mercoledì 18 maggio 2016

Poeti dimenticati: Francesco Pastonchi

Nacque a Riva Ligure nel 1874 e morì a Torino nel 1953. Allievo del poeta Arturo Graf, insegnò letteratura italiana all'Università di Torino a partire dal 1935. Fu, oltre che poeta, prosatore, drammaturgo e critico d'arte (i suoi articoli uscirono sul Corriere della Sera). I versi di Pastonchi attraversano molte tendenze letterarie: parnassianesimo, estetismo, decadentismo. Ebbe larga fama ai suoi tempi, ma ebbe anche molti detrattori; forse le sue migliori poesie si trovano nelle ultime raccolte (I versetti e Endecasillabi), dove lo scrittore, ormai in età matura, non di rado si lascia andare ad una sincera malinconia e mette in risalto, oltre alla consapevolezza della propria solitudine, gli aspetti più semplici e nello stesso tempo più esaltanti della natura.




Opere poetiche

"Saffiche (1891-92)", Minetti, Chiabra & C., Savona 1892.
"Aurei distici", Vachieri, Sanremo 1895.
"La Giostra d'Amore e le Canzoni (1893-95)", Treves, Milano 1898.
"A mia madre. Tre canzoni", Zanichelli, Bologna 1900.
"Italiche", Streglio, Torino 1903.
"Belfonte. Sonetti", Streglio, Torino 1903.
"Sul limite dell'ombra", Streglio, Torino-Genova 1905.
"Il pilota dorme", Formiggini, Genova 1913.
"Il randagio. Poema", Mondadori, Roma 1921.
"Italiche. Nuove poesie", Mondadori, Roma-Milano 1923.
"I versetti", Mondadori, Milano 1931.
"Rime dell'amicizia", Mondadori, Milano 1943.
"Endecasillabi", Mondadori, Milano 1949.





Presenze in antologie

"Dai nostri poeti viventi", 3° edizione, a cura di Eugenia Levi, Lumachi, Firenze 1903 (pp. 320-322).
"I Poeti Italiani del secolo XIX", a cura di Raffaello Barbiera, Treves, Milano 1913 (p. 1289).
"Antologia della lirica italiana", a cura di Angelo Ottolini, R. Caddeo & C., Milano 1923 (pp. 431-432).
"Antologia della lirica italiana. Ottocento e Novecento", nuova edizione, a cura di Carlo Culcasi, Garzanti, Milano 1947 (pp. 248-252).
"Antologia della lirica contemporanea dal Carducci al 1940", a cura di Enrico M. Fusco, SEI, Torino 1947 (pp. 99-107).
"La lirica moderna", a cura di Francesco Pedrina, Trevisini, Milano 1951 (pp. 464-472).
"Un secolo di poesia", a cura di Giovanni Alfonso Pellegrinetti, Petrini, Torino 1957 (pp. 152-159).
"L'antologia dei poeti italiani dell'ultimo secolo", a cura di Giuseppe Ravegnani e Giovanni Titta Rosa, Martello, Milano 1963 (pp. 255-266).
"Poeti italiani del XX secolo", a cura di Alberto Frattini e Pasquale Tuscano, La Scuola, Brescia 1974 (pp. 90-98).
"Poesia italiana 1224-1961. Un'Antologia", a cura di Antonio Carlo Ponti, Guerra, Perugia 1996 (p. 186).
"Torino Art Nouveau e Crepuscolare", a cura di Roberto Rossi Precerutti, Crocetti, Milano 2006 (pp. 60-61).
"Poeti per Torino", a cura di Roberto Rossi Precerutti, Viennepierre, Milano 2008 (p. 57).




Testi

AUTUNNO ESTREMO

È così chiara e calma di splendore,
senza un desìo che vi muova ombra d'ale;
questa pace d'estrema ora autunnale!
Posa la terra e gode il suo stupore.

Tutto vi si rivela nel pallore
con una purità che ignora il male;
e su estatici monti il cielo è quale
languido agli orli il calice d'un fiore.

Tutto è di là da un velo, ma sì lieve!
come un sogno di cosa oltrevissuta,
che resta: labilissimo tesoro.

Il tempo è immoto. Da remota pieve
i suoi rintocchi su la terra muta
cadono come lente gocce d'oro.

(Dalla rivista «La Lettura», dicembre 1919)




IL PINO

Solo al ciglio dell'abisso,
tra le folgori e lo sfacelo,
arretri il livido cielo:
stai come crocefisso.

Apri le rigide rame
come palchi di candelabri,
coi ciuffi degli aghi scabri
aderti da l'arse squame:

di una realtà così espressa,
di una forma così descritta,
che l'anima ne è trafitta
nel suo profondo, e ossessa.

O spirito del solo, avverso
al mondo, e contra te crudo,
resta desolato e ignudo,
escluso dall'universo!

(Da "I versetti", 1931)




LA MIA STELLA

Gli altri bimbi solo essi eran bimbi:
Io no. Io ero un bimbo che guardava
vivere gli altri, capitato a caso
tra gli altri sulla terra: certo un bimbo
caduto da una stella, ecco. E la notte
scivolavo dal letto per cercarla
di là dai vetri, al buio, la mia stella.


(Da "Endecasillabi", 1949)

domenica 15 maggio 2016

Le rose in 10 poesie di 10 poeti italiani del XX secolo

Come è noto, maggio è considerato il mese delle rose; il motivo risiede nel fatto che questi splendidi fiori, proprio nel quinto mese dell'anno, fioriscono in abbondanza e si mostrano in tutta la loro sconvolgente bellezza. Molti poeti italiani hanno dedicato dei versi alle rose; qui non compaiono però i cosiddetti crepuscolari, né i decadenti ed i simbolisti, ai quali in futuro riserverò una pagina a parte. Malgrado ciò la qualità è tutt'altro che scadente: le poesie sottostanti sono spesso di autori molto famosi; non manca poi qualche pittore che, anche usando il pennello, seppe raffigurare in modo meraviglioso questi fiori dai colori intensi e delicati. Buona lettura.




LA ROSA
di Sibilla Aleramo (1876-1960)

Eccoci!
Facci posto,
oh sole ! 
A noi due
e ad una rosa.
Fra il mio seno
e il petto forte che amo,
sta una rosa,
sola.
Oh sole,
la rosa vuol morire,
e noi
vogliam la sua agonia
tutta con nostra gioia
consacrare.
Facci posto!
Ecco,
insieme avvinti,
che la rosa non cada,
guizziamo nella tua zona,
nudilunghi,
a terra,
avvinghiati,
e la rosa
non ti sente,
ma noi 
ma noi
da te percorsi
meravigliamo
come una lunga landa
che il tuo raggio
mai prima
conosciuto avesse.
Interi ci percorri,
solo la rosa
non ti sente,
fra il madore del mio seno
e il calore dolce
del petto che amo.
Grande aperta rosea,
si sente morire.
si sente felice,
si sfoglia,
ogni foglia
rorida molle,
vagola,
ci bacia,
premuta,
bruciata,
oh sole che ci accogli!

(Da "Momenti", Bemporad, Firenze 1920)





LE ROSE DI MAGGIO
di Pietro Mastri (1868-1932)

Rose rosse... Vere rose!
Tutto il mondo fiorito di rose!
Tutto il mondo odoroso di rose!

Anche dove men te l'aspetti
nei giardini fatti serpai,
fra le ortiche e i cardi a mazzetti,
ecco, s'accendono rosai.

S'arrampicano le rose
ai cancelli arrugginiti;
s'affacciano a mura corrose;
si concimano di detriti.

Anche negli orti dei conventi,
per le aiuole di nuove lattughe,
dove, ancora sonnolenti,
passeggiano le tartarughe;

anche lì che fioritura
di rose! E un odor, da lontano,
che vince ogni clausura:
odor di mese Mariano.

E le chiesine di campagna?
Le più nude e poverine
han sugli altari di lavagna
rose doppie e rose canine.

Perfino in quei brevi sterrati
nei cortili degli ospedali
dove guardano al sole i malati
col viso cereo sui guanciali,

v'è luce di rose maggesi:
e che dolce malinconia
di speranza in quegli occhi accesi
di febbre e di nostalgia!

Perfino, sì, nei cimiteri
le rose di rosee foglie
fanno siepe lungo i sentieri
solinghi, e nessuno le coglie:

fioriscon tra lampade e ceri
sui morti sempre più folti:
e son pur le rose di ieri
per quei chiusi occhi sepolti...

Rose, rose!... A poi, le spine.
Allora, oh struggente dolcezza
ch'è in voi, fresche e carnicine
come la stessa giovinezza!

Oh rose di maggio! Oh fiorita
che l'anima e il sangue ci odora!
Tutto il mondo non è che un'aurora:
l'aurora della nostra vita.

(Da "La via delle stelle", Alpes, Milano 1927)





ROSETTE ROSSE
di Angiolo Silvio Novaro (1866-1938)

Rosette rosse che v'affacciavate
Da vecchi muri, a grappoli, ove siete?
In che mani cadeste? In quale rete?
Dove il tempo vorace vi nascose?
Così dolci ed amorose
Così grate
M'eravate!

(Da "Il piccolo Orfeo", Treves, Milano 1929)





LA ROSA DEL COMMIATO
di Francesco Pastonchi (1874-1953)

Ecco la rosa del commiato,
su questo raggiante mare
che la vostra bellezza fa tremare
d'innumerevoli sorrisi.
Nulla voi mi avete donato,
pur di quel nulla che una donna dona:
fummo vicini e divisi,
fieramente.
Nulla voi mi avete donato,
ma tutto quello che si può donare
senza inganno:
la musica della vostra persona,
che non mente,
e i miei occhi sapranno
ricordare.
Ecco la rosa del commiato.

(Da "Versetti", Mondadori, Milano 1931)





ROSE
di Giacomo Prampolini (1898-1975)

Bianche,
di giardini perduti
con l'adolescenza,
lentamente si aprono,
forme del tempo.

Guance senza baci,
riemerse caste
dal grembo fosco della terra
profumando
si curvano a sera.

A sera nello spazio le parole
si chiudono appassite.

(Dalla rivista «Circoli», luglio-agosto 1931)





LA ROSA VENDUTA D'INVERNO 
di Carlo Betocchi (1899-1986)

Io sono la rosa; incanto
l'aria, tremo sulle spine;
selvaggia mi tiene il pianto
d'inverno tra acute brine.
La man, che in Dicembre mi coglie
la cruda mia vita discioglie.

Io, prigioniera del gelo,
qui giaccio sul tetro banco,
purpurea confitta allo stelo
che si ripiega già stanco:
deh! mani, scegliete pietose
me sola, tra le mille rose!

Che mi ricordo del maggio,
soavemente reclinando;
in sua dolcezza selvaggio,
io ne vado delirando:
deh! già ch'io non posso piu' vivere
lasciatemi alfin morire!

Avrei, in una calda sala
aperto splendente il fiore
e sull'impalpabil ala
volerebbe il forte odore:
avrebbero l'ombre spavento
del mio solitario portento.

Ma anzi... domani la rosa,
vedrete, sarà già nulla;
va, come una morta cosa
sull'onda fetida e brulla;
del maggio, ch'essa ha amato tanto,
attende - ma non ode - il canto. 

(Da "Realtà vince il sogno", Il Frontespizio, Firenze 1932)





ROSE
di Filippo De Pisis (1896-1956)

Le rose un poco stanche piegano il capo
sopra l'orlo dei vasi.
Passano nubi sopra i tetti grigi.
Nel profondo di un bosco,
in mezzo al mare,
voli lenti di vanesse
un giorno lontano, come questo.
Attento pare il mio cuore a queste cose
(le piante sul balcone
godono l'ultima carezza del sole)
corre invece lontano
in cerca d'orizzonti senza fine.
Le rose un poco stanche piegano il capo
sopra l'orlo dei vasi.

(Da "Poesie", Vallecchi, Firenze 1942)





LA ROSA SEPOLTA
di Franco Fortini (1917-1994)

Dove ricercheremo noi le corone di fiori
Le musiche dei violini e le fiaccole delle sere

Dove saranno gli ori delle pupille
Le tenebre, le voci – quando traverso il pianto

Discenderanno i cavalieri di grigi mantelli
Sui prati senza colore, accennando. E di noi

Dietro quel trotto senza suono per le valli
D’esilio irrevocabili, seguiranno le immagini.

Ma il più distrutto destino è libertà.
Odora eterna la rosa sepolta.

Dove splendeva la nostra fedele letizia
Altri ritroverà le corone di fiori.

(Da "Foglio di via e altri versi", Einaudi, Torino 1946)





LA ROSA
di Alfonso Gatto (1909-1976)

La rosa se l'azzurro la colora
di sé rossa nel verde alaza la rosa,
rosa di macchia fulgida la rosa
rossa d'azzurro, viola d'acqua nera.

(Da "La forza degli occhi", Mondadori, Milano 1954)





LA ROSA NON È ROSSA
di Toti Scialoja (1914-1998)

La rosa non è rossa 
è appena rosa - è senza 
tinta se a tratti è scossa 
dal sussulto della tua assenza 

che non chiede colore 
non misura distanza 
- è soltanto dolore 
in qualche angolo della stanza.

(Da "I violini del diluvio", Mondadori, Milano 1991)



Giovanni Giani, "Il giorno delle rose"

sabato 7 maggio 2016

Le rondini in altre 10 poesie di altri 10 poeti italiani del XX escolo

Qualcuno dice che fra pochi anni scompariranno... ma anche quest'anno sono tornate! In verità si son fatte desiderare un po', me ne sono accorto osservando il cielo all'inizio della primavera: non ne vedevo neanche una. Poi, all'improvviso, sono comparse, ed ora se ne vedono tante riempire l'azzurro e far più lieta la vita. Che siate le benvenute anche quest'anno... Ma che tristezza è il pensare che all'inizio dell'autunno prossimo, ve ne andrete via ancora una volta!




NUVOLE E RONDINI
di Andrea Agueci (1906-2002)

Vidi nuvole d'oro
in pioggia e nebbia disfarsi
e diventare
torba mota nella bassura.
Ma vidi anche rondini
dal putrido pantano
prendere il fango
per farne nidi tra l'azzurro, in alto.

(Da "Crocevia", Edizioni del Ciclope, Palermo 1929)




RONDINE
di Luigi Fallacara (1890-1963)

Or di celesti calme provi agio,
o rondine. T'abbassi, t'esalti,
ripalpitando ombrosa sui viali,
lungo le nere correnti
degli aridi asfalti.
Trovi le nostre strade
facendo appena oscillare d'azzurro
le indocili ali,
e gli occhi che il sole ancor rade
ne cercano, miti e terreni,
per porte, finestre ed archi,
l'ultime luci, gli ultimi baleni.

Confidente della terra!
Sospesa leggera
su piazze che serra
già l'ombra notturna,
ascolti come s'esali
la vita d'un giorno.
E pare che tu ne ripeta
voci, sospiri e musiche serali
nell'aria in ritmi
di cadenza segreta.

Uccello subito e muto,
consolatore della sera!
Intorno ai cipressi tu, in traccia
di giorni affaticati,
intorno alla croce di braccia
che sopra un sedile s'annera,
tristezze umane conosci e agevoli
con voli carezzevoli.

Al verde della luce che s'invola
dai prati, alle calme
del fiume che ancora
riflette un rosa pallido di nube,
preferisci quest'ora
nostra e i nostri approdi.
E di sorrisi che schiudi
su volti delusi,
come quando sull'acqua t'illudi
e imprimi i tuoi cerchi d'azzurro,
silenziosa godi.

[Da "Poesie (1914-1963)", Longo, Ravenna 1986]




ULTIMA RONDINE
di Ugo Ghiron (1876-1952)

Ecco l'ultima rondine si tolse
con disperato cinguettìo dal nido:
lungi eran l'altre, e niuna il suo raccolse
                            sperduto grido.

Ma quando via col suo querulo affanno
varcato avrà piccola e sola il mare,
che lieti cinguettìi saluteranno
                             il suo arrivare!

Anima stanca, rondine inquieta,
che chiami e chiami e chiami chi fuggì
e non risponde, e pur ti fece lieta
                             ai lieti dì,

spìccati, parti, o tu nel nido sola:
varcalo il mare con le sue procelle:
ancor le note a ridestar tu vola
                             voci sorelle.

[Da "Poesie (1908-1930)", Sandron, Palermo 1932]




RONDINI E FIORI
di Achille Leto (1870-1963)

Marzo che partesi
ride a ogni soglia;
svolan le rondini,
l'erba germoglia.

Le nere rondini
appendon nidi,
e vanno e vengono
liete di stridi.

Ma preferiscono
gli umili tetti;
e l'erba mettevi
fiori gialletti.

Dopo le nuvole,
dopo i dì foschi,
i sogni cantano
dei grandi boschi.

Pensi anche ai poveri,
marzo che muori,
con un pio lascito:
rondini e fiori.

(Da "Piccole ali", Sandron, Milano-Palermo-Napoli 1914)




LE RONDINI
di Marino Marin (1860-1951)

Sul filo aereo che sovrasta al ciglio
de la strada le rondini migranti
ciancian, venute lì Dio sa quanti
borghi lontani, a garrulo consiglio.

Più là sono altre: ovunque è uno scompiglio
d'ali, un alacre andare indietro e avanti,
un vigile spiar se il gallo canti
da qualche aja deserta il dì vermiglio.

Ed ecco: a un cenno del Signore un rombo
traversa l'aria: addio! Le rondinelle
van col Signore e non le offende il piombo.

Già non son più che un'ombra, un'ombra nera;
e noi chiediamo tuttavia: sorelle,
ci rivedremo ancora a primavera?

(Da "Luci e ombre", Zanichelli, Bologna 1904)




RONDINI, O VOI DOVE ANDATE?
di Marino Moretti (1885-1979)

Rondini, o voi dove andate
che par che il cielo v’ingoi?
O amiche rondini, fate
fate ch’io venga con voi.

Rondini, io getterò via
tutto ciò che amai, tutto ciò
ch’è inutil peso, terrò
soltanto l’anima mia.

Rondini, è certo che poi
senza l’ombra d’un pensiero
sarò leggero leggero
come il vento, come voi.

E tu taci, anima mia.
Mentre che scema la luce
andiamo dove ci conduce
questo volo, andiamo via.

(Da "Poesie scritte col lapis", Mondadori, Milano 1970)




LA RONDINE
di Nicola Moscardelli (1894-1943)

La rondine che giunge ai nostri lidi
dopo lungo viaggio
giunge insieme alle nostre rive acclivi
e al nostro cuore
che la riceve
e si bea del suo canto aspro e selvaggio
folle e lieve.

La sua follia ella ha tutta nel canto
ché il suo nido è perfetto
e i rondinini imbocca
pazientemente sotto la grondaia.

Perché non siamo simili alla rondine?
Un grano di follia ravviva il sonno
come un grano di sale avviva il fuoco.

(Da "Canto della vita", Vallecchi, Firenze 1939)




RONDINI
di Michele Pierri (1899-1988)

Rompono il cielo tepido
e finisce l'insetto,
sono le frecce nere
rondini del mio petto,

solo giustizia chiedono
le mie colpe, le vere,
nero perfetto.

(Da "Realtà oppure", Rebellato, Padova 1959)




RONDINELLA
di Giulio Salvadori (1862-1928)

Il giglio fiorentino
e la vermiglia rosa
rendon l'aria odorosa
al vento mattutino

Dove la rondinella,
sopra l'immenso mare,
brilla come una stella
un àttimo e scompare.

Con l'accorato trillo
ride, volando, e geme:
l'immenso mar tranquillo
ch'ella affrontò, non teme.

Arrivò dall'Egitto
qui con le sue sorelle:
sul mar fece tragitto
sotto il sole e le stelle.

Chi tanto ardir le diede?
chi le insegnò la via?
La rondinella crede,
segue la madre pia.

Forse la madre un giorno
cadde percossa al suolo!
non fa con lei ritorno;
ma le ha insegnato il volo

Verso la dolce Terra
dove son rose e gigli.
Se il vento e il mar fan guerra
ai piccoletti figli,

Una bontà materna
che vede e ognora è fida,
li veglia, li governa,
è lor custode e guida.

(Da "Ricordi dell'umile Italia", Libreria Editrice Internazionale, Torino 1918)




RONDINI
di Rocco Scotellaro (1923-1953)

Rondini voi,
guizzando d'aria felici, rondini,
si turba di voli il mio giaciglio.

(Da "Margherite e rosolacci", Mondadori, Milano 1978)








martedì 3 maggio 2016

Calendimaggio in tre poesie italiane

BEN VENGA MAGGIO
di Angelo Poliziano (1454-1494)

Ben venga maggio
e 'l gonfalon selvaggio!
Ben venga primavera,
che vuol l'uom s'innamori:
e voi, donzelle, a schiera
con li vostri amadori,
che di rose e di fiori,
vi fate belle il maggio,
venite alla frescura
delli verdi arbuscelli.
Ogni bella è sicura
fra tanti damigelli,
ché le fiere e gli uccelli
ardon d'amore il maggio.
Chi è giovane e bella
deh non sie punto acerba,
ché non si rinnovella
l'età come fa l'erba;
nessuna stia superba
all'amadore il maggio
Ciascuna balli e canti
di questa schiera nostra.
Ecco che i dolci amanti
van per voi, belle, in giostra:
qual dura a lor si mostra
farà sfiorire il maggio.
Per prender le donzelle
si son gli amanti armati.
Arrendetevi, belle,
a' vostri innamorati,
rendete e cuor furati,
non fate guerra il maggio.
Chi l'altrui core invola
ad altrui doni el core.
Ma chi è quel che vola?
è l'angiolel d'amore,
che viene a fare onore
con voi, donzelle, a maggio.
Amor ne vien ridendo
con rose e gigli in testa,
e vien di voi caendo.
Fategli, o belle, feste.
Qual sarà la più presta
a dargli el fior del maggio?
- Ben venga il peregrino. -
- Amor, che ne comandi? -
- Che al suo amante il crino
ogni bella ingrillandi,
ché gli zitelli e grandi
s'innamoran di maggio. -

(Da "Le stanze di messer Angelo Ambrogini Poliziano", Barbera, Firenze 1863)





MAL VENGA MAGGIO
di Giacinto Ricci Signorini (1861-1893)

Mal venga maggio
E il gonfalon selvaggio.

Ecco la primavera
Come una dama vizza,
S'adorna alla specchiera.
Si atteggia e si raddrizza,
Ed in andando schizza
Per l'erta via di maggio.

E dona vezzi e svenie
E sparge fiori e canti,
E colle vecchie invenie
Chiama di fuor gli amanti
Alle notti stellanti,
Quando è più mite il maggio.

Già s'impettisce il gallo
Fra le amiche dell'aia,
E della luna al giallo
Viso il mastino abbaia
E una canzon sua gaia
L'asino leva al maggio.

È tutto gioia intorno,
Poi che scendono a mille
Del nuovo e puro giorno
I lampi e le scintille,
Nei campi e per le ville
Dilaga, esulta il maggio.

O mese sciocco e inetto
Come mi sei nemico,
Più forte urla il dispetto
Del mio dolore antico:
Io smanio e maledico
Al sole, ai fiori, al maggio.

O non voglio sapere
Se in festa il mondo viva,
Se in braccio del piacere
S'abbandoni la schiva
Fanciulla e se lasciva
Mostri il suo corpo al maggio.

No, la vita è un inganno,
E l'amore è menzogna.
La mente in questo affanno
Non pensa più né sogna;
Sol di morire agogna
Prima che fugga maggio.

(Da "Il libro delle rime", Tip. Nazionale Vagnuzzi, Cesena 1890)





CALENDIMAGGIO
di Giovanni Pascoli (1855-1912)

Ben venga Maggio
e il gonfalon selvaggio!
Ma è una selva che si svelle,
la selva che da sè si schianta!
E viene, e seco ha le procelle
che l’hanno nell’inverno affranta,
e viene e canta
                    il gonfalon selvaggio!

Ben venga con la sua grande ombra
e col grande urlo dei torrenti!
È vivo il gonfalon che ingombra
la terra e si svincola ai venti;
ed ai dormenti
                    annunzia: È Maggio! È Maggio!

Ben venga Maggio
e il gonfalon selvaggio!
S’avanza sotto il cielo azzurro
il verde bosco che s’è mosso;
ha dentro un cupo suo sussurro,
ha dentro un rauco fiato grosso.
È rosso rosso
                    il gonfalon selvaggio!

Ben venga! È gente che sui capi
solleva il ramuscel d’ulivo;
e quel sussurro è ronzìo d’api
seguenti il ramo fuggitivo;
e il rosso vivo
                    è dei rosai di Maggio!


Ben venga Maggio
                    e il gonfalon selvaggio!

(Da "Poesie varie", Zanichelli, Bologna 1912)