domenica 28 novembre 2021

Cipressi sul Candiano

 Novembre: nell'aria umida nebbia,

cielo biancastro sul plumbeo canale.

Su l'opposta riva, neri cipressi,

in processione senza fine,

nella tremula acqua cinerea

le oscure immagini affondano.

(Così fanno i pensieri in noi!).

Quasi temo, un momento,

vederli schiantare in pianto

e come umani udirne i singulti.



Questa poesia di Domenico Emaldi, fu pubblicata sulla rivista romagnola La Piè, nel gennaio del 1927; riporta anche il luogo e l'anno in cui fu composta: "Ravenna, 1920". Non so il motivo per cui fu pubblicata quasi sette anni dopo la sua stesura, però ben riflette quel clima plumbeo che si respirava allora in Italia. Dall'ottobre del 1922, infatti, il fascismo aveva ottenuto il potere, ponendo definitivamente fine ad un periodo roseo per la nazione italiana, già largamente compromesso dalla Grande Guerra e dai lutti che ne seguirono. Il paesaggio autunnale, grigio e triste, ben simboleggia lo stato d'animo di tanti italiani che mal sopportavano una dittatura arrivata sulla loro testa quasi per caso, destinata a durare per più di un ventennio, e portatrice di disastri impensabili, culminati con la 2° Guerra Mondiale.

"Ariele" di Diego Valeri

 

Ariele è il titolo della quinta raccolta di versi di Diego Valeri (Piove di Sacco 1887 - Roma 1976). Il volume di 142 pagine, fu pubblicato dalla Arnoldo Mondadori Editore nel 1924. Sono, complessivamente, 57 poesie, divise in 12 sezioni tranne la prima - intitolata Annunciazione, l'ultima, che dà il titolo alla raccolta, e le otto precedute dalla dicitura Intermezzo veneziano (che può essere considerata una'altra sezione). Purtroppo, diverse poesie presenti in questo libro, verranno in futuro sacrificate dal poeta veneto; ciò si deduce leggendo Poesie vecchie e nuove (Mondadori, Milano 1952), ovvero il volume che Valeri affermava rappresentasse la sua "summa poetica", e che farà da riferimento nei futuri e simili volumi, a partire da quello intitolato Poesie, di dieci anni dopo. Il motivo per cui Valeri si sia dimostrato così severo nei confronti della sua produzione poetica passata, non mi è dato saperlo. Certo è, secondo me, che avrebbe potuto salvare un gran numero di poesie ingiustamente eliminate, ma che è comunque possibile leggere nelle raccolte originali. Come già detto, questa raccolta contiene delle liriche bellissime, che in sostanza proseguono l'itinerario poetico di Valeri, iniziato in Monodia d'amore e proseguito con le altre, eccezionali pubblicazioni avvenute durante la seconda decade del Novecento. I temi qui trattati ricalcano quelli precedenti: la natura osservata nei suoi aspetti più semplici e straordinari, gli amori del passato e del presente, gli affetti familiari, il fascino misterioso di certa musica, la città di Venezia, il sentimento religioso e la morte. Qualche poesia verrà riproposta, quattro anni dopo, nella raccolta dedicata al pubblico infantile intitolata Il campanellino. Chiudo riportando tre componimenti in versi meravigliosi, che non comparirono mai più nelle successive opere poetiche di Valeri.

 

 


 

VITA

 

Pianto di cose sognate e perdute,

per tutto il giorno del nostro soffrire;

pianto di povere gioie vissute,

lungo la sera del nostro morire...

Ma un'inesausta dolcezza d'amore,

sempre, ad ogni ora, nel fondo del cuore.

 

(da "Ariele", Mondadori, Milano-Roma 1924, p. 17)

 

 

 

 

SALA D'ASPETTO

 

Arrivato anche a questa stazione

del viaggio della mia vita.

Nell'attesa di ripartire

verso un'altra stazione

del viaggio della mia vita.

 

Poche lampade fioche,

annegate in un giallastro grigiore

viscido di vernice...

 

Dentro la nera cornice

del finestrone di fondo,

vedo la sera che muore,

tenero barlume biondo,

soave musica muta,

sui tetri giardini

della città sconosciuta.

Alle spalle, sento il lucido gelo

della strada d'acciaio che va,

immota sotto l'immoto cielo,

attraverso l'immensità.

 

Un fischio lontano; un vicino brusio

di voci; un trito scampanellio,

senza posa, senza posa.

 

Tra un cupo silenzio improvviso,

venuta chissà di dove,

una campana d'avemaria

mi posa

una molle carezza sul viso,

m'apre il cuore, vi piove

la dolcezza della casa lontana,

il sorriso della donna lontana,

tutto il canto e tutto il pianto

della mia vita lontana.

O passione vana

della mia vita vana,

ti chiamo e t'amo disperatamente,

come nell'ora dell'agonia!

T'amo e ti chiamo disperatamente,

con tutta l'anima mia...

 

Guardo intorno. Qualche triste ombra umana

si muove per il grigiore giallastro.

Le vetrate sono ora turchine,

d'un terso turchino, trasparente, incantato,

con qualche bianco brivido d'astro.

 

Chi mi trarrà da questo fondo di perdizione?

Chi strapperà alla sua sorte

il ferito senza nome,

il disperso,

abbandonato alla notte e alla morte,

solo, con la sua disperazione,

su l'ultimo confine dell'universo?...

 

(da "Ariele", Mondadori, Milano-Roma 1924, pp. 51-54)

 

 

 

 

NULLA

 

Solo ero, abbandonato dalla vita nel fondo

di quella notte, come negli abissi d'un mare

di tenebra: ero solo, in quel piccolo letto,

abbracciato perdutamente alla mia miseria.

 

Non c'era più nessuno, più nulla su la terra

per me: non voi, bambine mie, tutta gioia mia,

né tu, né pure tu, cuore triste e fedele,

né i miei morti, né il mio buon compagno, il dolore.

 

Più nessuno, più nulla: non più sole, né fiato

vivo di vento, né riso di fiore e d'erba:

tutt'intorno, muraglie di nero vuoto: notte

interminata, senza moto, senza respiro...

 

Quando di tra le imposte filtrò la prima luce,

l'anima si riscosse; ma piangeva, piangeva,

come il bimbo staccato dal paese del sogno

dove ha incontrato il volto della felicità.

 

(da "Ariele", Mondadori, Milano-Roma 1924, pp. 81-82)

domenica 21 novembre 2021

Antologie: "L'inconscio politico - 36 poesie su commissione"

 

Trattasi di un'antologia in miniatura, ovvero di un volumetto (soltanto 64 pagine) che fu allegato al quarto Annuario critico della poesia italiana, intitolato Poesia '97 e pubblicato da Castelvecchi, in Roma, nel 1998. Quanto al contenuto, il sottotitolo del volumetto è assai eloquente: vengono riportate trentasei poesie scritte da trenta poeti italiani, su commissione; gli argomenti trattati sono quattro (ed altrettante sono le sezioni dell'antologia): la fine del Comunismo (sezione I, titolo: Poesia in forma di delusione); la Terra che muore a causa dell'inquinamento (sezione II, titolo: Canto per la terra che muore); la Guerra del Golfo (sezione III, titolo: Dieci poesie tra pace e guerra); il trentennale del Sessantotto (sezione IV, titolo: Il Sessantotto). Tali argomenti, evidentemente, erano di stretta attualità all'epoca in cui l'antologia venne pubblicata. I testi sono di poeti diversissimi tra loro, di svariate generazioni (da Mario Luzi a Giuseppe Conte, da Andrea Zanzotto a Valerio Magrelli, da Edoardo Sanguineti a Paolo Febbraro); ne risulta una, seppur minuscola, interessante selezione, e gli argomenti trattati non sono certo banali, e uno di essi (facile individuare quale sia) è tutt'ora al centro dell'attenzione generale. Certo, occorre sempre tenere presente che dall'uscita di questo libretto sono passati più di vent'anni, ma, a parte ciò, la lettura delle poesie qui presenti è ancora appassionante, e porta inevitabilmente a riflettere su tre principali materie: politica, storia e inquinamento. Ecco infine l'elenco dei poeti presenti in L'inconscio politico.





 L'INCONSCIO POLITICO - 36 POESIE SU COMMISSIONE

Dario Bellezza, Alfonso Berardinelli, Carlo Bordini, Patrizia Cavalli, Giuseppe Conte, Claudio Damiani, Roberto Deider, Gianni D'Elia, Enzo Di Mauro, Luciano Erba, Paolo Febbraro, Franco Fortini, Vivian Lamarque, Mario Luzi, Valerio Magrelli, Giorgio Manacorda, Dacia Maraini, Nico Naldini, Rossana Ombres, Nico Orengo, Renzo Paris, Elio Pecora, Fabio Pusterla, Edoardo Sanguineti, Giorgio Scalise, Bianca Tarozzi, Antonio Veneziani, Paolo Volponi, Andrea Zanzotto, Valentino Zeichen. 

domenica 14 novembre 2021

La poesia di Attilio Bertolucci

 

Quando cominciai a conoscere la poesia di Attilio Bertolucci (Parma 1911 - Roma 2000), leggendo alcuni suoi versi presenti in varie antologie scolastiche e non, mi resi subito conto della differenza netta che caratterizzava il suo fare poetico rispetto a quello dei suoi coetanei e contemporanei. Ciò è stato riscontrato da tutti i lettori e i critici che hanno avuto la fortuna, come me, di approfondire la conoscenza di questo eccezionale poeta. In Poeti italiani del Novecento¹, il critico letterario Pier Vincenzo Mengaldo, dopo averlo definito "un isolato nel panorama contemporaneo" e dopo aver identificato una palese influenza che i suoi versi esercitarono su alcuni conterranei come Gaetano Arcangeli e Giorgio Bassani, afferma che Bertolucci trovò ispirazione basandosi molto sulla poesia italiana del primo Novecento e del secondo Ottocento, ovvero tenendo ben presenti i versi di Pascoli, Carducci e i crepuscolari; in minor misura, afferma sempre Mengaldo, il poeta emiliano mostra somiglianze con la poesia di alcuni anglosassoni ottocenteschi come Thomas Hardy, e di francesi come Toulet ed Apollinaire. Anche un altro critico: Gianni Pozzi, rintraccia alcuni elementi che avvicinano Bertolucci al poeta parigino; sempre Pozzi, come si nota in questo frammento tratto da La poesia italiana del Novecento, sottolinea la distanza totale da altri poeti italiani che nel terzo decennio del XX secolo andavano pubblicando memorabili opere in versi:


 Una poesia che sembra affidare ogni sua virtù alla sincerità e alla grazia affettiva del suo piccolo mondo, all'intimismo del suo modesto e cortese provincialismo, è quella di Attilio Bertolucci.

A compenso delle sue ridotte ambizioni, della limitatezza dei propositi che esprime, questa poesia ci dà un suono puro come quello di un vetro cristallino, purezza che era costituzionalmente negata alla ambiziosa ricerca lessicale di Quasimodo, o anche allo sperimentalismo centrifugo del primo Luzi².

 

Ma la strada anomala intrapresa dal giovane Bertolucci, fu seguita da altri e ben diversi (per età e formazione) poeti italiani che erano molto attivi in quel preciso periodo storico. Infatti, proprio in quegli anni alcuni "vecchi" come Ada Negri e Francesco Pastonchi, fecero uscire dei volumi di versi che mostrano delle caratteristiche non distanti dal modus poetandi dello scrittore parmense; c'è poi Umberto Saba, che a partire dal 1934 sembra prendere la medesima strada. Ricordo infine Giorgio Caproni: un altro ottimo poeta che iniziava a farsi notare proprio in quegli anni, con le sue prime pubblicazioni, distanti anni luce dall'ermetismo.

Al di là di questi discorsi, voglio dire che le poesie di Bertolucci mi piacquero immediatamente proprio per la semplicità, la schiettezza e la limpidezza che sapevano e sanno trasmettere. E nel panorama generazionale novecentesco, tra i suoi coetanei mi appariva - e tutt'ora mi appare - il più talentuoso. D'altra parte, quell'ermetismo così preponderante allora, si andò disgregando in breve tempo, e anche altri poeti (potrei citare Mario Luzi, Alessandro Parronchi e Leonardo Sinisgalli) intrapresero strade alternative alla corrente che dominò la scena poetica italiana negli anni '30 e '40 del XX secolo. Insomma, la poesia di Bertolucci, senza usare tante noiose parole, spicca perché non si rifà ad alcuna tendenza o moda: è soltanto autentica poesia, e per questo rimarrà immortale.

Ecco, infine, dopo l'elenco delle opere poetiche di Bertolucci, cinque sue liriche.

 

 

 

Attilio Bertolucci

 

 

"Sirio", Minardi, Parma 1929.

"Fuochi in novembre", Minardi, Parma 1934.

"La capanna indiana", Sansoni, Firenze 1951, 1955.

"Viaggio d'inverno", Garzanti, Milano 1971.

"La capanna indiana", Garzanti, Milano 1973 (3° ed. accresciuta).

"La camera da letto. Libro primo", Garzanti, Milano 1984.

"La camera da letto. Libro secondo", Garzanti, Milano 1988.

"Le poesie", Garzanti, Milano 1990.

"Verso le sorgenti del Cinghio", Garzanti, Milano 1993.

"La lucertola di Casarola", Garzanti, Milano 1997.

 

 

 


 

 

 

OTTOBRE

 

Sporge dal muro di un giardino

La chioma gialla di un albero.

 

Ogni tanto lascia cadere una foglia

Sul marciapiede grigio e bagnato.

 

Estasi, un sole bianco fra le nubi

Appare, caldo e lontano, come un santo.

 

Muto è il giorno, muta sarà la notte

Simile ad un pesce nell’acqua.

 

(da "Poesie", Garzanti, Milano 1990, p. 17)

 

 

 

 

 LA ROSA BIANCA

 

Coglierò per te

l'ultima rosa del giardino,

la rosa bianca che fiorisce

nelle prime nebbie.

Le avide api l'hanno visitata

sino a ieri,

ma è ancora così dolce

che fa tremare.

È un ritratto di te a trent'anni,

un po' smemorata, come tu sarai allora.

 

(da "Poesie", Garzanti, Milano 1992, p. 41)

 

 

 

 

O BRUNA VIOLETTA

 

O bruna violetta

giunta troppo presto fra noi

che ancora sui tetti

splende la neve fragrante...

 

Il sole inonda la città,

geme il violino e il debole tamburo

l'accompagna svogliato,

l'ora passa adagio, la gente se ne va.

 

(da "Poesie", Garzanti, Milano 1992, p. 81)

 

 

 

 

 GLI ANNI

 

Le mattine dei nostri anni perduti,

i tavolini nell'ombra soleggiata dell'autunno,

i compagni che andavano e tornavano, i compagni

che non tornarono più, ho pensato ad essi lietamente.

 

Perché questo giorno di settembre splende

così incantevole nelle vetrine in ore

simili a quelle d'allora, quelle d'allora

scorrono ormai in un pacifico tempo,

 

la folla è uguale sui marciapiedi dorati,

solo il grigio e il lilla

si mutano in verde e rosso per la moda,

il passo è quello lento e gaio della provincia.

 

(da "Poesie", Garzanti, Milano 1992, p. 101)

 

 

 

 

SOLO TU

 

Solo tu che lontano da noi

porti nelle calde sere

l'incanto orientale delle tue palpebre

e i fiori aromatici delle tue mani,

 

solo tu avresti potuto liberarmi

dalle braccia malefiche dei sogni

(essi stendono le loro ombre su di me

anche al di là delle notti).

 

Bastava che tu mi chiamassi per nome,

ma ecco tu stavi fra i sassi e le ginestre

nel vento del mattino,

ora ti baciavo, tu eri grave e muta.

 

(da "La lucertola di Casarola", Garzanti, Milano 1997, p. 12)

 

 

NOTE

1) "Poeti italiani del Novecento", a cura di Pier Francesco Mengaldo, Mondadori, Milano 1990, p. 568.

2) Gianni Pozzi, "La poesia italiana del Novecento: Da Gozzano agli Ermetici", Einaudi, Torino 1995, p. 327.

 

 

 

 

domenica 7 novembre 2021

Poeti dimenticati: Marcus De Rubris

 

Marcus De Rubris (pseudonimo di Marco Rossi) nacque nel 1885 e morì a Genova nel 1944. In gioventù scrisse e pubblicò molti versi, collaborando anche con riviste famose, come «La Donna» e «Poesia»; nell'età matura abbandonò la poesia; nei seguenti anni divenne uno dei più autorevoli conoscitori e divulgatori della vita e dell'opera di Massimo D'Azeglio, ed è proprio grazie ai suoi libri relativi a questo argomento che ancora oggi è ricordato. Come poeta, si può inserire tra i classicisti, pur dimostrando, seppur velatamente, una simpatia per la poesia decadente e simbolista. Una sua raccolta poetica fu recensita in una rivista romagnola dal poeta crepuscolare Marino Moretti, che definì De Rubris: "poeta simbolistico e composto", contrapponendolo all'amico Aldo Palazzeschi, considerato decisamente rivoluzionario.  

 

 

 

 Opere poetiche

 

"Anima nova", Streglio, Torino 1906.

"Ne l'estasi de l'anima", Soc. tipografico-editrice Nazionale, Torino-Roma 1907.

"La Veglia", Cappelli, Rocca S. Casciano 1910.

 

 


 

 

Testi

 

NUBI PE 'L CIELO

 

Fantasimi errabondi a grandi torme

per l’ampia vastità de gli orizzonti

le nubi — dianzi che il sole tramonti —

s'avventan con selvaggia corsa informe.

 

Ombre cupe — di piombo — sotto cieli

purpureamente illividiti vanno,

però che un vento subito le quassa...

Dilacerate, e folli ne l’anélito

d’uno spasimo immenso, con affanno

or d’un tratto le nuvole s’abbassano

sovr’essa la pianura triste, e passano

confusamente a fuga impetuosa... —

Ma, dileguate, a l’anima bramosa

pareva ognuna un mostro orridiforme.

 

(da "Anima nova", Streglio, Torino-Genova-Milano 1906)

 

 

 

 

LA FONTANA DE 'L FAUNO. QUADRO DI SANTIAGO RUSINOL

 

Ne 'l mezzo de la vasca e su lo specchio

tremulo de la fonte iridescente

un corpo s'erge - in marmo rilucente -

un corpo altero di robusto vecchio.

Circonda, a torno, in conca amabilmente

una giostra di piante e forma specchio

co 'l verde vegetoso de 'l cernecchio,

labile su le tremul'acque attente.

 

E il corpo de 'l gran Fauno è senza testa,

chi sa da quale vilipendio mozza.

E il destro braccio parimenti è tronco. -

L'Idea vige su 'l luogo: e sempre attesta

l'arte non vinta da barbarie sozza,

ché 'l Fauno appar di nessun membro monco.

 

(da "Ne l'estasi de l'anima", Società Tipografico-Editrice Nazionale, Torino-Roma 1907)

 

 

 

 

POVERTÀ, NOSTRA SIGNORA

 

Quegli ch'è nato povero, la santa

miseria che l’accolse ed in cui visse

non à sgradita mai, né maledisse;

anzi d’essa l’origin sua si vanta!

Il sofferente qualche volta canta...

Ma pur talora il male tiene fissi

i nati in sacrificio — su li abissi

de la fame agitandoli — o li schianta.

 

Invece... Ma perché non ànno tutti,

nascendo, tutti morbide carezze

teneri canti ed infiniti baci?

Invece!... Ma e perché così fugaci

son le gioie innocenti?... Le amarezze

non tardano pe ’l cuor, co’ i giorni brutti.

 

(da "La Veglia", Cappelli, Rocca S. Casciano 1910)