Lacerba è il titolo di una rivista letteraria, artistica e
politica, che fu pubblicata a Firenze tra il 1913 ed il 1915. Fu fondata da
Giovanni Papini e Ardengo Soffici, che scelsero tale nome pensando a L’Acerba, ovvero al famoso poema di
Cecco D’Ascoli, da cui adottarono anche l’epigrafe: «qui non si canta al modo
delle rane». Lacerba nacque come
rivista quindicinale, per poi divenire settimanale dal gennaio del 1915 fino
all’ultimo numero, che praticamente coincise con l’entrata dell’Italia nella
Grande Guerra. Molti di coloro che collaborarono a Lacerba, erano intellettuali provenienti da un’altra celebre
rivista: La Voce; ad essi se ne
aggiunsero altri, spesso giovani, che avevano una spiccata tendenza al rinnovamento
ed alla sperimentazione. Tra i poeti più talentuosi che pubblicarono versi su Lacerba, si ricordano i nomi di Dino
Campana, Aldo Palazzeschi, Corrado Govoni, Camillo Sbarbaro e Giuseppe
Ungaretti. Ecco, infine, tre poesie che uscirono, per la prima volta, sulla
rivista fiorentina.
TORBIDITÀ
di Camillo
Sbarbaro (1888-1967)
Nel mio povero
sangue qualche volta
fermentano gli
oscuri desideri.
Vado per la città
solo la notte:
e l'odore dei
fondaci al ricordo
vince l'odor
dell'erba sotto il sole.
Rasento le
miriadi degli esseri
sigillati in sé
stessi come tombe.
E batto a porte
sconosciute, salgo
scale consunte da
generazioni.
La femmina che
aspetta sulla porta
l'ubriaco che
rece contro il muro
guardo con occhi
di fraternità.
E certe volte
subito trasalgono
nell'andito
malcerto, in capo a cui
occhi di sangue
paiono i fanali,
le mie nari che
fiutano il delitto.
Mi cresce dentro
l'ansia di morire
senza avere il
godibile goduto
senza avere il
soffribile sofferto.
La volontà mi
prende di gettare
come un ingombro
inutile il mio nome.
Con per compagna
la Perdizione
a cuor leggero
andarmene pel mondo.
(da «Lacerba»,
anno 1, n. 12, giugno 1913)
QUATTRO BEGLI
OCCHI
di Giovanni
Papini (1881-1956)
Occhi color di
rhum nel bicchiere che brilla
occhi color
mattino specchiato nell’acqua tranquilla
occhi-passione
della mia maggiore
occhi-piacere
della mia minore
occhi nuovi umidi
e felici
venuti a
risplender per me
nel posto d’occhi
che si chiusero in quest’anni
e ch'eran morati
e castagni
verdi e celesti
come i vostri
Occhi belli delle
mie figliuole
così luminosi
nelle giornate di sole
pronto soccorso
contro le tristezze
più delle bianche
risa e de' baci ciliege
e di tutte le
vostre carezze
Occhi grandi
delle mie bambine
così piccine
che guardate
tutto in tondo
alla scoperta del
mondo
cinematografico
gratuito
per le vostre
curiosità
enorme bazar di
novità
con libero
ingresso all'infinito
Sui vostri occhi
sereni
finestre tonde
sul paradiso
terrestre
io chino spesso
il viso
per rivedere quel
che avete visto
per tornare come
voi siete
per richiamare
sopra i vostri specchi
i miei ricordi
più cari e più vecchi
Ma se troppo mi
accosto
ogni spettacolo
sparisce
La vostra pupilla
vibrante di gioia
si turba e
s'incupisce
scolorandosi poi
nel bigio-noia
e ne' vostri
occhi non più vivi
si rifletton
soltanto i miei da grande
occhi stanchi e
cattivi.
(da «Lacerba», anno
2, n. 2, gennaio 1914)
CHIAROSCURO
di Giuseppe
Ungaretti (1888-1970)
Il bianco delle
tombe se lo è sorbito la notte
Spazio nero
infinito calato
da questo balcone
al cimitero
Mi è venuto a
ritrovare il mio compagno arabo
che si è
suicidato
che quando
m'incontrava negli occhi
parlandomi con
quelle sue frasi pure e frastagliate
era un cupo
navigare nel mansueto blu
È stato
sotterrato a Ivry
con gli splendidi
suoi sogni
e ne porto
l'ombra
Rifà giorno
Le tombe
scompariscono
appiattate nel
verde tetro delle ultime oscurità
nel verde torbido
del primo chiaro
Le annate dopo le
annate
trovatelle a
passeggio
in uniforme
accompagnate da
suore di carità
Ma ora mi reggo
tra le braccia
le nuvole che il
mio sole mantiene
e all'alba non
voglio sapere di più
(da «Lacerba», anno
3, n. 16, aprile 1915)
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