domenica 11 novembre 2018

"Il convegno dei cipressi" di Cosimo Giorgieri Contri


È un'opera poetica che mi sta particolarmente a cuore, e che ho cercato fin dai primi tempi in cui m'interessai di poesia italiana. Dell'autore, ovvero di Cosimo Giorgieri Contri (Lucca 1870 - Viareggio 1943), sapevo qualche informazione perché lo trovavo spesso citato in saggi riguardanti la poesia crepuscolare, soprattutto quando si nominavano i precursori di questa tendenza poetica; consultando le enciclopedie ed i dizionari, notai che il suo nome, quando era presente, era sempre seguito da poche righe con scarse e fugaci notizie; tra queste, difficilmente non veniva menzionata la sua opera poetica più importante. Faticai non poco a trovare i suoi versi riportati in antologie vecchie e nuove; la prima che reperii fu Dal simbolismo al déco (Einaudi, Torino 1981). Due delle tre poesie riportate in tale opera mi piacquero molto; venni quindi a conoscenza dei titoli (tutti affascinanti) delle altre raccolte poetiche di Giorgieri Contri. Infine, riuscii a consultare un libro che conteneva Il convegno dei cipressi ed altre poesie dello scrittore toscano, anche se in edizione leggermente modificata rispetto all'originale. Soltanto qualche anno fa ho avuto l'opportunità di leggere, finalmente, la prima edizione pubblicata a Milano, dall'editore Galli di C. Chiesa e F. Guindani nel 1894. Tale volume si compone di 189 pagine; le 89 poesie qui presenti, a parte il poemetto che dà il titolo al libro e lo apre, sono suddivise in tre sezioni: I. IL LIBRO DEGLI ANTICHI AUTUNNI; II. INTERMEZZO; III. IL LIBRO DEGLI ANTICHI AMORI. Le forme metriche preferite dal Giorgieri Contri sono la quartina e il sonetto; gli argomenti trattati nei versi sono abbastanza esplicitati dai titoli delle sezioni: immagini autunnali che trasmettono nostalgia del passato e malinconia; ricordi di amori con donne particolarmente sofisticate, tratteggiati con palpabile rimpianto; descrizioni di ville, edifici religiosi e luoghi cittadini circoscrivibili nel Piemonte e nella Toscana (le regioni in cui Giorgieri Contri visse di più ed amò), visitati in un passato più o meno recente, spesso in compagnia di donne. Più di un critico, parlando della poesia del Giorgieri Contri, ha fatto chiaro riferimento all'elegia; Giuseppe Antonio Borgese la definisce sospirosa e delicata; secondo Glauco Viazzi è amorosa, altolocata e raffinata. Tutti concordano poi sul fatto che il poeta insista sulle immagini autunnali, simbolicamente pertinenti ad un'idea di perdita, di caduta e di sconfitta. Impossibile non riconoscere dei debiti che ha la poesia del Giorgieri Contri, in particolare nei confronti di certo D'Annunzio e di Maurice Maeterlinck. Le opere poetiche posteriori al Convegno dei cipressi non mostrano particolari svolte, confermando che Giorgieri Contri predilesse sempre una lirica intimista, romantica, malinconica e, in parte, simbolista. Questo però rimarrà il suo migliore libro di versi, che andrebbe ricordato e valutato maggiormente. Ecco due poesie presenti nell'edizione originale; Il carillon è tratta dalla prima sezione, e fa capire che un grandissimo poeta come Guido Gozzano tenne ben presente i versi del nostro; Vecchio giardino, invece, fa parte della terza sezione, e per certi aspetti ricorda la celebre lirica di Lorenzo de' Medici Canzona di Bacco, contaminata però da elementi cari al decadentismo più sensuale (e più dannunziano); con un finale che, invece, si avvicina in modo netto al Giovanni Pascoli delle Myricae.

Cosimo Giorgieri Contri


IL CARILLON

Vi ricordate il vespro settembrino?
Con la sua grazia languida e sfinita
il carillon suonò nel salottino
un duettino della Favorita.

La padrona di casa, una signora
vecchia e triste, oramai senza conforti,
— due suoi bimbi, altri tempi, eranle morti
ed ella ancora li piangeva, ancora —

credea di avere in quel ninnolo stinto
di un vecchio legno, a forma ovoidale,
un portento dell'arte musicale
che niun'altra scoperta avesse vinto.

Lentamente finì la Favorita
e i Puritani vennero di poi:
noi non li udimmo, non li udimmo noi,
ch'io vi stringevo il sommo della vita:

ma, dopo i Puritani il Trovatore
languido risuonò nel salottino:
moriva intanto il vespro settembrino
e una gran pace ci venìa di fuore.

Dodici pezzi suona. E in fretta e in fretta
che bella cosa, non è vero? — Oh certo —
Ma lo stromento rimaneva aperto
con una grazia un po' vergognosetta:

e dopo, quando fu rimesso a posto
tra due piccole statue di gesso,
si tenne, o parve a me, molto nascosto,
quasi che avesse indovinato anch'esso

che davanti a un amor giovine e forte
sì come il nostro si sentiva allora,
tristi eran troppo, non è ver signora?
le sue canzoni che sapean di morte.

Ma dopo, dopo, quando io vi lasciai
da voi tradito, mi rivenne in mente
l'autunnale vespero silente
e il povero strumento io ricordai;

e il salottino un po' vergognosetto
nella eleganza di un tempo passato,
e la vecchia signora in lutto stretto,
sul canapè di pallido broccato.

E voi, voi pure, mi tornaste in cuore,
mescentivi alle mie, piccole dita:
e udii piangere ancora il Trovatore
e il duettino della Favorita.

(da "Il convegno dei cipressi", pp. 30-31)




IL VECCHIO GIARDINO
               (Borgofranco settembre 91.)

Questo vecchio giardino
vorrei pei nostri amori;
v'intreccia i bianchi fiori
timido un gelsomino,

e alle notti d'aprile
certo vi è dolce assai,
assai dolce e sottile
l'olezzo dei rosai.

Pei defunti sentieri
noi si andrebbe allacciati:
quante volte ho baciati
i tuoi capelli neri?

Quante volte ha cantato
l'usignolo tra i rami?
giungon lenti i richiami
dal rivo abbandonato.

Poi su una vecchia panca
sederemmo: o dolcezza
come la luna bianca
le tue palme carezza.

Un raggio esile e fine
ti si indugia sul seno;
oh! ch'ei non vegga almeno
più sotto delle trine.

Poi la notte d'aprile
cresce tacitamente,
le stelle sonnolente
seguono la gentile:

L'usignolo ha cantato
nel silenzio: lontano
gli ha risposto più piano
il rivo abbandonato.

Da un vecchio campanile
il Tempo ha detto: Amate;
quando saran passate
queste notti d'aprile

chissà che voi non siate
a dormir sotto il suolo...
e il rivo e l'usignolo
hanno risposto : Amate.

O Dolcezza, la vita
umana è così corta,
questa notte fiorita
tra un' ora sarà morta;

noi tra breve, felici
se dormenti vicino,
cresceremo radici
al faggio o al gelsomino...

Ora dammi i tuoi baci,
stringiti a me, più forte:
queste strette tenaci
scoraggiano la morte,

o, s'ella viene, almeno
sarà dolce il viaggio:
ha voluto anche il raggio
morir sopra il tuo seno.

Oh! il tuo seno; ch'io sugga
del tuo seno l'aroma,
ch'io baci la tua chioma
pria che la notte fugga;

ch'io chiuda i tuoi bei cigli
con le labbra tremanti;
pria che l' alba si ammanti
de' suoi pepli vermigli.

Oh! senti, senti. L'ora
ha battuto i richiami:
baciami oh tu che m' ami
baciami in bocca ancora.

Io non so se son vivo
ma so che non son solo:
s'è addormentato il rivo
e tacque l'usignolo.

Presto dalle colline
grave, lenta, lontana
ridirà la campana:
È la fine, è la fine.

(da "Il convegno dei cipressi", pp. 129-131)

domenica 4 novembre 2018

La lussuria nella poesia italiana decadente e simbolista


La lussuria, ovvero l'abbandono al piacere sessuale, è un elemento che contraddistinse l'attività poetica di molti scrittori decadenti e simbolisti. Paul Verlaine e Gabriele D'Annunzio, da questo punto di vista, sono stati dei maestri. Tra i poeti delle generazioni successive, si nota, in più di un caso, il tentativo di raffigurare la lussuria; eccola allora in forma di vecchia, nelle poesie di Botta, Lucini e Palazzeschi. Cavacchioli invece la chiama "disperazione" e la dipinge come un mostro notturno che, a poco a poco, distrugge il malcapitato rimasto in sua balìa. Anche De Maria descrive la lussuria (sorta di creatura che ingloba in sé tutte le femmine bellissime e vogliose) in forma di fiero mostro / di voluttà, da l'uncinato rostro, / da l'avide ventose a mille a mille. Corazzini la vede in veste d'imperatrice che, mai sazia, va alla continua ricerca del piacere, non riuscendo mai ad amare nessuno. Canudo invoca la carne di femina e gli eroici amplessi in un rito iniziatico che diviene quasi una guerra, prevedendo la morte per chi, da questi estremi rapporti carnali esca sconfitto. D'Ambra parla di un buon consenso d'amore a lui concesso da una donna che si scote ne la gloria de 'l piacere, sprofondando nel gran Male ignoto. Marcellusi cerca d'invogliare una donna a recarsi nella sua dimora per una notte (Ti aspetto. Già, tendo le mani. / Non ci pensi? Una notte insieme... / è tutto! Oh, la vita che preme, / dopo un po' d'amore...) Nella medesima situazione, Civinini dichiara che, dopo una "vana lotta" con le proprie inibizioni, la donna desiderata verrà in casa sua e cederà all'istinto primordiale. Anche Comi parla di una donna in cui l'istinto prevale sugli altri sentimenti (No: così vuole l'istinto / implacabile che ti tiene / in viluppi e ti rode le vene: / vincer non puoi, non hai mai vinto). Guido Da Verona afferma che, di fronte alle pulsioni e alle grida di una donna nell'atto d'amore, i sogni degli uomini non sono altro che "vane parole". Corradi vede la donna voluttuosa, durante l'atto sessuale subire delle trasformazioni imprevedibili (E le braccia protese in cupidigia / al forte amplesso nella luce vaga / somigliaron due steli alti di gigli; // e i capezzoli brevi due vermigli / fiori sbocciati in una nebbia grigia / dentro i vapori d'una azzurra plaga.) Oxilia si sofferma nella descrizione del corpo di una bella donna, di cui ama la magrezza adolescente / e la sua forte nudità pagana / così viva di fremito e languore. Lipparini dedica un sonetto ad un'impura che, quasi giunta ormai alla vecchiaia, si ritrova in completa solitudine, poiché il fascino peccaminoso della sua carne è definitivamente scomparso. C'è poi Govoni che riservò all'argomento un'intera sezione del suo primo libro di versi, lasciandosi andare in descrizioni così ardite che il volume fu censurato; e proprio Govoni e Gualdo, rievocano un personaggio storico famoso per le sue avventure erotiche e lussuriose: Lucrezia Borgia. Infine, unica eccezione al trionfare dei sensi, la poesia di Moscardelli parla del suo rifiuto alla lussuria di una notte, non motivandola, se non con pochi versi che descrivono dei sentimenti nostalgici e malinconici: Canto stanco. / Fiori anemici sui petti. / Malattia. / Aromi di caffè - Menta. / Nostalgia vana di amori casti, / Desiderii di sole. / Oppressione. / Paura.



Poesie sull'argomento

Diego Angeli: "Vincigliata" in "L'Oratorio d'Amore. 1893-1903" (1904).
Gustavo Botta: "La Visita" e "A la Lussuria" in "Alcuni scritti" (1952).
Ricciotto Canudo: "L'Iniziazione" in «Poesia», ottobre 1906.
Enrico Cavacchioli: "La Disperazione" in "Le ranocchie turchine" (1909).
Guelfo Civinini: "La vana lotta" in "L'Urna" (1900).
Girolamo Comi: "Acredini" in "Lampadario" (1912).
Sergio Corazzini: "L'imperatrice" in «Marforio», settembre 1904.
Edmondo Corradi: "T'ebbi così: l'aureola ti cinse" in "Nova postuma" (1904).
Lucio D'Ambra: "Ignara Mali" in "Le Sottili Pene" (1896).
Gabriele D'Annunzio: "Le Belle" in "L'Isotteo. La Chimera" (1889).
Gabriele D'Annunzio: "Athenais medica, II" in "L'Isotteo. La Chimera" (1889).
Gabriele D'Annunzio: "Donna Francesca" in "L'Isotteo. La Chimera" (1889).
Gabriele D'Annunzio: "Donna Clara" in "L'Isotteo. La Chimera" (1889).
Guido da Verona: "Le trecce nere" in "Il libro del mio sogno errante" (1919).
Federico De Maria: "La Piovra" in "Voci" (1903).
Federico De Maria: "Il piacere" in "La Ritornata" (1933).
Corrado Govoni: tutte le poesie della sezione "Vas luxurie" in "Le Fiale" (1903).
Corrado Govoni: "Amore" in "Poesie elettriche" (1911).
Guido Gozzano: "L'esilio" in "Poesia", luglio/agosto/settembre 1906.
Luigi Gualdo: "Rassomiglianza" in "Le Nostalgie" (1883).
Giuseppe Lipparini: "L'impura" in "Le foglie dell'alloro. Poesie (1898-1913)" (1916).
Gian Pietro Lucini: "La solita canzone" in "Poesia", aprile 1905.
Enzo Marcellusi: "Odi et amo" in "I canti violetti" (1912).
Nicola Moscardelli: "Quella sera" in "Abbeveratoio" (1915).
Nino Oxilia: "Bruna, selvaggia..." e "Come ài bianca la pelle..." in "Canti brevi" (1909).
Aldo Palazzeschi: "Comare Coletta" in "Lanterna" (1907).
Salvatore Quasimodo: "La lussuria" in "Bacia la soglia della tua casa" (1981).
Giuseppe Rino: "Ora cercan le mani la corona" in "I sonetti flammei" (1905).
Cristoforo Ruggieri: "Il trittico delle mondane" in "Ritmi" (1900).



Testi

A LA LUSSURIA
di Gustavo Botta

Calano l'ombre. E tu, vecchia, sghignazzi
bieca, male ravvolta in cenci bruni,
attraendo la gente con taluni
inviti capziosi e ambigui lazzi.

Da le tue grinze par quasi che razzi
il sortilegio, e pochi son gli immuni.
Ahi!, quanta moltitudine raduni,
visi innocenti, rei, belli, cagnazzi.

Anch'io trascino amaramente questa
ingorda anima mia là, dove infuria
la foia e l'odio, a la notturna festa,

poi che tu spandi, o magica Lussuria,
l'oblio del Tutto, e più non mi funesta
s'io t'avvinghio, l'Amor, cui faccio ingiuria.

(da "Alcuni scritti")




RASSOMIGLIANZA
di Luigi Gualdo

Vidi l'umido labbro e pur procace
Lo sguardo per lussuria semispento,
E il ciglio pien di volontà tenace
E la fermezza del marmoreo mento;

Mirai la linea del profilo altera,
La maestà della sua guancia smorta,
E dissi: È larva od è figura vera?
È viva o dal passato alfin risorta?

Chi è mai? Chi fu? - Ma nuova visïone
S'alzò dinnanzi alla mia mente scossa:
Era una sala aurata, e più persone
In una luce profumata e rossa,

E Lei rividi bella e tenebrosa
Versar l'ebbrezza in cesellata coppa
E accendere il desir che più non posa
Ma vola ognor della Chimera in groppa!

Era l'antica cena di Ferrara,
L'amor letale ed il velen dell'orgia...
E riconobbi, uscita dalla bara
Alla moderna età, Lucrezia Borgia.

(da "Le nostalgie")



John William Waterhouse, "Cleopatra"
(da questa pagina)

domenica 28 ottobre 2018

"Fuoco bianco" di Adriano Grande




Nel 1950 vide la luce un bellissimo volumetto poetico di Adriano Grande (Genova 1897 - Roma 1972). S'intitola Fuoco bianco (sottotitolo: 1941-1949) e fu pubblicato dalle Edizioni della Meridiana di Milano. Il suo interno racchiude trenta poesie divise in tre sezioni: Ricordi - Farfalle - Fuoco bianco. La prima sezione, come ben spiega il titolo, mostra un riaffiorare dei migliori ricordi del poeta ligure, appartenenti soprattutto all'infanzia: periodo felice per eccellenza, nella vita di Grande, che lo ricorda con intensità e con dovizia di particolari. Questi cari ricordi sono descritti in modo preciso, e attraversano un po' tutte le stagioni dell'anno; i luoghi sono, tutti o quasi, quelli della terra natale, tratteggiata con evidente ammirazione e stupore. Nella poesia intitolata Incontro, il ricordo è riferito ad una ragazza non ben precisata, compagna di un indimenticabile viaggio in treno, con la quale Grande ebbe modo di creare un rapporto d'intimità quasi magico; eccone alcuni versi:

Non ci conoscevamo, ma fratelli,
partecipi noi soli di lontani
magici eventi eravamo, guardandoci
con l'ombra d'un sorriso d'infantile
segreta intesa. E quando vidi sciogliersi
la catenella d'oro dal tuo collo
e venni ad allacciarla senza dire
parola, non ti parve strano il gesto
né l'uomo: e non pensasti a ringraziarmi.

La seconda sezione vede, al centro dell'attenzione del poeta, la natura nelle sue manifestazioni più semplici e più sbalorditive; Grande si sofferma nella descrizione attenta e meravigliata di paesaggi, ponendo particolare attenzione alle piccole cose (l'erba, le nuvole, i fiori) e agli animali, tra i quali spiccano, come si evince dal titolo della sezione stessa, le farfalle: simbolo di bellezza, di eleganza e di leggerezza. Restano impressi alcuni versi in cui il poeta mostra la personale amarezza e il suo immenso dispiacere, per una guerra che aveva causato infiniti drammi e distruzioni; proprio lui, che alcuni anni prima aveva celebrato in altri versi la grandezza del duce, ora si pentiva e si rammaricava di ciò che il fascismo aveva causato; ecco a conferma questi versi tratti dalla poesia Povertà:

Pensieri lievi, gioie
inaspettate e brevi: me ne appago
adesso che m'è dato
capire com'è inutile ogni guerra.
Vedo che la miseria
assale la mia terra, la mia casa
invade, per le strade
ci assedia [...]

Infine, la terza sezione che è inizialmente dedicata a scene e momenti di guerra, con visioni di fuochi, di velivoli militari e con rumori di esplosioni che sconvolgono la flora e la fauna circostante; il tutto è descritto quasi in contrapposizione alle eterne eppur sorprendenti manifestazioni della natura, siano esse primaverili o estive, che sembrano volersi porre al di fuori di qualsiasi crudeltà e ignominia, come unica testimonianza della presenza di Dio, anche se intorno il mondo sembra impazzito e l'umanità abbia soltanto voglia di autodistruggersi. Nella meravigliosa poesia intitolata Palombelle, un frate, estasiato dalla fioritura primaverile, chiede a Dio perché nel mondo esista tanto dolore e, nello stesso tempo, tanta disarmante bellezza:

Perché tanta bellezza,
Signore, ci hai donato
che dura così poco? Perché altrove
il manto della terra è insanguinato?

Poi, nelle poesie che portano le date posteriori alla fine della guerra, ritornano i temi cari al poeta: paesaggi stupendi, eventi stagionali e malinconie dovute al tempo che passa. L'ultima lirica, semplicemente grandiosa, è una sorta di testamento poetico, rivolto ad uno sconosciuto lettore, in cui si dà risalto alla cosa più preziosa della vita di un poeta: le parole scritte; solo esse rimarranno, quando il corpo sarà divenuto polvere, a rappresentare l'anima di un uomo che dedicò la sua esistenza alla scrittura. Chiudo questo post riportandola di seguito.


SU UNA TOMBA

Fui vivo, o tu che leggi. Ecco che torno
ad esistere un po' nel tuo pensiero
per queste mie parole che s'insinuano
dentro di te, che forse ad alta voce
vai pronunciando. Di me s'è perduto
quel che non conta: il corpo perituro,
le mutevoli brame e molte vane
angoscie, molto inutile dolore.

Ho conosciuto anch'io l'aria dei giorni
festosi: al sole ho scaldato le membra
e tra le coltri, lungamente ho atteso
la fine degli inverni, delle guerre,
delle miserie umane. Adesso resta
di me questo rametto di parole
che oscilla un poco a fior della tua voce
come se la mia tomba respirasse.

Così tu apprendi ch'io mi regalai
al fuggitivo suono delle verdi
fronde d'aprile. Ascolta: a me la vita
non seppe dire verità più alta:
ed ora so che fa durare il mondo.
Fui vivo, amico. Se m'hai ben compreso
tu pure, un giorno, in un ramo leggero
simile a questo, stormire potrai.

domenica 21 ottobre 2018

Antologie: "Poesia religiosa italiana", a cura di Ferruccio Ulivi e Marta Savini




Tra le antologie poetiche settoriali, quelle ad argomento religioso, in Italia occupano un posto importante. Tra queste, una delle migliori è certamente Poesia religiosa italiana (sottotitolo: Dalle Origini al '900) a cura di Ferruccio Ulivi e Marta Savini, pubblicata dall'editore Piemme di Casale Monferrato nel 1994. Proprio sull'argomento testé accennato, mi sembra opportuno riportare un piccolo frammento della premessa che apre l'antologia citata, scritta dai curatori della stessa:

La poesia d'ispirazione religiosa nelle più diverse forme, lirica, poematica, drammaturgica, è una delle linee portanti della nostra tradizione letteraria, anche se il rilievo che assume nel tempo passa dalla quasi totalità, o dal quasi totale coinvolgimento d'interessi delle fasi più antiche al diradarsi e circostanziarsi dei tempi successivi. Il grande coro si diversifica, cioè, non si disperde.

In effetti l'argomento religioso lo si trova di frequente soprattutto nei versi dei primi secoli della lingua italiana, a cominciare dal bellissimo Cantico delle creature di Francesco d'Assisi, per proseguire coi molti componimenti a tema di Dante Alighieri (compresa la Divina Commedia) e di Francesco Petrarca, per giungere fino ai sonetti di Michelangelo Buonarroti e alle preghiere di Torquato Tasso. Più sfaccettata e meno fondamentale, la poesia religiosa italiana degli ultimi secoli ha comunque saputo esprimere, seppure in modo più sofferto ed anche in maniera maggiormente dubitativa (come si evince dai molti punti interrogativi che contraddistinguono i finali di tantissimi versi del secolo da poco conclusosi), opere di ottima fattura.
Sorprende la scelta di iniziare questa selezione di poeti italiani partendo dal III secolo, inserendo quindi alcuni autori che scrissero versi in latino. Ecco le sezioni che compongono la parte antologica del libro:

1. Tra latino e volgare: le origini; 2. Il Duecento; 3. Il Trecento; 4. Il Quattrocento. 5. Il Rinascimento. 6. Lirici dell'età barocca; 7. L'età dell'arcadia; 8. Dal Romanticismo al Decadentismo; 9. Dal primo al secondo Novecento; 10. Testimonianze contemporanee.

I poeti presenti sono 144; tra di essi, giustamente, compaiono nomi celebri come Francesco d'Assisi, Dante Alighieri, Francesco Petrarca, Angelo Poliziano, Ludovico Ariosto, Michelangelo Buonarroti, Torquato Tasso, Gian Battista Marino, Alessandro Manzoni, Antonio Fogazzaro, Giovanni Pascoli, Giuseppe Ungaretti, Salvatore Quasimodo e Mario Luzi. Tra gli altri nomi, può risultare piuttosto curiosa la scelta d'inserire alcuni testi del religioso Alfonso Maria de' Liguori, compreso quello di Tu scendi dalle stelle: canzone natalizia popolarissima che qui porta il titolo originale di Canzoncina a Gesù bambino.