domenica 30 dicembre 2018

La fine dell'anno in 10 poesie di 10 poeti italiani del XX secolo

Nelle ultime ore dell'anno, spesso, è facile fare bilanci e ricapitolazioni; è, insomma, il tempo delle riflessioni ma anche dei preparativi; e alla fine si festeggia, attendendo gli ultimi secondi dell'anno vecchio e i primi di quello nuovo. Ma in queste dieci poesie dedicate alla fine dell'anno, non si respira alcuna aria di festa e di allegria. In alcuni versi, al contrario, si avverte una tangibile tristezza e, più raramente, una evidente disperazione; è il caso, per esempio, della poesia di Margherita Guidacci, che dopo aver descritto i modi con cui gli esseri umani si accingono a festeggiare l'arrivo del nuovo anno, confessa la sua voglia di dormire - sebbene sia difficile in una notte decisamente rumorosa per tradizione e antonomasia - e di nascondersi, di dimenticare e di essere dimenticata, proprio nel momento in cui per molti diviene essenziale esserci e divertirsi. Tito Marrone, parlando del tramonto dell'ultimo giorno dell'anno, mette in risalto l'atmosfera lugubre, quasi funeraria che si avverte, con il rumore sinistro di un vento che sembra annunciare la fine di tutto. Eugenio Montale invece, pur di evitare i festeggiamenti, immagina di trovarsi, nel momento cruciale che determina il passaggio da un anno ad un altro, sulla luna, e di osservare distaccatamente quello strano modo di esultare da parte di una esagitata umanità, giudicata con sarcasmo da un luogo lontanissimo e quieto. E la quiete è protagonista dei versi di Remo Fasani, che nelle ultime ore dell'anno si limita ad osservare il paesaggio montano da cui è circondato, e ad immedesimarsi in quello, assentandosi da tutto il clamore che impera e che dovrebbe invece coinvolgerlo. C'è poi Alessandro Parronchi, che proprio in un momento così importante, avverte maggiormente l'assenza di una persona amata. La sensazione di solitudine, infine, è preponderante nei versi di Sergio Ortolani, sensazione che è acuita dalla visione di famiglie e genti riunite davanti al focolare nel momento della festa.  




MUORE L'ANNO
di Giusto Calvi (1865-1908)

De le scarne nocche batte San Silvestro
sovra i bronzi cristiani l'ultime ore,
            ne la bruma, e par lamento,
            passa il suono e l'anno muore.

Ne la fiamma de' tuoi baci, sperdi, o Lilia,
sperdi questo triste suon di funerale,
            e la morte a noi dell'anno
            rida come uno sponsale.

A la vita ed a la morte! scorran, Lilia,
or degli avi le vendemmie ne' bicchieri:
            lieve a i morti sia la terra
            lievi a i vivi i lor pensieri!

(da "Versi", Streglio, Torino-Genova 1909)




FINE D'ANNO
di Remo Fasani (1922-2011)

La neve spegne il suono d'acque vive
e col gelo è più muto anche il silenzio
del vecchio bosco abbarbicato ai monti.
Se lungo questa valle oggi cammino
è solo quiete, non tristezza o gioia,
che mi chiama all'aperto e in sé m'accoglie.
E mentre vado sono io stesso i pini,
la neve nuova, il monte primitivo.
E non cerco ma scordo le parole.
È questa un'ora ferma, senza tempo,
che vita e morte hanno lo stesso nome.

(da "Le poesie 1941-2011", Marsilio, Venezia 2013)




NELLA NOTTE DELL'ANNO
di Ugo Fasolo (1905-1980)

Avanza silenziosa, ampia nel giro
notturno, la stellare Cassiopea:
riluce nello spazio delle orbite
prossime al segno; è la notte dell'anno.

Buon anno sia. Cassiopea varca il limite
prefissato per la ripresa del giro:
oscuramente la notte propone
nuovo cinto di giorni, ansie e amore.

Alto lo spazio divolge immutabile
il suo silenzio. Un augurio di bene
nasce rivolto a un volto in ombra: è ignota
l'offerta nella notte silenziosa.

(da "Le varianti e l'invariante", Rusconi, Milano 1976)




FINE D'ANNO
di Margherita Guidacci (1921-1992)

Quelli che danzano, quelli che brindano,
quelli che sparano mortaretti,
quelli che cantano, quelli che si drogano,
quelli che si azzuffano, quelli che si amano,
quelli che ridono, quelli che piangono,
quelli che tacciono, quelli che pregano,
quelli che cercano di nascondersi
come me, gettandosi
nel pozzo profondo del sonno -
tutti abbiamo sentito ugualmente
e nello stesso istante
il vento d'un rapido passo
e il guizzo della falce.

(da "Le poesie", Le Lettere, Firenze 1999)




SAN SILVESTRO
di Tito Marrone (1882-1967)

Ancora i pallidi raggi del sole
ai monti roseo riflesso danno.
Vecchio che un ultimo sorriso vuole,
tramonta l'anno.

Urla la raffica, lunge: la sento
gelida insistere dietro le porte.
In questo lugubre vespero, il vento
pare la morte.

(da "Liriche", Artero, Roma 1904)




FINE DEL '68
di Eugenio Montale (1896-1981)

Ho contemplato dalla luna, o quasi,
il modesto pianeta che contiene
filosofia, teologia, politica,
pornografia, letteratura, scienze
palesi o arcane. Dentro c'è anche l'uomo,
ed io tra questi. E tutto è molto strano.

Tra poche ore sarà notte e l'anno
finirà tra esplosioni di spumanti
e di petardi. Forse di bombe o pegggio,
ma non qui dove sto. Se uno muore
non importa a nessuno purché sia
sconosciuto e lontano.

(da "Tutte le poesie", Mondadori, Milano 1996)




FIN D'ANNO
di Sergio Ortolani (1896-1949)

La pendola scandì l'ultimo tocco:
io m'affacciai su la campagna scura.
Dentro, la famigliola intorno al ciocco;
fuori, nuvole e foglie alla ventura.

In quella un lampo: e venir monti e piani
e strade e borghi incontro a questa siepe:
tutta la bella casa degli umani
che si raccoglie al placido presepe.

Allor della mia vita aspra errabonda
mi punge un pianto, e vedo il buon cammino.
E mia sorella sposa ho per madonna,
che al cor si culla il suo Gesù bambino.

(da "Poesie", Mondadori, Milano 1957)




ORA UN ANNO TRAMONTA...
di Alessandro Parronchi (1914-2007)

Ora un anno tramonta, sorge un anno
e della stessa luce ove tra i colli
fosti viva non più che un fiotto d'ombra
viene a me che ti vidi. Ah mi sorgeva
una speranza! Mandano le siepi
profumi intorno, volge un'ora mille
sogni, ma come povera la pietra
riflette ora il giardino ebbro di rose!

(da "Le poesie", Polistampa, Firenze 2000)




NOTTE DI S. SILVESTRO
di Sebastiano Satta (1867-1914)

Un tempo — oh povertà
Che ti pasci di grami desideri! —
Quando tu, Madre, ci crescevi sola
E triste, come l’aquila selvaggia
Che nutre i figli sulla rupe, ed eri
E grande e veneranda a tutti i cuori;

Poiché era scarso il fuoco
Del focolare, e poco,
O nulla, il vino della cena — in nero
Cerchio sedendo, sempre nel silenzio
Noi volgevamo un unico pensiero
Di affanno —, io che nel core
Già mi sentivo ad ogni
Palpito un vol di sogni,
Qual d’api sovra un fiore;

Io già sognavo, o Madre, questa casa
Che a noi sola commise
L’invitta tua virtù,
La casa che tu regni, o Madre buona;
E noi già grandi, e tu
Serena, e noi tuo scudo e tua corona
Di vittoria. Ah non rise
L’antico sogno invano!

Vedi: nel focolare
Arde l’elce ed il selvaggio
Olivo; il vino brilla
Nei nitidi bicchieri; l’alta loggia
S’apre ai miei sogni su l’azzurro incanto
Delle vette e dei piani.
E anch’essa, odi? la pioggia
Non ci piange più il pianto
Di quegli anni lontani.

(da "Canti", Ilisso, Nuoro 1996)




SAN SILVESTRO
di Giuseppe Zoppi (1896-1952)

Come quest'ora,
estrema, declinante
al termine prefisso,
così la vita: un attimo,
estinto già.

Non attendere ad altro, sciogli il canto
che da mille anni a padri
ed avi gonfia il cuore.

(da "Le Alpi", Vallecchi, Firenze 1958)


James Abbot McNeill Whistler, "Night in Black and Gold, The falling Rocket"
(da questa pagina)

domenica 23 dicembre 2018

Il Natale nei versi di tre poetesse italiane del XX secolo


Ecco tre poesie natalizie scritte da tre ottime poetesse italiane del Novecento. Come è facile notare, questi versi non celebrano la più importante festa cristiana dell'anno, ma mostrano segni di sconcerto, di sofferenza e di tristezza. Il Natale è presente, ma è vissuto in situazioni particolari o con sentimenti contrastanti.
Donata Doni scrisse la sua poesia in un ospedale (come si evince dal luogo riportato in calce alla sua composizione), a soli tre giorni dal 25 dicembre. Nei suoi versi si respira il clima di palpabile tribolazione fisica e mentale, dovuto alla malattia e all'umanità sofferente da cui era circondata la poetessa in quel difficilissimo momento. La Doni elenca una serie di azioni che non può fare, che sono quelle della tradizione natalizia, e che la stragrande maggioranza dell'umanità fa nei giorni che precedono la festa. Malgrado ciò, essa si rende conto che può fare qualcosa d'altro, di ben più profondo e di estremamente importante: stare vicino a chi, come lei, sta vivendo un periodo di forte sofferenza. Il verso finale indica più che mai l'aspetto religioso della poesia: la nascita di Gesù, rappresenta soprattutto qualcosa di fondamentale proprio per la parte dell'umanità più sofferente, poiché grazie alla sua vita e al suo messaggio, questo enorme popolo fino ad allora ignorato, diverrà importante e troverà una speranza e un conforto nelle parole del Cristo.
La poesia di Luciana Frezza è di tutt'altro tono, e descrive l'insignificanza dei natali moderni. La mancanza dell'anno preciso nel titolo in cui compaiono soltanto i primi due numeri, sembra voler accomunare tutti i natali del XX secolo, che si susseguono, fastosi e ripetitivi, causando in chi li vive anno dopo anno, una sorta di impalpabile indifferenza, che si va accentuando e che comporta una assoluta perdita di significato della festa.
Infine, la lirica di Daria Menicanti, in cui il Natale passa decisamente in secondo piano, poiché ciò che risalta è il breve messaggio indirizzato ad un uomo che non risponde alle lettere di una donna evidentemente innamorata; questi versi esprimono un'amarezza ed una rassegnazione che, comunque, non impediscono alla poetessa di scrivere a quest'uomo parole di comprensione, inserendo anche gli auguri di Natale, che però sono definiti del caso e, quindi, quasi obbligati, o comunque poco sentiti.




UN NATALE
di Donata Doni (1912-1972)

Non puoi confonderti
nel dedalo delle strade illuminate
nell'attesa del Natale.
Non puoi sentirti sospingere dalla folla,
fra le vetrine dei negozi,
il frastuono, l'aria di festa.
Non puoi cogliere in Piazza Navona
il sorriso estatico dei bambini,
né attendere la mezzanotte
fra un lieto scambio di doni.
Puoi solo stare accanto
a chi soffre, a chi geme, a chi piange.
Anche questa è una nascita.

             Roma, Policlinico Gemelli, 22 dicembre 1971

(da "Il fiore della gaggìa", Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1973)




NATALE 19...
di Luciana Frezza (1926-1992)

Le sere vicine al Natale
nella città che si chiude
i bimbi vestiti di rosso
le donne nelle sciarpe
percorrono vie di presepe,
tra selve di abeti inchiodati
tra file di fanali
- è come se anche questo Natale
fosse passato - saliamo
gli anni e non resta
a poco a poco
che questa mano che sfiori.

(da "Comunione col fuoco. Opera poetica", Editori Riuniti 2013)




BIGLIETTO NATALIZIO A GIULIO
di Daria Menicanti (1914-1995)

Non ti scrivo per quello. Capisco
bene come succede. Anch'io ti scrivo
solo oggi gli auguri del caso.
Non ti chiedo perché non hai risposto
ancora alle mie lettere: si rimanda,
si rimanda indefinitamente
e, prima ancora che per sé, si muore
negli altri

(da "Il concerto del grillo", Mimesis, Milano-Udine 2013)

domenica 16 dicembre 2018

Il presepe in 10 poesie di 10 poeti italiani del XX secolo


Come ho già detto in un post che ho pubblicato appena ieri in un altro blog, ribadisco l'estrema importanza del presepe nella festa del Natale; esso, simboleggia in modo incomparabile la nascita di Gesù, ed è il solo oggetto - o meglio, il solo compendio di oggetti - che possa rappresentare la festa cristiana più famosa del mondo. Qui ho scelto dieci poesie di autori italiani, cercandole tra quelle meno note, presenti nei volumi di versi e nelle riviste del secolo passato; molte di esse sono sconosciute e quasi introvabili. Mi sembrava giusto e opportuno fissare l'attenzione solo e soltanto sul presepe e quindi sul versante religioso del Natale (che è anche l'unico versante plausibile), in tempi in cui la celebrazione è divenuta qualcosa che non ha nulla a che vedere con l'evento della Natività di Gesù, né c'è alcuna speranza che possa mutare. Buona lettura e buon Natale.



IL PRESEPIO DI GRECCIO
di Graziella Ajmone (1912-1993)

Salgono i frati, vien dalla vallata
la buona gente nella notte fonda.
Fiaccole e lumi segnano i sentieri
e l'aria è immota sotto lo stellato.
Culla la valle suono di campane.
Lieve è il cammino; vanno i passeggeri
recando ognuno un cuore di bambino
colmo d'attesa; van come i pastori
verso il Presepio e intorno è tanta pace.

Ecco la grotta, ecco sospesa,
brilla la stella! Gli occhi desiosi
guardan la greppia, il bue e l'asinello,
guardan l'Altare; poi ciascuno sogna
il sogno di Francesco poverello.
Ma il Santo vede: vede il Dio Bambino
piccolo e bianco nella mangiatoia.
Si china; ascolta il tenero vagito,
gli fa cuna d'amore tra le braccia
sopra il suo saio povero e sdrucito
e il cuor divino batte sul suo cuore.

Angeli scendon lungo vie di stelle;
un cielo d'indicibile splendore
s'incurva sul presepe; a tratti sale
un dondolio lontano di campane.
Vive ciascuno il sogno di Natale.

(da "Mattutino", Arti Grafiche E. Calamandrei & C., Milano 1940)




IL MIO PRESEPE
di Giovanni Boffa (1922-2002)

Il mio presepe lo vorrei non vasto:
pochi pastori nella grotta accanto
alla Coppia Mirabile e i Magi
confusi tra la gente che s'affretta.
Su sfondo immateriale ampio librarsi
di luce nello spazio dilatato
al Vagito di pace che la Terra
tutta celeste in un'abbraccio avvolge.

(da "Poesie", Arti Grafiche C. Mori, Firenze 1985)




PRESEPIO RADIOFONICO
di Paolo Buzzi (1874-1956)

                                    4 gennaio
La pace è con noi.
La mia casa è tranquilla. Le mie donne orano
con la mistica luce del Presepio in volto.
L'hai tu, un Presepio? Con dei piccoli astri
che bucano l'azzurro fondo alto del cielo?
E l'aroma dei lauri
che t'esalta le tempie come nella Poesia?
Ed il piccolo mondo dei pastori
che offre alla Capanna le pecorelle e i cuori?
L'hai? Questo io chiedo
a un bimbo del secolo elettrico,
più somigliante un diavolo che un angelo.
Né, risposta m'importa.
Con la fronte alla scena di Sogno ed alle imagini,
apro il rubinetto della radio:
e bevo una melodia orientale di Saint Säens.

(da "Poesie scelte", Ceschina, Milano 1961)




25 DICEMBRE
di Marcello Camilucci (1910-2000)

Al presepe, ogni anno, manca il personaggio.
Lo sanno tutti i presenti, anche la stella...
Quel vuoto non sai proprio come colmarlo
e allora, umiliato, dopo aver atteso il freddo,
all'ultimo rintocco della mezzanotte, ti stendi
su la paglia, fra l'asino e il bue, quieto.

(da "Calendario perpetuo del poeta", Giardini Editori e Stampatori in Pisa, 1990)




PRESEPE
di Francesco Carchedi (1909-1987)

Voglio fare un presepe.
Qui c'è la montagna
coperta di neve
e sopra il colle
c'è il mio paese,
c'è la mia mamma
che non ha sonno.
Sotto c'è il mare
che mai non dorme.
Nella pianura c'è la città.

1941

(da "Sono sotto le stelle", Edizioni di «Dialoghi», Roma 1963)




NATALE
di Giuseppe Casalinuovo (1885-1942)

Ancora (ed ogni anno sempre implacabile,
sempre di più come ogni cosa tenera,
anch'esso la ruota del tempo,
o mio cor che ricordi, consuma),

ancora il Natale le care a Virgilio
nelle giornate di Dicembre gelide,
discese dai candidi monti,
cornamuse soavi ci apporta.

A coppie i velluti pastori musici,
per le vie strette che d'aranci odorano,
da uno a un altro abituro,
come chi ha fretta d'andare, vanno;

e presso ai rifatti di creta piccoli
rudi presépi che ancor Cristo attendono,
ripetono sempre la stessa
invariabile loro melòde.

Oh come nel cuore dolci ritornano
cose già vanite nella memoria,
e oh come il mio cuore profondo
con infantile palpito esulta!

Esulta ed ancora rivede il rustico
presépe tutto costrutto di sughero,
e tenera attorno la Mamma
e i fratelli e le dolci sorelle.

Pur anco allora l'istessa suonavano
melòde le cornamuse, e simili
altri per la vita presépi
dolcemente, ben fido, sognavo.

E pur ancor li risogno, se flebile
lor nenia mistica ritorna all'anima,
e vedo tornare sul mondo
la grande stella di Betlemme.

Pace! sia pace! E tu, stella, gli uomini,
che l'aspra vita sempre più dilacera,
con il tuo purissimo lume
all'amore di Cristo radduca!

(da "Giornata breve. Poesie", Laterza, Bari 1981)




PRESEPE
di Idilio Dell'Era (1904-1988)

Madre, scuriva su la nostra cena
e per noi non c'era,
al vecchio trave sospesa,
che la lucerna dei poveri,
come un lume di chiesa.
Filtrava, dal pavimento,
un tepore di stalla, in quel tepore
un digrumare lento
e acciambellato ai nostri piedi il cane:
candido presepe
delle notti lontane!

(da "Cielo di sera", IPL, Milano 1983)




LE LAMPADINE DEL PRESEPE
di Ugo Fleres (1857-1939)

O dolce festa di Natale, cara
più d'ogni altra al fanciullo,
per il qual pur s'alternano
meno avare le feste e men fugaci;
sì che, scorsa l'età fresca, egli sente,
non più fanciullo, sente
ancor qualcosa del primier fulgore
nei dì che un tempo
schiavi non gli rendea l'ispida scuola.
Breve fulgor, come al destarsi dopo
felice sogno; viene
della sua vanità presto il pensiero.
O dolce festa di Natale, quando
più disadorna la campagna tace,
ed ogni ala ed ogni anima,
esercitate a valicar l'océano,
han del nido più tenero desìo.

Il presepe sorgea sul canterano,
dond'esulavan per quei giorni i ninnoli
e i libri della mamma.
Nel mezzo era la grotta; intorno intorno
laghi di carta, zolle vere, e rupi
di sughero, e, per tutto, un popolino
variopinto, immobile, - i pastori.

Fin ch'era giorno, a noi
soli piaceva quel presepe, a noi
che sulle panche della scuola in esso
tenevamo il pensiero; e sull'ardesia
nera ove il pedagogo
allineava un bianco
esercito di numeri stizzosi,
noi vedevam la grotta, il Bambinello,
i pastori adoranti,
come sul diaframma
d'una lanterna magica
dal nostro intento desiderio accesa.
E i gastighi piovevano; ma noi,
gonfi gli occhi ed il cuor, li soffrivamo
silenti, e quasi godevam, pensando
di soffrirli per lui, Gesù Bambino.

Sì, nel giorno, alla troppa
luce il presepe a noi
soli piaceva; altri ridea passando.
Ma di sera l'incanto
vinceva tutti, anche i più vecchi. Allora
brillava in giro in giro una ghirlanda
di lucernette; allora
quel cantuccio sembrava un paradiso,
mentre, nell'ombra genuflessi, noi
udivamo arrivar lo zampognaro,
e al monotono suo ritmo nasale
intonavam la prece,
commossi, ignari e d'esultanza pieni.

Passaron gli anni. Or come
ogni anno mi estingueva una lucerna,
ogni anno un poco meno
di splendore e di gioja
circonfondea l'oggetto
del culto insieme e del trastullo, ogni anno!
Ahi tutte ad una ad una
spente le care lucciole,
spente le care stelle, ad uno ad uno
chiuse quegli occhi il sonno dell'oblio;
e alla fine il presepe
accatastato, polveroso giacque
non so più dove.

             Eppure no... no, forse
una di tante lampadine resta,
e la bambina mia
già l'ha trovata in mezzo
alle cose perdute, ond'ella suole
attinger per un attimo
di studioso giuoco. E forse ancora
rivedrò sulla mensola
la grotta e il Bambinello,
e intorno i canti che da lungo tempo
taciono in fondo al cuore
risoneranno, ed io, come la mamma
tanti, tanti anni or sono,
dirigerò quelle preghiere, e forse...
O dolce festa di Natal, ritorna!

(da «La Riviera Ligure», gennaio 1905)




PRESEPIO ROMANO
di Renzo Laurano (1905-1985)

Tìtiro e Malibèo pastori, entrambi
morati al nerofumo, tra di loro
sotto il ciel di una palma
attendono il Signore
della Egloga Quarta.

I ruscelletti
di stagnola dei Padri Cappuccini
recano un fresco al cuore
dei mandriani orientali.

E i ragazzetti
nei presepi son buoni a tutto fare.

(Quando ero mozzo d'altari
non la cedevo a un gatto.
Ma un contegno esemplare).

Nella stalluccia
virgiliana calma
cresce, affata l'attesa di un bambino
predetto. Anche lo sanno i ragazzetti...

E i ragazzetti queste cose sanno
bene, ma ai ruscelletti han da abbadare.

(da "L'opera in versi", Vallecchi, Firenze 1989)




PRESEPE
di Domenico Rea (1921-1994)

Aria di zolfo e fumo sparso
per una culla Simbolo
del genere umano.

Avevo le mani
imbrattate di creta
di forme antiche
palpitanti nella modestia
di un universo docile
alla favola e alla frode.

Presepe, farsa settecentesca
del mito del Buon Selvaggio,
che moriva di fame,
saltando come un clown -
i piedi al freddo
le mani sulle castagne.

In vere stalle andava
mia madre levatrice
di natali plebei
e il pianto del bambino
era presagio ai vinti.

(da "Nubi", s. e., Napoli 1984)