Svegliarsi, un giorno, senza sapere più nulla di noi, della nostra vita passata e presente. Questo succede ad un uomo di cui parla Antonio Porta (pseudonimo di Leo Paolazzi, Vicenza 1935 - Roma 1989), in una delle poesie raggruppate nella sezione Rapporti umani, e leggibile in un volume che riassume l'opera in versi dello scrittore veneto. L'immemore si accorge di avere la barba lunga, quindi esce di casa e si reca dal barbiere; quest'ultimo gli chiede dei suoi figli e il pover'uomo non si ricorda neppure di averli. Sempre più perso in se stesso, lo smemorato torna a casa e vi trova la consorte, che gli si fa incontro con modi ostili; lui non la riconosce, non sa chi sia. Il resto è la devastante caduta in un vuoto di memoria che provoca acuta sofferenza e che sfocia nella pazzia.
RAPPORTI UMANI, XI
«Della mia vita, in un certo giorno,
non seppi più nulla, soltanto quello
che rivelò il barbiere domandando dei
miei figli e m’accorsi di non averne mai
saputo, guardandomi bene negli occhi sopra
la schiuma e i riflessi del rasoio.
Uscii e impolverai le scarpe tra le
pietre, e proseguii, le stringhe
slacciate, sulla via di casa, il
gocciolìo del sudore: entrando qualcosa
accadde, non ricordo; dietro il portone,
immobile tra i cristalli, l’ostilità di
mia moglie e mi chiesi chi era.
Per togliere la polvere, chinato, si recidevano
le stringhe, la fronte mi sanguinava, tra i
cristalli spezzati, le stringhe tra i capelli,
e premevo, frugando fra le schegge, scrivendo
nella polvere, la lingua mi si tagliava,
lambendo, il sangue colava dagli occhi, sulle tempie,
i figli non sanno nulla...»
(da "Poesie 1956-1988", Mondadori, Milano 1998, p. 34)
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