domenica 31 ottobre 2021

Gli angeli in 10 poesie di 10 poeti italiani del XX secolo

 

Come un po' tutti sappiamo fin dall'infanzia, gli angeli sono esseri spirituali, asessuati, dotati di ali simili a quelle degli uccelli, che gli permettono di volare; essi svolgono i compiti assegnatigli da Dio, e così possono essere messaggeri, protettori o guardiani. Nelle infinite opere figurative in cui compaiono gli angeli, molto spesso sono raffigurati con particolari tratti somatici: biondi, spesso ricci, con gli occhi chiari, col volto paffuto, vestiti di bianco, simili agli adolescenti che si avvicinano alla maggiore età. Quand'ero bambino, così come da giovane, gli angeli mi attiravano ben poco; col passare degli anni, invece, l'interesse verso questi personaggi fantastici è cresciuto in me, pur non credendo affatto che possano esistere. Di poesie sugli angeli ne esistono tantissime, anche molto belle; a tal proposito c'è un'antologia - di cui in futuro parlerò - che ha come argomento portante proprio questi esseri soprannaturali. Per la mia selezione, ho cercato di non inserire le poesie che, spesso famose, sono presenti nell'antologia citata. Nei versi che ho selezionato, gli angeli hanno varie forme; c'è chi li riconosce perché hanno le sembianze della propria sorella o della propria madre morta; chi li identifica come dispensatori d'amore e nello stesso tempo di morte; chi li vede tutti d'oro; chi li trova soli e sperduti; chi li raccoglie bagnati dalla pioggia; chi riconosce soltanto una traccia indelebile del loro passaggio... La fantasia dei poeti è semplicemente infinita: grazie ad essa nascono versi come questi e come tanti altri, dove l'immaginazione riesce a creare figure, situazioni e luoghi fantastici, impossibili, ineguagliabili.

 

 

GLI ANGELI IN 10 POESIE DI 10 POETI ITALIANI DEL XX SECOLO

 

 

L'ANGELO DI SILOÉ

di Antonio Barolini (Vicenza 1910 - Roma 1971)

 

Tocca

con l'ali

le acque

della fonte di Siloé.

 

Come nel gioco dei dadi:

chi mi butta per primo,

mia sorte?

 

Logoro il giorno,

dispersa la speranza,

inutile la morte.

 

Chi sa

cosa distingue dalle belve

e cosa confonde con esse?

Perché

questo reame di viltà?

 

(da "L'angelo attento. Il meraviglioso giardino", Feltrinelli, Milano 1968, p. 264)

 

 

 

 

L'ANGELO DEI BAFFI

di Vittorio Bodini (Bari 1914 - Roma 1970)

 

Coi suoi denti più falsamente bianchi

ghigna squittisce litiga

coi camerieri

all'alba,

e lesina la mancia.

è detestabile.

Spia le mondane e le ama

come spettacolo

non la virtù i fascisti

i piselli di scatola

il lapsus-calami il lapsus-linguae

l'arruffio il cumulo il viluppo

il costume spilorcio della sua musa.

Ridendo s'allontana

avvolto nel suo sudario

nel più vasto sudario di un mattino

tra gessoso e violetto

in cui l'ombre senza un gemito si disfanno

nelle vie e nelle macchine

e l'angelo dei baffi

ecco infine si posa sul parabrezza.

 

(da "Tutte le poesie", BESA, Lecce 1997, p. 125)

 

 

 

 

L'ANGELO

di Filippo De Pisis (Ferrara 1896 - Milano 1956)

 

Angelo biondo di dove sei venuto

a consolarmi, di dove?

O l'oro antico dei tuoi capelli

e la fronte pura

e l'occhio ridente, pur nella tua nequizia

(è un giorno e mezzo che non mangi, hai detto)

e le spalle gentili

e le gambe marmo antico

e il tuo sorriso nell'ombra

e la tua voce.

Un bacio sulla fronte ti ho dato

e leggero ho abbozzato il segno della croce

sul tuo petto di giovane atleta.

Sulla porta hai voluto rendermi

fuggevole un bacetto.

Sull'albero di verde cupo

ho visto accendersi una luce in cielo,

e poi sei scomparso.

 

(da "Poesie", Garzanti, Milano 2003, p. 152)

 

 

 

 

LA SORELLINA ANGELO

di Donata Doni (pseud. di Santina Maccarone, Lagonegro 1912 - Roma 1972)

 

La sorellina morta,

ritratto che guardava la tua infanzia,

la sorellina angelo,

Santina come te si chiamava,

per anni è stata poi sepolta

nel fondo cuore.

Santina, Lagonegro,

il paese ove nacqui, ove dormi

il tuo sonno di bambola piccina

nella cuffietta della fotografia.

Ora che la morte mi tende

una mano che rifiuto,

ora, dopo anni di silenzio,

riascolto la tua voce.

Tu, prenata a me,

tu angelo che mi segui

con un sorriso lontano.

Sorellina, e se tu fossi rimasta

oltre i cancelli del giardino

dei morti, a Lagonegro?

 

(da "La carta dispari", Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1968, p. 48)

 

 

 

 

IL MIO ANGELO

di Giacomo Falco (Savigliano 1901 - Milano 1959)

 

E tu, smarrito angelo, sei solo.

Erri, sceso dai cieli, quasi sulla terra,

quasi sui mortali, quasi sui sepolcri.

Sulle mie sillabe, tu, sulla mia carne,

segno di Dio visibile, percorri

questo mio stesso camminare ansioso:

ed io non temo, se d'argento un'ala,

rivelata al mio cuore, passa sui miei giorni.

 

(da "Dove io m'esilio", Garzanti, Milano 1960, p. 36)

 

 

 

 

L'ANGELO BAGNATO

di Renzo Pezzani (Parma 1898 - Castiglione Torinese 1951)

 

Angelo mio, come siete bagnato.

Andiamo al fuoco dei carbonai.

Delle nuvole di maggio

non bisogna fidarsi mai.

 

Come fumano le vostre ali,

i capelli lisci e neri.

Bianche nuvole come dai prati

si distaccano dai vostri pensieri.

 

Nella luce dei vostri occhi

vedo splendere l'arcobaleno.

Dormiremo come fratelli

sopra un cumulo di fieno.

 

Sembreremo, coricati,

due gigli fulminati.

 

(da "Belverde", SEI, Torino 1935, pp. 53-54)

 

 

 

L'ANGELO C'È...

di Marino Piazzolla (San Ferdinando di Puglia 1910 - Roma 1985)

 

L'Angelo c'è ed è quasi sempre nostra madre morta, che noi immaginiamo, ancora viva, ma in un altro paese della terra.

 

(da "Parabole dell'Angelo di cenere", Fermenti, Roma 1980, p. 19)

 

 

 

L'ANGELO D'ORO

di Giuseppe Raimondi (Bologna 1898 - ivi 1985)

 

L'angelo apparve nella curva

dilatata del cielo all'ora di sera.

La luce ha fuso il verde del

mare con l'azzurro dell'aria

in un qualcosa di grigio e di rose,

venuto lento sino in terra.

Un'ombra di nero tinge

il grande azzurro. Lottano

d'amore il nero e l'azzurro

nel caldo delle rose, forate da

luci di fanali come grosse lucciole

riapparse. Insegne di fuoco si accendono

e spengono, lasciano cicatrici sul

grigio di rose. Finché un oro diffuso

in polvere d'oro disegnò una figura

diretta sulla terra. Trionfo della sera

ormai svenuta come fanciulla.

Un angelo, era, avviluppato di oro,

dentro un manto di splendida

gioventù. -  «Angelo, mio angelo,

venuto dalla tua riva di perla,

cos'è che si grida? Cosa è

che impugni e protendi al

fianco? E' una lunga, bruciante

spada di puro oro come

il timone al navigante del

cielo. L'oro che tu porti, temprato

in un sogno immacolato mi ha

bruciato per la vita. Fra poco,

angelo di vita, di sogno, tu

ripartirai per la tua riva.

Partendo lasciami vicina la

tua grande spada, che resti

con me, carne e sostanza

d'oro, luce, memoria, speranza.

Solo con la notte tornerà

il dolore dolcissimo della

speranza, mio angelo».

 

[da "Poesie (1924-1982)", Scheiwiller, Milano 1999, pp. 39-40]

 

 

 

 

ANGELO D'AMORE E DI MORTE

di Enrico Somarè (Travedonia 1889 - Milano 1953)

 

Angelo d'amore e di morte,

sale verso il mio sguardo che t'implora,

affranto, la tua tenebrosa aurora

vestita d'erba sepolcrale.

 

Si leva un vento siderale

gemendo là nell'arido roveto,

come il flutto angoscioso nel canneto

del lago spento che s'oscura.

 

L'aria inquieta s'impaura,

l'anima trema intorno a questi fiori

riarsi dal silenzio e dai terrori

e piange su la tomba immane.

 

O presagi, le campane

percuotono il mio cuore già sepolto.

Arde il cielo sul tuo povero volto

d'ombra, fra croci e rami.

 

Cadono i funebri velami.

Mutò la luce in tenebra splendente,

la vita in una morte più vivente,

il tempo nell'eternità.

 

E poi che precipiterà

la sera del mio giorno di dolore,

cadrò su questa fossa del mio cuore,

in braccio alla tua sorte.

 

(da "Canti", Edizioni dell'Esame, Milano 1951, pp. 91-92)

 

 

 

L'IMPRONTA

di Giorgio Vigolo (Roma 1894 - ivi 1983)

 

Dentro le pagine spesse di roccia

che col suo peso l'alpe incuba opprime

è stampata d'un angelo la forma

come in un libro ove fu chiuso un fiore.

Nel duro impasto di rupe e di ferro

quella celeste immagine s'impresse

gittata nella tenebra: la pietra

come cera rispose alla sua impronta.

 

Ed or le volte sotterranee, i curvi

gomiti delle grotte, gli archi, i vani

son la cava figura,

lo stampo delle membra in questi porfidi

come inciso cameo dentro la terra.

L'inverso d'una statua. Non aria

la circonda ma pietra: aria è il suo corpo.

 

Sulla roccia granita di scaglia,

incrostata di mica e di quarzo

balena l'ala occhiuta del serafino:

e nell'acuta volta tra lo sfarzo

dei metalli e le vene di rubino

la faticosa scapola s'incastra

sull'omero divino

e in uno slancio di volo ancora la pietra solleva.

 

Questo è l'antico esempio di quel divo

spirto che un giorno inabitò la terra,

anima viva dentro vive membra.

O sensibile terra, carne e ossa

dell'ineluttabile creatura

che si vestì di te come d'un corpo,

quali celesti sensi

scossero allora questa pietra dura,

quali pensieri immensi in questo teschio

ebbero albergo, e passioni e sogni

nello scheletro bianco dei calcari?

O macerie d'un tempio,

o sconsacrati altari.

 

Venne la morte: ed in quell'ora estrema

l'astro si spense, s'agghiacciò, fu terra,

l'immortale esalando anima al cielo.

Esanime rimase, inerte salma

d'un dio, spoglia immortale.

Delle angeliche membra allor la cieca

materia si disfece in brulicanti

miriadi di bestie avide e uccelli:

tutta fu sparsa dalle muffe verdi

delle foreste.

 

E fu la nostra vita.

 

(da "Canto fermo", Greco e Greco, Milano 2001, pp. 148-150)

 

Hugo Simberg, "The Wounded Angel"
(da questa pagina web)


domenica 24 ottobre 2021

Novembre nella poesia italiana decadente e simbolista

 

Novembre è, probabilmente, il mese più caro ai poeti decadenti e simbolisti; ciò si spiega facilmente: nei trenta giorni dell'undicesimo mese dell'anno solare, la stagione autunnale (anch'essa particolarmente cara a questi poeti) si mostra in tutto il suo splendore o, ancora meglio, in tutto il suo grigiore; in questo periodo caratterizzato da un clima sempre più rigido; da giornate sempre più corte; da piogge sempre più copiose e insistenti; da una grande quantità - non riscontrabile in altri mesi - di foglie che cadono dagli alberi sempre più spogli, viene da sé che a guardare il cielo, la terra, gli alberi e il paesaggio circostante, si possa provare una netta sensazione di totale decadimento, di fine imminente; causa di tutto ciò è anche un mutamento umorale, conseguente alle tipiche manifestazioni stagionali, che si concretizza in una malinconia straripante (non a caso, alcune tra le migliori poesie crepuscolari vedono il mese di novembre quale protagonista). C'è poi da aggiungere che in questo preciso mese cade il giorno della commemorazione dei defunti: ricorrenza che oggi è assai trascurata, ma che un secolo fa veniva tenuta ancora in gran considerazione. Ecco allora che il novembre diviene il mese dei morti, manifestandosi con le tipiche caratteristiche della perdita assoluta, di un non-ritorno conclusivo. Le foglie cadute, il cielo perennemente grigio, la pioggia, il paesaggio spettrale, non sono altro che simboli di morte; in questo contesto, il mese di novembre è a sua volta simbolo di scomparsa definitiva.

 

 

 

Poesie sull'argomento

 

Mario Adobati: "Novembre" in "I cipressi e le sorgenti" (1919).

Diego Angeli: "L'estate dei morti" in "L'Oratorio d'Amore" (1904).

Ugo Betti: "Canzoncina di novembre" in "Canzonette - La morte" (1932).

Giovanni Camerana: "Capovolti si specchiano" in "Poesie" (1968).

Francesco Cazzamini Mussi: "Novembre" in "I Canti dell'adolescenza (1904-1907)" (1908).

Carlo Chiaves: "Novembre" in "Tutte le poesie edite e inedite" (1971).

Guelfo Civinini: "Canzonetta novembrina" in "I sentieri e le nuvole" (1911).

Vincenzo Fago: "Nel mar grigio si spegne doloroso" in "Discordanze" (1905).

Francesco Gaeta: "Novembrina" in "Poesie d'amore" (1920).

Cosimo Giorgieri Contri: "Verso il novembre" in "La donna del velo" (1905).

Corrado Govoni: "Ognissanti", "Ne la notte dei morti" e "Il giorno dei morti" in "Armonia in grigio et in silenzio" (1903).

Corrado Govoni: "Novembre" in "Poesie elettriche" (1911).

Arturo Graf: "Novembre" in "Morgana" (1901).

Arturo Graf: "Tristezza di novembre" in "Le Danaidi" (1905).

Arturo Onofri: "Novembre" in "Liriche" (1914).

Giovanni Pascoli: "Novembre" in "Myricae" (1900).

Francesco Pastonchi: "Novembre" in "I versetti" (1930).

Francesco ed Emilio Scaglione: "Mattina di novembre" in "Limen" (1910).

Giovanni Tecchio: "Novembre" in "Canti" (1931).

Aurelio Ugolini: "Novembre" in "Viburna" (1905).

Diego Valeri: "Mattino di Novembre" e "Ed è giunto il novembre..." in "Umana" (1916).

 

 

 

Testi

 

NOVEMBRE

di Arturo Graf

 

Oh come triste e disperato e fiero

Fischia tra le sfrondate arbori il vento,

Empie il bosco di strida e in suo tormento

Trae delle foglie il cenere leggiero!

 

Simile a fumo procelloso e nero

Da borea scende un ravviluppamento

Di tetre nubi, è d’ombra e di sgomento

Tutto colma del ciel l’ampio emisfero.

 

Lungo i botri scoscesi e le fiumare,

E in vetta al colle desolato, gela

Tremando al vento l’erica selvaggia.

 

Sotto l’immensa e cieca nube il mare,

Cupo, senza un baglior, senza una vela,

Flagella urlando la scogliosa spiaggia.

 

(da "Morgana")

 

 

 

 

NOVEMBRE

di Aurelio Ugolini

 

Cielo che gli occhi ne abbarbagli e stanchi

su città grige e aride campagne;

riso di sole pallido che imbianchi

                   tombe terragne:

 

novembre! Oh come gli alberi sfrondati

treman riflessi nei cerulei fonti,

e come senza fine e desolati

                   sono i tramonti!

 

Tutto s'adagia in un'indifferente

quiete, in un languir triste di suoni

e di colori: il cuor piange le spente

                   illusioni.

 

Una ne brilla ancor, ma per le strade

tutto ai libecci il platano si spoglia;

ma nelle tue foreste, autunno, cade

                   l'ultima foglia.

 

(da "Viburna")



Jakub Schikaneder, "Na Dusicky"
(da questa pagina web)