino, Tipografia F. Apollonio e C., Brescia 1946, pp. 76-77)

 

 

 


 

PER UNA GIOVANE PARTIGIANA

di Federico Almansi

 

L'ora che scende,

come un angelo ferito, ha l'amaro

di un desiderio vano.

Copre Milano

un velo di malinconia.

                                Fiorisce

l'amore, dopo tanto, nel tuo cuore.

Il tedesco quanto avevi distrusse.

Sopravvissuta al male disumano,

all'orrore dell'odio fratricida

una comune sventura ci univa.

 

Il tuo dolore sento mio, mio il pianto,

mio lo strazio che di un'ombra

vela il tuo bianco viso delicato.

Si rileva beata

la tua mia giovane vita umiliata.

 

(da Attesa. Poesie edite e inedite, Diego Dejaco Editore, Segrate 2015, p. 54)

 

 

 

domenica 23 aprile 2023

Antologie: "Dio borghese"

 

Dio borghese (sottotitolo: Poesia sociale in Italia 1877-1900) è un’antologia poetica che fu pubblicata da Gabriele Mazzotta Editore in Milano nel 1978. Dal titolo e dal disegno presente sul piatto anteriore di questo libro, ben si evince che si tratta di un’antologia anomala; ma, nel preciso periodo in cui fu pubblicata, non è l’unica selezione di versi che si occupi di un settore così particolare; infatti, l’anno precedente era uscito il volume intitolato Poeti della rivolta (di cui già mi sono occupato in un altro post), che mostra delle somiglianze inconfutabili con Dio borghese, a parte l’assenza di quei poeti che, in quest’ultima antologia, vengono etichettati quali “rappresentanti della poesia borghese”. Per spiegare i motivi della nascita e della realizzazione di Dio borghese, riporto per intero l’esauriente spiegazione che si trova sul retro del libro.

 

La poesia sociale è un fenomeno culturale del tardo Ottocento oggi quasi del tutto trascurato grazie all’idealistico concetto di valore artistico ripristinato dal Croce e dai suoi epigoni liberali e marxisti. Non potrebbe essere altrimenti dato che in Italia è completamente venuto a mancare tra gli intellettuali, autoelettisi depositari di ogni valore culturale, quel dibattito sulla letteratura operaia che in altri paesi ha avuto tutt’altra risonanza.

Gli storici della letteratura e della cultura istituzionale hanno così passato sotto silenzio, non ritenendola nemmeno degna di analisi, la produzione poetica e teorico-letteraria elaborata dal movimento socialista fin dalla sua nascita per mezzo di operai autodidatti e di intellettuali simpatizzanti. Eppure, coloro che oggi sono considerati poeti minori o sono addirittura ignorati furono letti e «gustati», attraverso la stampa socialista e radicale, ben più del Pascoli, del vecchio Carducci e degli altri rappresentanti della poesia borghese.

Nell’introduzione, l’autore ha provato a mettere in luce le ragioni di questa lacuna storico-letteraria, attraverso la critica del concetto di poesia in vari intellettuali marxisti. Nella parte antologica sono presentati e commentati oltre 120 componimenti apparsi sulla stampa della fine dell’Ottocento, opportunamente divisi in varie sezioni: l’amore, la condizione femminile, la miseria, lo sfruttamento, l’anticlericalismo, l’antimilitarismo ecc. Ciò al fine di analizzare le ideologie di volta in volta veicolate attraverso l’espressione poetica.

 

Per approfondire ancora di più gli argomenti sociali e politici che questa antologia vuole mettere in risalto, è bene leggere l’introduzione di Adolfo Zavaroni, che è anche il curatore dell’opera presa in esame. Chiudo riportando tutti i capitoli dell’antologia, compresi i nomi dei poeti che vi compaiono coi loro versi. Come facilmente si noterà, questi poeti non sempre usavano il loro vero nome, firmandosi con fantasiosi pseudonimi, oppure con delle iniziali puntate.

 

DIO BORGHESE – POESIA SOCIALE IN ITALIA 1877-1900

 






LA FUNZIONE DELLA POESIA

Poesie di: Carolus, C. Monticelli, I. Dall’Arabo, P. Gori, A. Pini, A. Negri, G. Cena, A. Nosari, L.N. Tommasi, C. Giussani.

 

L’AMORE

Poesie di: C. Monticelli, I. Dall’Arabo, Ich, Rusticus, Bomba, Birichino, P. Gori, G. Natali, A. Nosari, Ideale, P. Mandré, O. Guerrini, F. Turati,

 

LA DONNA

Poesie di V.D.C., A. Seveso, S. Ferrari, F. Turati, Enrico, E. Fiuleicioff, U. Tanganelli, Gemma, G. Marchesi, Spiro, E. Fabietti, D. Stari, E. Calaber, P. Bettini.

 

IL MILITARISMO E LA PACE

Poesie di: Pepè, R. Prati, M. Rapisardi, C. Drago, G. Romano Catania, Anonimo, O. Guerrini, C. Corradino.

 

LA MORTE

Poesie di: I. Dall’Arabo, Tiberio, M. Pilo, Uno del tempo antico, P. Gori, Dies, E. Bellelli, Lauro, A. Seveso, A. Negri, A. Castiglioni Vitalis

 

LA MISERIA E LA FATICA

Poesie di: Minimus, C. Monticelli, G. Scarano, G. Corleto, L. Ratti, A. Parenti, Una Donna, A. Castiglioni Vitalis, L. Bistolfi, E. Fabietti, A. Negri, E. De Giosuè.

 

RICCHI E POVERI

Poesie di: V. Lauri, P. Rimi, Uno del tempo antico, V.L. Paladini, M. Rapisardi, E. Socci, N. Belli, A. Pini.

 

IL GOVERNO

Poesie di: G. Saragat, N.A. Ammeg, F.G. Cornecchia, A. Cabrini, A. Pini, M. Sfila, Goliardo, Selvaggio, O. Guerrini, P. Bettini, Frasca, F. Tocci.

 

LA CHIESA

Poesie di: Labronio, O. Guerrini, C. Monticelli, O. Fortuna, T., Oreste, Tito Vezio, E.N., C.F. Risi, B. Federici, A. Pini, G.S. Righi.

 

LA LOTTA E LA REDENZIONE

Poesie di: C. Monticelli, O. Guerrini, I. Dall’Arabo, Vesuvio, V. Vivarelli, Penitente, P. Gori, L. Jacoby, F. Fontana, G. Cena, F. Turati.    

domenica 16 aprile 2023

Poeti dimenticati: Enrico Onufrio

 

Nacque a Palermo nel 1858 e morì ad Erice nel 1885. Oltre che poeta, fu narratore, giornalista e critico letterario; fu anche cofondatore e condirettore della rivista «La Farfalla», dove pubblicò memorabili articoli. Partecipò, da volontario combattente, alla guerra tra Epiro e Turchia. Morì a soli ventisette anni, dopo aver conseguito la libera docenza in letteratura italiana all’Università di Catania. Le sue sparute raccoltine di versi, mostrano a volte un’anima ribelle, che si scaglia contro i detentori del potere; esiste però anche un lato intimista dell'Onufrio, che in taluni casi, rivolgendosi ai migliori amici, mette in versi una dettagliata descrizione dei suoi ricordi più belli vissuti insieme a loro. Complessivamente, la sua poesia rappresenta un proseguimento della scapigliatura, pur possedendo alcuni elementi che la avvicinano anche al realismo.

 

 

Enrico Onufrio

 

 

Opere poetiche

 

“Barbarie”, Tip. Gaudiano, Palermo 1877.

“Momenti”, Tip. Gaudiano, Palermo 1878.

“Albàtro”, Sommaruga, Roma 1882.

 

 

 

 

Presenze in antologie

 

"Poeti della rivolta", a cura di Pier Carlo Masini, Rizzoli, Milano 1977 (pp. 207-210).

"Sicilia, poesia dei mille anni", a cura di Aldo Gerbino, Sciascia, Caltanissetta-Roma 2001 (pp. 348-352).

 

 

 

 

Testi

 

 

 

MOMENTI

 

Momenti, momenti

D'orribile noia,

Momenti di gioia,

 

Volate co' venti,

Correte le vie,

Leggiadre follie.

 

Se il mondo v’accoglie

Col riso e lo scherno;

Se un urlo d'inferno

 

Vi ferma alle soglie,

La folla lasciate...

Momenti, tornate!

 

(da "Momenti", Gaudiano, Palermo 1878, pp. 9-10)

 

 

 

 

IN VILLA

 

Quando viene la sera, e la campana

Spande nell'aria un suono di lamento,

E la nebbia s'addensa a la fiumana,

E corre i campi, sibilando, il vento,

 

O mio povero cor, cui lunga e arcana

Infermità va distruggendo a lento,

Te pur la nebbia de la vita umana

Fredda e greve ravvolge in quel momento.

 

Ma nel deserto de la vita mia,

Dolce conforto al mio lungo dolore,

Mi sorride una donna onesta e pia;

 

E brilla ne le sue luci serene

Solitaria una lacrima d'amore:

Povera mamma quanto mi vuol bene!

 

(da "Albàtro", Sommaruga, Roma 1882, p. 55)

sabato 8 aprile 2023

La Pasqua in 10 poesie italiane pubblicate tra il 1900 ed il 1909

 

Per il giorno di Pasqua ecco un post con 10 poesie scritte da poeti e poetesse d’origine italica sul tema della più importante festa primaverile. Si comincia con i versi di due donne: Vittoria Aganoor e Maria Pia Albert, che si differenziano alquanto; la prima si distingue per intensità, mostrando una fede religiosa assai solida, dimostrata in modo ineccepibile da una chiusura fortemente appassionata, che esorta ad un amore fraterno allargato a tutta l’umanità. La seconda, invece, che è dedicata ai giovani soldati, nonché a coloro che combattono e sacrificano la loro vita per la patria, a me sembra decisamente enfatica. Seguono i versi di due poeti: Ettore Botteghi e Giuseppe Casalinuovo, che rispettivamente avvertono - ancor più nel giorno di festa – la mancanza del padre e della madre: genitori deceduti da poco tempo e rimpianti da tutta la famiglia. Dai toni crepuscolari sono i versi di Corrado Govoni, che si sente solo e abbandonato dalla donna – Elena Maria – a cui è dedicata la poesia; tale sensazione diviene intollerabile nel periodo pasquale, quando la primavera si mostra in tutto il suo splendore. Piena di bei propositi è la poesia di Riccardo Mazzola, che nel giorno di Pasqua guarda gli ulivi pensando a ciò che essi simbolizzano: la pace universale. Disillusione mostrano invece i versi di Francesco Pastonchi, che non si fa ingannare dall’aria festosa, tipica della Pasqua, ben conoscendo il vero animo degli uomini, i quali fingono di essere buoni nei giorni dedicati alla pace e al perdono, ma dentro di essi covano odio e vendetta. Il sonetto di Cesare Rossi è un’esortazione a se stesso, affinché, aiutato dal clima pasquale, possa sollevarsi da uno stato di desolazione, e tornare a vivere con più vigore e speranza. Una vaga tristezza si avverte negli ultimi due componimenti poetici, rispettivamente di Domenico Santoro e di Enrico Thovez: per entrambi la festa della Pasqua non rappresenta un momento gaio; il primo, negletto e infelice, si rammarica di ritrovarsi in un luogo a lui ostile, lontano dalla sua terra natale. Thovez invece, si lascia andare ai ricordi, pensando alle pasque della sua adolescenza, quando, malgrado non fosse già credente, avvertiva in tutti i suoi sensi quell’empito vitale emanato dalla natura e dall’umanità nel giorno di Pasqua: colline fiorite, prati verdi, canti di uccelli, suoni di campane, ragazze allegre, amanti abbracciati… e tutto ciò gli trasmetteva un’energia ed una commozione incommensurabili; poi, ahimè, arrivava puntuale il risveglio, e il poeta si rendeva ben conto che aveva soltanto sognato ad occhi aperti, e che il mondo era tutt’altra cosa da come si era illuso di vederlo. 

 

 

 La Pasqua in 10 poesie italiane pubblicate tra il 1900 ed il 1909

 



PASQUA DI RESURREZIONE

di Vittoria Aganoor (1855-1910)

 

Per poco l'hai tu, o Morte, irrigidito

sovra la croce! e in sindone ravvolto

per poco dentro l'arca di granito,

l'hai, cittadin d'Arimatea, sepolto!

 

Donne, piangete invan! pianga lo stolto

gregge, che l'ha di spine redimito:

l'Emmanuele d'ogni ceppo è sciolto;

non s'imprigiona, o donne, l'infinito!

 

Ecco, Egli torna, Egli vi parla: — «È data

a me la potestà del mondo, e l'orme

segnerò tra i fedeli e tra i ribelli,

 

sempre per la sequela interminata

dei secoli, clamando in mille forme

con mille voci: — Amatevi, o fratelli! —

 

(da "Leggenda eterna", Roux e Viarengo, Torino-Roma 1903, p. 193-194)

 

 

 

 

LA PASQUA DEI SOLDATI

di Maria Pia Albert (1869-?)

 

Stamane in Chiesa — era del Sacrificio

l'ora imminente e su l’altar maggiore

quasi pensier di fede, ne l’attesa

sfavillavano i ceri — a l'improvviso

sfilar io vidi ed alla Sacra Mensa

umile e franco prosternarsi (oh nova

vista gentil, onde ogni anima esulta!)

un drappello di giovani soldati.

Ed il Ministro allor venne a l’altare,

pregò, nella sua gracil man levata

alto rifulse il Corpo del Signore...

Non mai più divin fremito le austere

navate corse che l’istante arcano

quando in petto a quei forti Iddio discese.

Fratelli! e sempre Ei sia con voi: risplenda

la luce sua sovra ogni vostra impresa,

o di vincere degni! Ha sue battaglie,

quanto secrete più tanto più ardue,

l'umano spirto anch'esso, e mal trionfa

— qual che sia il campo — chi l’anima ha schiava.

Ma in voi secura fonderem la speme

gioia ne incomba o duol... Forse lontana

l'ora non è che sacrificio invochi

la Patria ancor di lacrime e di sangue

da’ suoi figli; e l’avrà. Soave intanto,

quasi presagio d’avvenir sognato,

questa, a noi, santa vision sorrida:

Uno l’Altare, una la Fe’; concorde

al mistico banchetto de l'Amore

innumerato un Popolo, per sorti,

per natal vario, per età: sospiro

di ciascuno e di tutti — unico — Iddio.

 

(da "Nostalgia", Cogliati, Milano 1902, pp. 81-82)

 

 

 

 

PASQUA DI RESURREZIONE

di Ettore Botteghi (1874-1900)

 

Ma tu non torni. Uno squillar giocondo

va per il cielo che a l'aprile odora.

Pregano. Al Cielo nella fulgida ora

s'aderge Cristo, Redentor del mondo.

 

Ma tu non torni. Ed io non piansi mai

come a questo di gloria inneggiar grande,

né a tanta vita che l'aprile espande,

né a tanti fiori che desiderai.

 

O rose che la mia stanza odorate,

giacinti bianchi come bianco è Amore,

oh come è vano al mio grande dolore

tutto il profumo che su me versate!

 

Meglio era che voi foste là dov'io

sperai di riposare il corpo affranto,

e non saper che dorme al Camposanto

la mia bella speranza: il babbo mio;

 

meglio assai, rose e candidi giacinti,

sopra il mio corpo immobile, e sentire

come dal cuore pie rose fiorire,

che andare, andare, così stanchi e vinti!...

 

(da "Poesie", Tip. A. Valenti, Pisa 1902, p. 77)

 

 

 

 

PASQUA

di Giuseppe Casalinuovo (1885-1942)

 

O piccolo dolce fratello,

non stare con noi a lamentarti;

c'è il sole di fuori che brilla,

e i bimbi che cantano a festa.

 

Quand’ero io bambino, mi stavo

di fuori, nel sole e tra i bimbi;

le acacie li sanno i ricordi

di tutti quegli anni lontani.

 

In casa c’è troppo dolore:

le imposte son tutte socchiuse;

ci manca financo la luce

da quando ci manca la Mamma.

 

Non stare con noi a disperarti,

o piccolo dolce fratello:

i teneri steli, se guardi,

si spezzano al vento d’aprile.

 

Di fuori c’è il sole, oh che sole!

di fuori s’inseguono i bimbi...

oh ancòra tornare tra i bimbi,

nel grande trionfo del sole!

 

Qua dentro c’è troppo dolore,

non stare con noi ad ammalarti:

io t'apro le porte, o fratello,

ai canti, ai trastulli ed al sole!

 

Oh senti che squille di gloria

si spazian squillando nel cielo...

È Pasqua, la Pasqua, o fratello;

io t'apro le porte alla pace.

 

Non piangere e lasciaci soli;

noi abbiamo goduto altri tempi.

Io t'apro le porte: è il tuo tempo:

è Pasqua ed io t'apro le porte!

 

(da "Dall'ombra", S.T.E.N., Torino 1907, pp. 95-96)

 

 

 

 

PASQUA

di Corrado Govoni (1884-1965)

 

                                                     ad Elena Maria

 

Non è Pasqua di resurrezione

oggi forse, e non è la Primavera

tornata con le rondini a schiera

dei sogni e con le floride corone?

 

È vero! Ora è la rinnovazione

d'ogni cosa e la dolce Primavera

è ritornata, ma la mia ringhiera

è in continua desolazione...

 

Ma quando mai la Primavera vera

tornare coi suoi balsami per me

potrà, per me che sono senza amore...

 

Non verrà mai la vera Primavera,

Elena mia, lontano da te...

O Pasqua sconsolata pel mio cuore!

 

(da "Le fiale", Lumachi, Firenze 1903, pp. 30-31)

 

 

 

 

PASQUA D’ULIVI

di Riccardo Mazzola (1890-1922)

 

O sovra i cieli trepidi giulivi

tutti effusi di luce e di preghiera,

ne la serenità di primavera

lunghi e tremuli a 'l sol, rami d’ulivi!

 

Pace riso ed amor cantano i rivi

cantan le selve a chi aspettando spera:

in ascolto così fremono i vivi,

tremano i morti ne la terra nera.

 

Breve non sia la tua speranza, o cuore:

poco è per te se la tua donna rechi

ne le mani e ne' grandi occhi la pace.

 

Non sol per te pace tu chieda, amore,

ma per il mondo che di giorni biechi

tutto s’infosca ne la lotta audace.

 

(da "La battaglia", Voghera, Roma 1909, p. 22)

 

 

 

 

PASQUA

di Francesco Pastonchi (1874-1953)

 

È Pasqua, è Pasqua. Su la folla prona,

Tra 'l vario sfolgorìo dei lampadari

Che accende l'oro e i drappi e i marmi rari,

L'organo fragoroso scroscia e tuona.

 

«Cristo risorge, Cristo che perdona»

Canta il popolo: e brillano più chiari

I ceri, e i santi ascoltan dagli altari;

Ma nei cuori tal canto non risuona.

 

Con l'incenso svaniscon le parole;

Non perdonano i cuor: solco d'offesa

Riamne come un segno di saetta.

 

E questa folla sciamerà nel sole

Fra poco, oltre la soglia della chiesa,

Per tornare alla guerra e alla vendetta.

 

(da  «La Donna», 5 aprile 1909)

 

 

 

 

PASQUA

di Cesare Rossi (1852-1927)

 

Alta è la Pasqua in sul cader d'aprile,

E ride primavera in pieno fiore,

E da le ville zefiro sottile

Reca dell'erbe nove il fresco odore.

 

E l'anima si fa buona e gentile

In questo pio spiritual tepore,

E si dispoglia d'ogni senso vile,

E chiede al mondo sua stagion d'amore.

 

Anima mia, che sai la settimana

Di passione, e conversar ti piace

Più co' tuoi morti che indugiar fra i vivi,

 

Levati, e qui, dove in perenni rivi

Fluisce il canto primigenio, in pace

T'accorda a questa Pasqua di Toscana.

 

(da "Firenze", Balestra, Trieste 1906, p. 30)

 

 

 

 

PASQUA

di Domenico Santoro (1868-1922)

 

Squilla uno scampanìo, cresce, si fonde

in un concento di solennità;

l'aure ne portan l'armonie profonde

nunzie di pace e di giocondità.

 

È Pasqua, è Pasqua! April tepente olezza,

è moto per le vie, pei cieli è vol,

tutto intorno è risveglio, è giovinezza;

dai puri azzurri benedice il sol.

 

Ma non per me! da' pispiglianti nidi

per gli alti spazi io vi perseguo invan,

pensando, o brune rondini, altri lidi,

pensando il nido mio lontan, lontan...

 

(da "Rime", Giusti, Livorno 1901, p. 69)

 

 

 

 

CAMPANE DI PASQUA

di Enrico Thovez (1869-1925)

 

Romban tuonando pel concavo azzurro le bronzee campane

dai campanili a distesa su la risorta città. 

Pur ieri ancora era l'ombra grigia d’inverno: ecco esulta

l’aria e lampeggia d'azzurro: un sole limpido inonda

le vie fragranti, sonore di carri, le case chiare.

Il vento porta sentori di terra smossa, le gemme

scoppiano, il verde fiammeggia, gli occhi si cedono agli occhi...

Trilli d’uccelli, folate di vento tepido, palpiti

di vita rinnovellata, ed un sussurro, un clamore

per l'aria d’oro vibrante in un festoso rimbombo...

Mi sorge in cuore un confuso rombo di Pasque d'un tempo:

suonano fievoli e dolci nelle memorie lontane.

Niuna dolcezza di fede mi lega a quegli anni. Solo,

per la collina fiorente, per verdi prati novelli,

per boschi e campi, cacciato da un invincibile ardore,

nella letizia del mondo pel nuovo tempo risorto

dopo il torpore invernale, l'anima in petto d'un dio,

andavo io allora cercando confusamente, col cuore

gonfio, in tumulto, con gli occhi bramosi, il santo, supremo

sogno di gloria, d’amore, di voluttà, di dolore.

Era d'aprile, ed i peschi erano in fiore. Spiccando

esili in vetta dei poggi sul tenue azzurro lontano,

il roseo fiore dell'anima mite esalavano ai venti.

Avean le vaghe colline, brulle nell'alto e violette

di boschi foschi, già verdi nel basso d'umidi prati,

inafferrabili sensi d’amore: uccelli cantavano,

come un’ebbrezza saliva su dalla terra feconda,

e giù, nel basso, ai miei piedi, prona, dispersa pel piano,

rossa di tetti, fremeva la città immensa. Brillava

dai mille suoi vetri come di chiusi fuochi, al tramonto;

onde di suon di campane solennemente salivano

lassù, a morire nell'ampia pace dell’aria sul colle.

E attorno nel dì cadente pei verdi prati già in ombra

fanciulle in abiti chiari correano in cerca cogliendo

le violette pei margini. Ne udivo i gridi festosi,

le treccie sciolte, chinandosi, scorreano giù per il seno;

e si chiamavano forte, con grandi mazzi tra mano,

da un poggio all'altro, ridendo, con voci giovani e fresche...

E tutto il bosco suonava di passi e voci; sparivano

gli amanti a coppie, pei viottoli, le braccia strette alla vita.

Io non provavo alcun slancio di fede in cuore. Non era

là con gli eguali il mio spirito dentro le chiese osannanti.

Un collo bianco, una treccia disciolta, un busto piegato,

le rosee forme dei fiori, le voci giovani, il brivido

già della sera, la vasta ombra fulgente dei cieli,

aprendo all’anima il mondo per tanto tempo agognato

confusamente in un vano tumulto cieco d’amore,

che dolci sogni severi, che sensi immensi, che palpiti

mi suscitavano, ardendomi le vene un fuoco mortale!

Spasimo folle d’amore, sogno rovente di gloria,

un desiderio indicibile di stringer tutto a me il mondo,

sopra me stesso m’alzava. Parea che il cuor di fanciullo

mi divenisse gigante, scoppiando del sogno immenso...

Ma l'ombra inerte cresceva. Morian le voci lontane

giù per le valli: deserti i prati, mute le rive:

era lontano, era un sogno. Ed io tornavo pei boschi

incespicando nell’ombra contro gli sterpi, piangendo

lagrime, calde, dirotte di inesprimibile amore.

 

(da "Il poema dell'adolescenza", Streglio, Torino 1901, pp. 29-31)

 



Albert Pinkham Ryder, "Resurrection"
(da questa pagina web)