domenica 30 agosto 2020

"Le nostalgie" di Luigi Gualdo

 Probabilmente questa opera in versi rappresenta il primo esempio italiano di poesia simbolista. L'autore, Luigi Gualdo (Milano 1844 - Parigi 1898), intellettuale raffinato e bohémien, visse molti dei suoi anni in Francia (e morì nella capitale francese), frequentando diversi intellettuali e scrittori transalpini, che certamente gli trasmisero idee e tendenze letterarie. Certamente, come hanno sottolineato molti critici, furono i poeti parnassiani ad influenzarlo maggiormente; ciò non toglie che alcuni suoi versi vadano inseriti in tutt'altro ambito, e mostrino evidenti tracce di decadentismo e di simbolismo. Charles Baudelaire, è il poeta che in maggior misura viene riecheggiato da Gualdo in questa sua unica raccolta poetica, seguito da Theophile Gautier, a cui lo scrittore milanese dedicò una poesia in occasione della sua morte (1872); Gautier, ovvero il poeta che affermò la suprema bellezza dell'arte: qualità eccelsa, riservata a menti eccelse, che permette, a chi riesce a comprenderla pienamente, d'innalzarsi oltre ogni miseria umana e di provare quelle sensazioni - esclusivamente cerebrali - che posseggono caratteristiche uniche, incommensurabili e imparagonabili. Accanto al Gualdo parnassiano, decadente e simbolista, in questi versi è facile percepire - sebbene più raramente - un poeta sopraffatto dalla malinconia, che anticipa determinate tematiche crepuscolari; d'altronde, già il titolo del libro, risulta emblematico a tal proposito.

Le nostalgie è composto da 39 poesie, ognuna numerata, che si susseguono senza lacuna divisione di sorta nelle 220 pagine del volume che fu pubblicato dall'editore Casanova di Torino nel 1883; più volte ristampato, rivenne alla luce anche grazie alla Lampi di Stampa di Milano nel 2003; da quest'ultima edizione (vedi foto qui sotto) ho tratto tre poesie di ottimo valore che meritano senz'altro di essere rilette ed apprezzate.

 

 


 

 

 ALLA SERA

 

Stanca è la terra e lasse son le cose;

L'uomo è languente come la natura.

Scende dal cìelo una gran pace oscura.

Pendono già gli steli delle rose.

 

L'uomo è languente come la natura.

Sorgon dall'alme le armonie nascose,

Pendono già gli steli delle rose,

Cessa la gioia e cede la sventura.

 

Sorgon nell'alme le armonie nascose

Rivelatrici di vita futura...

Cessa la gioia e cede la sventura

Tra l'acri voluttà misterïose.

 

Rivelatrici di vita futura

Son le tinte fugaci e calorose;

Tra l'acri voluttà misterïose

V'è un senso di speranza e di paura.

 

(da "Le nostalgie", Lampi di Stampa, Milano 2001, pp. 47-48)

 

 

 

 

PAESAGGIO

 

Tutto riposa al raggio della luna,

Ma il viale è nell'ombra a noi davanti.

S'ergono all'aura in lunga fila bruna

I profili degli alberi giganti.

 

Biancheggia in fondo tacita la villa

Tutta chiusa, deserta o addormentata.

Non si scorge laggiù lume o scintilla,

Ma la vôlta del ciel tutta è stellata

 

Un poema infinito ed amoroso

Le foglie vi susurrano giulive...

Il parco nella notte appar festoso

E le statue intraviste quasi vive.

 

Dormono i nidi ed i fragili fiori

Posan col capo languido che pende,

Si confondon le forme ed i colori...

- E l'ombroso vial qualcuno attende. -

 

(da "Le nostalgie", Lampi di Stampa, Milano 2001, pp. 185-186)

 

 

 

 

IN FONDO AI CHIARI ABISSI PREZIOSI

 

In fondo ai chiari abissi prezïosi

Che il mar contende irato agli occhi nostri,

Gl'ignorati tesori stanno ascosi.

 

Difesi là da spaventosi mostri

Ed ammassati in cristalline valli

In tra lucenti grotte e rosei chiostri;

 

In tra le piante strane ed i coralli,

Nei profondi splendor che, ignoti, per le

Iridi hanno riflessi verdi e gialli,

 

Vergini d'ogni sguardo stan le perle.

 

 

Così, lontani e avvolti nel mistero

Dove sorgon spettrali visioni,

Nel dominio fatato del pensiero,

 

Tra la magìa degli imminenti suoni,

Tra i vïolenti olezzi e blandi e acuti,

Prede rapite e ben celati doni,

 

Tra gli azzurri vapor come perduti,

In confuso fulgor misti e sommersi,

Attendendo i poeti ed i lïuti,

 

Non anco detti stanno i nuovi versi.

 

(da "Le nostalgie", Lampi di Stampa, Milano 2001, pp. 219-220)

 

 

 

 

 

 

 

   

domenica 23 agosto 2020

Antologie: Letteratura dell'Italia unita 1861-1968

 Questa antologia che, come si evince dal titolo, non è solamente poetica, può essere considerata un caposaldo della critica letteraria italiana. Il curatore è l'insigne critico Gianfranco Contini (1912-1990), autore di saggi e studi famosissimi, riguardanti autori e opere sia dell'Ottocento che del Novecento. Anche questa antologia si occupa di un periodo compreso tra il XIX e il XX secolo, ossia dall'unità d'Italia all'anno che vide la nascita della contestazione giovanile. Pubblicato per la rima volta nel 1968 da Sansoni, il cospicuo volume ha avuto diverse nuove edizioni, fino all'ultima della Rizzoli nel 2012. La selezione effettuata da Contini è severissima, e comprende nomi che con la letteratura non hanno molto a che vedere. Comunque sia, non ho l'intenzione né sarei in grado di mettere in dubbio la validità di un'opera che ha fatto epoca e che tutt'ora è conosciuta e considerata. Chiudo questa breve dissertazione riportando, divisi dalle sezioni in cui sono situati, tutti i nomi degli scrittori inseriti in Letteratura dell'Italia unita, siano essi poeti, prosatori, critici letterari, politici, filosofi o filologi.

 


 LETTERATURA DELL'ITALIA UNITA 1861-1968


 

FRANCESCO DE SANCTIS

Francesco De Sanctis

 *

FILOLOGI

Graziadio Isaia Ascoli, Costantino Nigra, Ugo Angelo Canello

 *

GIOSUÈ CARDUCCI

Giosuè Carducci

 *

GIOVANNI VERGA E IL NATURALISMO

Giovanni Verga, Luigi Capuana, Antonio Fogazzaro, Emilio De Marchi

 *

«SCAPIGLIATI»

Carlo Dossi, Giovanni Faldella, Vittorio Imbriani

 *

ALTRI PROSATORI

Luigi Settembrini, Vincenzo Padula, Giuseppe Cesare Abba, Carlo Collodi

 *

GIOVANNI PASCOLI

Giovanni Pascoli

 *

GABRIELE D'ANNUNZIO

Gabriele D'Annunzio

 *

POETI MINORI E DIALETTALI

Vincenzo Riccardi di Lantosca, Vittorio Betteloni, Cesare Pascarella, Salvatore Di Giacomo

BENEDETTO CROCE

Benedetto Croce

 *

ALTRI AUTORI DI PROSA SCIENTIFICA, CRITICI, POLITICI

Giovanni Gentile, Cesare De Lollis, Domenico Petrini, Alfredo Gargiulo, Giacomo Debenedetti, Roberto Longhi, Luigi Einaudi, Gaetano Salvemini, Antonio Gramsci, Piero Gobetti, Carlo Levi

 *

NARRATORI E DRAMMATURGHI TRA I DUE SECOLI

Italo Svevo, Alfredo Panzini, Luigi Pirandello

 *

«CREPUSCOLARI»

Giuseppe Antonio Borgese, Guido Gozzano, Corrado Govoni, Marino Moretti

 *

FUTURISMO E «VOCIANI»

Filippo Tommaso Marinetti, Giovanni Papini, Ardengo Soffici, Renato Serra, Giuseppe De Robertis, Piero Jahier, Clemente Rèbora, Dino Campana, Carlo Michelstaedter, Scipio Slataper, Giovanni Boine, Camillo Sbarbaro, Enrico Pea

 *

«RONDISTI»

Vincenzo Cardarelli, Emilio Cecchi, Riccardo Bacchelli, Bruno Barilli, Antonio Baldini, Giuseppe Raimondi

 *

I POETI DEL NOVECENTO

Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale, Umberto Saba

 *

«AURA POETICA» E «SOLARIANI»

Giovanni Comisso, Corrado Alvaro, Gianna Manzini, Anna Banti, alessandro Bonsanti, Elio Vittorini, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Luigi Santucci

 *

«ERMETICI»

Carlo Bo, Salvatore Quasimodo, Libero De Libero, Leonardo Sinisgalli, Alfonso Gatto, Mario Luzi, Vittorio Sereni, Carlo Betocchi, Tommaso Landolfi

 *

LA NARRATIVA TOSCANA

Federigo Tozzi, Aldo Palazzeschi, Nicola Lisi, Romano Bilenchi, Arrigo Benedetti, Carlo Cassola, Mario Tobino

 *

«NEOREALISTI»

Alberto Moravia, Cesare Pavese, Italo Calvino, Beppe Fenoglio, Mario Soldati, Vasco Pratolini, Pier Paolo Pasolini, Lucio Mastronardi

 *

POETI DIALETTALI DEL NOVECENTO

Virgilio Giotti, Antonio Guerra, Albino Pierro

 *

CARLO EMILIO GADDA

Carlo emilio Gadda

 *

ANTONIO PIZZUTO

Antonio Pizzuto

 

domenica 16 agosto 2020

La poesia di Sergio Solmi

Prima di tutto devo ammettere che, quando per la prima volta lessi alcune poesie di Sergio Solmi (Rieti 1899 - Milano 1981), trovate in una famosa antologia, non ne rimasi entusiasmato e non seppi riconoscere l'enorme talento di questo scrittore; probabilmente i miei gusti poetici di allora erano un po' diversi da quelli di oggi... di sicuro c'è che con gli anni ho cambiato decisamente la mia idea e il mio giudizio sulla poesia di Solmi, e, leggendo i suoi versi dopo diverso tempo, ho addirittura adorato certe poesie che inizialmente mi lasciavano del tutto indifferente. Oggi considero lo scrittore laziale tra i migliori poeti italiani del Novecento. Quel che mi sembra certo, è che la poesia di Solmi non possa essere definita facile, anche se risulta quasi del tutto estranea all'ermetismo: corrente poetica che ha caratterizzato maggiormente il periodo in cui lo scrittore reatino pubblicava le sue prime raccolte di versi. Alcuni illustri critici hanno parlato, giustamente, di echi leopardiani, ed in effetti non è poi così difficile rintracciarli in vari suoi versi; ma è pur vero che Solmi non s'ispirò soltanto al Leopardi, ed ebbe il merito di prendere il meglio da diversi poeti italiani a lui contemporanei, come Saba, Cardarelli, Sbarbaro, Montale ecc. In più seppe inserire qualcosa di suo, di estremamente meditativo, che il lettore può ben percepire. Il suo amore per la fantascienza, inoltre, fece in modo che nascessero veri e propri capolavori poetici, difficilmente eguagliabili e paragonabili ad altre poesie sul medesimo argomento, pur scritte da ottimi autori. Grandiosa poi è la sua capacità di descrivere paesaggi, monumenti o addirittura oggetti, inserendo una carica vitale spontanea e un amore tangibile per tutto ciò che esiste di bello in natura. Accanto al Solmi poeta va sicuramente ricordato il prosatore, il saggista e il traduttore. Per approfondire la sua conoscenza, occorre semplicemente leggere le Opere che la casa editrice Adelphi ha pubblicato in diversi volumi a partire dal 1983. Chiudo riportando l'elenco delle raccolte poetiche pubblicate da Sergio Solmi (a parte l'ultimo volume che uscì postumo) e quindi tre poesie che sono fra le mie preferite.

 

 

 Opere poetiche

 

"Fine di stagione", Carabba, Lanciano 1933.

"Poesie", Mondadori, Milano 1950.

"Levania e altre poesie", Mantovani, Milano 1956.

"Dal balcone", Mondadori, Milano 1968.

"Poesie complete", Adelphi, Milano 1974.

"Opere, I. Poesie e versioni poetiche", Adelphi, Milano 1983.

 

 



Testi


ALLA BRUMA

 

Alfine sei tornata, amica bruma!

Alle tue bigie folate m'arrendo

e mi ritrovo come in una patria,

lungi dal sole disastroso, dalla

nuda luce che odio. Come allevia

gli occhi feriti il tuo sfumato, morbido

alone. Come persuadi al giorno

l'umana, esatta misura, la forma

della casa, e discreta preannunci

lo studioso inverno. Come infondere

sai all'intera vita il molle indugio,

la stancata dolcezza, l'abbandono

del caro istante che precede il sonno.

 

(da "Opere, Volume I, tomo primo", p. 57)

 

 

 

 

 

FERMATA FACOLTATIVA

 

Va facendosi il mondo d'anno in anno

sempre più bello. Nel sole arretrando

s'addolcisce e si fa minuta ed intima

la strada cittadina, come il cavo

di due mani accostate, a rivelare

il prezioso accento d'una fronda

o un frammento d'azzurro, e il verde tram

sopraggiungendo fa d'ogni stagione

primavera.

                O tu lindo liscio nitido

mondo, i tuoi quieti rumori!

                                        Domani,

giunta di sua bellezza al colmo, forse

la fragile pellicola d'un tratto

schianterà lacerata? Sarà solo

l'immenso fiore di fumo di questa

nostra storia incendiata a sollevarsi

tremando contro un abolito cielo?

 

(da "Opere, Volume I, tomo primo", p. 69)

 

 

 

 

 

I LEONI

 

Urlavano i leoni nella notte,

gonfiavano nel buio, dardeggiavano

l'ugola in fiamme al fanciullo atterrito.

Di sotto al vecchio armadio, d'improvviso

si stendeva la zampa imperiosa,

si stirava, graffiava l'impiantito.

Venne un giorno, scomparvero i leoni.

Non c'erano

alla stazione di Sovilla, sotto

le nuvole ronzanti, s'anche uscivano

dal gioco scomparendo

nel grano verde e i compagni, se presso

volavano i rametti al doppio colpo

lassù, dell'arboreo cecchino. 

                                         Non c'erano

più tardi,

nella città divampante, nei laghi

di fosforo, a filo

della pistola, nella gabbia cieca

del prigioniero.

                      Oggi che l'ombre

della sera s'infoltano, qualcosa

nel buio si rimuove, silenziosi

dall'infanzia ritornano i leoni?

Ah, ch'io più non ne tremi, ch'io con fermo

cuore m'avvii, ridiscenda

sulla soglia, a incontrarli.

 

(da "Opere, Volume I, tomo primo", p. 71)

 

domenica 9 agosto 2020

Poeti dimenticati: Ernesto Ragazzoni

 Nacque ad Orta Novarese nel 1870 e morì a Torino nel 1920. Di famiglia benestante, dopo essersi diplomato lavorò per poco tempo come ragioniere e impiegato bancario; poco più che ventenne pubblicò il suo primo e unico libro di versi e, nello stesso periodo, incominciò a collaborare con giornali e riviste, scrivendo soprattutto prose. Agli albori del Novecento entrò in pianta stabile alla Stampa di Torino, e per questo giornale lavorò come corrispondente anche a Parigi e a Londra. Morì a soli cinquant'anni. Malgrado, anche in tempi recenti, siano stati pubblicati dei libri che contengono gran parte della sua opera poetica, ho voluto inserirlo ugualmente tra i poeti dimenticati, perché certamente, se non rientra oggi nella categoria, vi rientrava fino a poco tempo fa. I suoi esordi poetici, poco significativi, si rifanno al gusto tardo-ottocentesco; gli altri versi, pubblicati su varie riviste e riscoperti soltanto dopo la sua morte, mostrano accenti crepuscolari, che, pur partendo da una base d'ironia, spesso sfociano nel sarcasmo e nella comicità. Buone sono le sue traduzioni delle poesie di Edgar Allan Poe.


 


Opere poetiche

 

"Ombra", Tipografia Operaia, Novara 1891.

"Poesie", Chiantore, Torino 1927 (2° edizione, Martello, Milano 1956).

"Poesie e prose", Scheiwiller, Milano 1978.

"I bevitori di stelle e altre poesie", Scriptorius, Orta San Giulio 1997.

"Buchi nella sabbia e pagine invisibili. Poesie e prose", Einaudi, Torino 2000.

 

 

 

 

Presenze in antologie

 

"L'antologia dei poeti italiani dell'ultimo secolo", a cura di Giuseppe Ravegnani e Giovanni Titta Rosa, Martello, Milano 1963 (pp. 195-204).

"Così per gioco", a cura di Guido Davico Bonino, Einaudi, Torino 2001 (pp. 677-688).

"Torino Art Nouveau e Crepuscolare", a cura di Roberto Rossi Precerutti, Crocetti, Milano 2006 (pp. 45-49).

"Poeti per Torino", a cura di Roberto Rossi Precerutti, Viennepierre, Torino 2008 (pp. 39-41).

 

 

 

 

Testi

 

 

ROSE SFOGLIATE

 

Dal parco mi sento

venire a folate

un balsamo lento

di rose sfogliate,

 

un balsamo lento

perché già l’estate

declina, ed il vento

le rose ha sfogliate.

 

Ed ecco, a sembianza

d’un fiato di rose

sfogliate in distanza

mi giunge da ascose

 

memorie, fragranza

d’assai vecchie cose

siccome di rose

sfogliate in distanza.

 

(da "Buchi nella sabbia e pagine invisibili. Poesie e prose", p. 22)

 

 

 

 

IL MIO FUNERALE

 

Quando, uditemi amici, quando avvenga

che questa che mi rosica cirrosi

il fegato e dintorni m'abbia rosi,

come cirrosi fa che si convenga,

 

quando il medico, chiusa la sua cura,

ordinerà «portatelo pur via!»,

io voglio, per andar a casa mia

sottoterra, una magna sepoltura.

 

Ravvivatemi a tocchi di carmino

sapientemente la figura smunta;

questo fate, e indoratemi la punta

del naso e spruzzolatemi di vino

 

odoroso, che non m'abbia più l'aspetto

di un comune cadavere, e i capelli

fatemi tutti di vïola belli

e un non mai visto m'abbia cataletto.

 

Trascinino la mia spoglia mortale

sei porcellini tinti in verde e giallo

e Francesco Pastonchi, alto, a cavallo,

proclami «Che stupendo funerale!»

 

Cento musici in abito d'arconte

annunzino la mia corsa a Plutone

soffiando ampi venti di polmone

in cave corna di rinoceronte.

 

E cento bande strepitino poi

di strumenti impensati, impreveduti:

clisocorni, arcoflauti, fiascoimbuti,

trombicefali ed arpe-innaffiatoi.

 

Accorrano le turbe al pio passaggio

e a strilli, ad urla, a voci mozze e mezze,

si narrino le mie scelleratezze

e mi paia d'udire il lor linguaggio:

 

«Era il Gran Kan, il Padiscià degli orsi,

«Dei Bramini ridea, come di paria

«Era padrone di un castello in aria

«E si beveva il cielo in quattro sorsi

 

«Viveva nei più luridi angiporti...

«non aveva la testa troppo salda...

«Mangiava il cardo con la bagna calda

«di notte in compagnia di beccamorti.»

 

Infine sempre mi si tolga al sole

in una cripta, a un labirinto in fondo;

e tutti quanti i fior che sono al mondo,

tralci di rose, cespi di vïole,

 

effondano la loro primavera

fin giù nel buio delle mie caverne.

Ma siccome son io ch'ho da goderne,

i miei fiori piantateli in maniera

 

che le radici siano volte in alto

e le corolle sboccino sotterra...

Di sopra al sasso poi che mi rinserra

questa epigrafe scrivasi in ismalto:

 

«Qui giace ERNESTO RAGAZZONI D'ORTA

«nacque l'otto gennaio mille ed otto-

centosettanta» e sotto, questo motto:

«D'essere stato vivo non gl'importa».

 

(da "Buchi nella sabbia e pagine invisibili", pp. 149-151)