domenica 31 luglio 2022

Il mare in 10 poesie di 10 poeti italiani del XX secolo

 

“Il mare: quant’acqua”: è il primo verso di una tra le dieci poesie che ho trascritto in questo post, ma è stata anche la mia meravigliata esclamazione che – da quanto mi dissero i miei genitori – pronunciai la prima volta che vidi il mare. Come non meravigliarsi di fronte all’immensità del mare, alle sue onde e al cangiante colore delle sue acque? Nelle poesie che ho scelto, spesso si assiste alla nascita di una serie di meditazioni, stimolate proprio dalla visione del mare. Qualche poeta, poi, in pochi versi sintetizza una sensazione di vivissima gioia, scaturita guardando attentamente il colore azzurro del mare. C’è anche chi si lascia andare alla fantasiosa visone di un mare del tutto particolare, che può vedere la luce soltanto grazie alla invidiabile immaginazione di un essere adulto, oppure di un bambino che – miracolo della fanciullezza – sa creare un nuovo mare raccogliendo un po’ d’acqua all’interno di un secchiello.

 

 

 

ATTESA

di Giovanni Descalzo (1902-1951)

 

Ancora reboando

con cavalloni possenti

mare tu giungi alla riva.

Sei bianco per vivide scie lunari,

schiumeggi infuriato

ma scorgo fra le barche

silenziosi in attesa

i pescatori.

Io non attendo la calma.

Essi ti scrutano attenti

certi ormai di saperti spossato.

Per quale intuito varano

a un tratto mentre ancora

la bufera imperversa?

Breve è la lotta ché lenta declina

d'onda in onda la cieca violenza

e giungono alla cala

a tempo colla bonaccia.

La mia esperienza non è ancora saggezza

o non ha quiete l'onda del male?

 

[da "La vana fatica. Poesie (1928-1942)", San Marco dei Giustiniani, Genova 2002, p. 90]

 

 

 

 

AMICO - MI CIRCONDA IL VASTO MARE

di Carlo Michelstaedter (1887-1910)

 

Amico - mi circonda il vasto mare

con mille luci - io guardo all'orizzonte

dove il cielo ed il mare

lor vita fondon infinitamente. -

Ma altrove la natura aneddotizza

la terra spiega le sue lunghe dita

ed il sole racconta a forti tratti

le coste cui il mare rode ai piedi

ed i verdi vigneti su coronano.

E giù: alle coste in seno accende il sole

bianchi paesi intorno ai campanili

e giù nel mare bianche vele erranti

alla ventura. -

 

A me d'accanto, sullo stesso scoglio

sta la fanciulla e vibra come un'alga,

siccome un'alga all'onda varia e infida

φιλοβαθεία. -

S'avviva al sole il bronzo dei capelli

ed i suoi occhi di colomba tremuli

guardano il mare e guardano la costa

illuminata. -

Ma sotto il velo dell'aria serena

sente il mistero eterno d'ogni cosa

costretta a divenire senza posa

nell'infinito.

Sente nel sol la voce dolorosa

dell'universo, - e l'abisso l'attira

l'agita con un brivido d'orrore

siccome l'onda suol l'alga marina

che le tenaci aggrappa

radici nell'abisso e ride al sole. -

 

Amico io guardo ancora all'orizzonte

dove il cielo ed il mare

la vita fondon infinitamente.

Guardo e chiedo la vita

la vita della mia forza selvaggia

perch'io plasmi il mio mondo e perché il sole

di me possa narrar l'ombra e le luci -

la vita che mi dia pace sicura

nella pienezza dell'essere.

 

E gli occhi tremuli della colomba

vedranno nella gioia e nella pace

l'abisso della mia forza selvaggia -

e le onde varie della mia esistenza

l'agiteranno or lievi or tempestose

come l'onda del mar l'alga marina

che le tenaci aggrappa

radici nell'abisso e ride al sole. -

 

                      Pirano, agosto 1908

 

(da "Poesie", Adelphi, Milano 1987, pp. 52-53)

 

 

 

 

Da "MEDITERRANEO"

di Eugenio Montale (1896-1981)

 

Antico, sono ubriacato dalla voce

ch'esce dalle tue bocche quando si schiudono

come verdi campane e si ributtano

indietro e si disciolgono.

La casa delle mie estati lontane,

t'era accanto, lo sai,

là nel paese dove il sole cuoce

e annuvolano l'aria le zanzare.

Come allora oggi in tua presenza impietro,

mare, ma non più degno

mi credo del solenne ammonimento

del tuo respiro. Tu m'hai detto primo

che il piccino fermento

del mio cuore non era che un momento

del tuo; che mi era in fondo

la tua legge rischiosa: esser vasto e diverso

e insieme fisso:

e svuotarmi così d'ogni lordura

come tu fai che sbatti sulle sponde

tra sugheri alghe asterie

le inutili macerie del tuo abisso.

 

(da "Ossi di seppia", Mondadori, Milano 1992, p. 66)

 

 

 

 

IL MARE: QUANT'ACQUA

di Nico Orengo (1944-2009)

 

Il mare: quant'acqua

da millenni inquieta

capriola tra il fondale

e la riva, sgomitola

vele d'onde e piane,

strappandosi, da terra

all'orizzonte,

in voragini di viola

e veli azzurri,

respirando infantile

o in scoppi d'asma,

vivendo il ventre

di una madre, ampia.

 

(da "Cartoline di mare vecchie e nuove", Einaudi, Torino 1999, p. 8)

 

 

 

 

MAR ROSSO

di Aldo Palazzeschi (1885-1974)

 

Non è un ampissimo mare,

si vedono bene i confini e i contorni,

la forma che ha:

ha forma di cuore, e posa

in una terra azzurra

sotto un cielo di rosa.

Son l'acque d'un rosso assai cupo,

ma vivo, fremente.

Non ha questo mare ne onde ne flutti,

ma ha nell'ammasso uniforme

dei palpiti forti, ineguali,

s'abbassa e s'innalza,

si espande o comprime.

Padrone del mare

è un giovine principe, fulvo bellissimo.

In piedi alla prua d'una lancia

egli vive girando il suo mare.

Padrone assoluto

egli gira traversa percorre ineguale

in tutti i possibili sensi.

La punta acutissima

di quella terribile lancia

trafigge, trapassa, trafora

l'ammasso purpureo dell'acque,

ne balzano alti gli spruzzi

in gorghi ed in fiotti;

s'innalzano l'acque

al passare di quella terribile lancia.

Il principe in piedi, impassibile,

neanche un istante rallenta il suo corso,

neppure uno spruzzo lo bagna,

la veste sua bianca

non porta una macchia

del rosso dell'acque.

Padrone assoluto

egli gira traversa percorre ineguale

in tutti i possibili sensi il suo mare,

diritto alla prua della lancia

terribile,

fulvo, bellissimo.

Un gemito,

un fremito,

che sembra l'affanno

d'eterno ed uguale dolore,

vien su da quel mare

che ha forma di cuore, e posa

in una terra azzurra

sotto un cielo di rosa.

 

(da "Poesie", Preda, Milano 1930, pp. 141-143)

 

 

 

 

IL MARE È TUTTO AZZURRO

di Sandro Penna (1906-1976)

 

Il mare è tutto azzurro.

Il mare è tutto calmo.

Nel cuore è quasi un urlo

di gioia. E tutto è calmo.

 

(da "Tutte le poesie", Edizione Club, Milano 1982, p. 12)

 

 

 

 

LE VIE DEL MARE

di Francesco Valerio Ratti (1877-1944)

 

Quando l'Oceano si distende

piano, morbido, quale

pallido tessuto orientale

di meraviglioso lavoro,

sotto il Sole che pende

come un gran disco d'oro

sulla calma equatoriale,

 

più piane del piano del mare

che si leva in respiri lenti,

si vedon le correnti

svolgersi e biancheggiare

come fiumane di latte,

lentissimamente attratte

dal desiderio polare.

 

Sono le sconosciute vie

dell'Oceano profondo,

che da un capo all'altro del mondo

continuamente notte e die,

per le solitudini eterne

delle cupe caverne

vagan con un gran giro tondo.

 

Sono le vie non conosciute

che fan con lenti passi

le meduse e i sargassi

e l'alghe sradicate;

sono le vie deserte e mute

che fanno le navi perdute,

capovolte dimenticate.

 

(da "Canti velieri", Gonnelli, Firenze 1912, pp. 15-16)

 

 

 

 

SECCHIELLO

di Fernanda Romagnoli (1916-1986)

 

Il bimbo inginocchiato sulla sabbia rovente

leggeva il mare nel secchiello colmo:

il sasso blu nel fondo e la conchiglia gialla

e il cavalluccio stecchito: dolcemente

lui l'incitava a galla con il piccolo dito.

 

Parlottava fra sé, rideva nel suggello

delle ciglia abbassate, del cappelluccio stinto.

Né sopra lui l'azzurro aveva attinto

ad altro mare che al suo, nel suo secchiello.

 

(da "Il tredicesimo invitato e altre poesie", Scheiwiller, Milano 2003, p. 126)

 

 

 

 

MARE-COLORE

di Diego Valeri (1887-1976)

 

Mare fanciullo insaziato di giuoco,

vecchio mare insaziato di pianto,

tu che sei lampo e fango

e cielo e sangue e fuoco,

 

oggi hai lasciato alle lente rive

orgoglio e forza, gaiezza e dolore:

oggi non sei che colore,

un bel colore che vive.

 

(da "Poesie", Mondadori, Milano 1960, p. 295)

 

 

 

 

IL MARE

di Cesare Vivaldi (1925-1999)

 

Sulla linea dov'erano i gabbiani

una riga continua bianca e grigia

si profila un'immagine, una nera

presenza.

Che come vetro incrina

la scia perduta di quei voli, labili

più degli angeli: cade

su di me uno straziante tintinnio

d'ali.

O mestissima pioggia, fumigante

di salnitri autunnali! Se qualcosa

ancora in mare biancheggia, sirene

levano l'alte

code di pesce: in un canto schiumoso

tutto con sé inabissano.

 

E il mare un attimo

esita e sta,

finché non prende vento e vola, urlante

onda che batte sull'ignoto.

Follemente salpato

verso piani che appena si dividono

dall'ombra.

 

(da "Poesie scelte 1952/1992", Newton Compton, Roma 1993, p. 30)

 


Czesław Znamierowski, "The sea at night"
(da questa pagina web)


domenica 24 luglio 2022

"Serre calde e Quindici canzoni" di Maurice Maeterlinck

 

Serres chaudes (Serre calde, Vanier, Parigi 1889) è il titolo della prima opera poetica di Maurice Maeterlinck (Gand 1862 – Nizza 1949), scrittore e drammaturgo belga di lingua francese, tra i massimi esponenti del simbolismo, sia nella forma poetica che in quella teatrale. I primi versi di Maeterlinck sono contrassegnati da atmosfere rarefatte; vi si respira una estenuazione dichiarata, che risulta maggiormente evidente leggendo i versi di poesie come Lassitude, Chasses lasses, Fauves las; molti sono anche i riferimenti al tedio (Serre d'ennui, Ennui, Ronde d'ennui) ed a una vaga e compiaciuta aura mistica (Oraison, Oraison nocturne, Amen); quest'ultima poi, a volte si mescola con una sensualità morbida, lievemente accennata (Tentations, Désir d'hiver). Moltissimi sono gli elementi che avvicinano quest'opera di Maeterlinck alla poetica dei simbolisti: una serie di luoghi (serre, foreste, prati, mari, castelli, ospedali), fiori (gigli, rose, nenufari), animali (cigni, pavoni, pecore, serpenti) e parti del corpo (mani, occhi) che frequentemente ricorrono nei versi di Serres chaudes; il tutto unito ad una spiritualità tipica nei letterati decadenti che si palesa nel dialogo fitto e accorato tra il poeta e la sua anima. Queste poesie ben presto furono apprezzate e tenute in particolare considerazione dai poeti nostrani, a cominciare da Gabriele D'Annunzio (si legga la poesia Le tristezze ignote compresa in Poema paradisiaco) per continuare coi poeti crepuscolari e non solo (si potrebbero menzionare molte poesie di Cosimo Giorgieri Contri, Guelfo Civinini, Guido Gozzano, Corrado Govoni, Marino Moretti, Fausto Maria Martini, Sergio Corazzini e altri ancora).

Douze chansons (Dodici canzoni, Stock, Parigi 1896) è la seconda opera poetica di Maeterlinck e si discosta di molto da Serres chaudes poiché, come si capisce anche dal titolo, trattasi in questo caso di componimenti che molto attingono dalle ballate e dalle canzoni popolari e contengono temi e personaggi legati al mondo delle fiabe. Pur essendo meno fondamentale della prima opera, anche Douze chansons divenne punto di riferimento per la realizzazione d'importanti opere poetiche italiane, come i primi volumi di Aldo Palazzeschi, Le sette leggende di Angiolo Orvieto e Il Re pensieroso di Ugo Betti.

Maurice Maeterlinck raccolse i suoi due libri in versi in un unico titolo: Serres chiude: suivies de Quinze chansons, nel 1912. Da questo libro è nata l'edizione italiana (con testo originale a fronte) a cura di Milo De Angelis, pubblicata dalla Mondadori di Milano nel 1989 (vedi foto in basso), esattamente cento anni dopo la prima apparizione di Serres chaudes. Da qui estraggo tre poesie tradotte in italiano dal curatore.

 

 


 

ANIMA

 

Mia anima!

Mia anima davvero troppo al riparo!

E queste greggi di desideri in una serra!

Aspettando una tempesta sulle praterie!

 

Andiamo verso i più ammalati!

Hanno strane esalazioni.

In mezzo a loro attraverso un campo di battaglia con mia madre.

A mezzogiorno viene seppellito un fratello d’armi

Mentre le sentinelle fanno colazione.

 

Andiamo anche verso i più deboli:

Hanno strani sudori;

Ecco una fidanzata ammalata,

Un tradimento di domenica,

E dei bambini in prigione.

(E più lontano, attraverso il vapore)

È una donna che muore sulla porta di una cucina?

O una suora che sbuccia verdure davanti al letto di un incurabile?

 

Andiamo, infine, verso i più tristi:

(All’ultimo, perché hanno dei veleni)

Le mie labbra accettano i baci d’un ferito!

Tutte le castellane sono morte di fame, questa estate, nelle torri della mia anima!

Eccola l’alba che entra nella festa!

Intravedo pecore lungo le banchine,

E c’è una vela sulle finestre dell’ospedale.

 

È lungo il cammino dal mio cuore alla mia anima!

E tutte le sentinelle son morte al loro posto!

 

Un giorno c’era una povera, piccola festa nei sobborghi dell’anima!

Si falciava la cicuta, una domenica mattina;

E tutte le vergini del convento guardavano passare i vascelli sul canale, un giorno di digiuno e di sole.

Mentre i cigni soffrivano sotto un ponte velenoso;

Venivano portati alberi intorno alla prigione,

Venivano distribuite medicine in un pomeriggio di giugno,

E i pasti dei malati si estendevano a tutti gli orizzonti!

 

Mia anima!

E quanta tristezza in tutto questo, anima mia! E quanta tristezza in tutto questo!

 

(da: Maurice Maeterlinck, "Serre calde e Quindici Canzoni", Mondadori, Milano 1989, pp. 43-45)

 

 

 

 

NOIA

 

I pavoni indifferenti, i pavoni bianchi sono fuggiti,

I pavoni bianchi sono sfuggiti alla noia del risveglio;

Non vedo i pavoni bianchi, i pavoni di oggi,

I pavoni che passano nel mio sonno,

I pavoni indifferenti, i pavoni di oggi,

Raggiungere svogliati lo stagno senza sole,

Sento i pavoni bianchi, i pavoni della noia,

Attendere svogliati il tempo senza sole.

 

(da: Maurice Maeterlinck, "Serre calde e Quindici Canzoni", Mondadori, Milano 1989, p. 57)

 

 

 

 

 

VETRO ARDENTE

 

Guardo le antiche ore,

Sotto il vetro ardente dei rimpianti;

E dal fondo blu dei loro segreti

I fiori emergono migliori.

 

Questo vetro sui miei desideri!

I miei desideri attraverso l’anima!

E l’erba morta che essa infiamma

Avvicinandosi ai ricordi!

 

La innalzo sui miei pensieri,

E vedo  sbocciare, in mezzo

Alla fuga del cristallo azzurro,

Le foglie dei dolori passati,

 

E persino si allontanano le sere

Morte così a lungo nella memoria,

Che turbano con il loro lento marezzo

L’anima verde di altre speranze.

 

(da: Maurice Maeterlinck, "Serre calde e Quindici Canzoni", Mondadori, Milano 1989, p. 81)