domenica 22 luglio 2012

Lo spaventapasseri

Che tenerezza m’infonde la visione degli spaventapasseri! Questi pupazzi che si trovano, spesso, in mezzo a dei campi coltivati, sempre soli e sempre in piedi, sempre zitti e sempre dritti, con le braccia allargate e con quei loro volti così buffi…

Restano immobili sempre e comunque, con il cappellaccio squarciato, che se tira un po’ di vento gli cade in terra; coi loro stracci: una maglia sfibrata e logora oppure una giacca ammuffita, dei pantaloni stravecchi e, nel migliore dei casi, con un fazzoletto dai colori sfolgoranti al collo. Se ne stanno lì, a fare la guardia, a proteggere il campo seminato dagli uccelli affamati.

E poi piove, a volte nevica addirittura, ma loro non si muovono: non abbandonano il campo, fedelissimi al compito che gli è stato assegnato. E anche quando, ormai, gli uccelli si avvicinano a loro sempre di più, e non li temono ma quasi li sbeffeggiano, non demordono dal loro lavoro.

Ciao, poveri spaventapasseri, creati dagli esseri umani per sostituirli, per fare ciò che a loro scoccerebbe, non gli somigliate per nulla agli uomini, e non fate paura a nessuno; siete soltanto dei cenciosi pupazzi capaci d’ispirare una grande simpatia ed una enorme tenerezza! 




Un signore di paglia

che indossa vestiti
poveri, vecchi e brutti
è in mezzo ad un campo.

Non dice parole,
non piange e non ride,
è sempre all'impiedi
e non dorme mai.

Ha le braccia aperte
ogni notte e ogni dì,
guarda sempre davanti
l'orizzonte lontano.

Gli uccelli temendolo
distanti si aggirano
da quello stranissimo
orribil tipaccio.

Ma poi piano piano
si fanno coraggio
giungendo a due passi
dal mite spauracchio.

Poi il più coraggioso
gli vola sul capo
posandosi proprio
sul suo cappellaccio;

nessuna reazione
quel losco figuro,
quel tristo individuo
si prova a mostrare.

Allora altri uccelli
trovato il coraggio
raggiungono il primo
spavaldo compagno.

E In pochi minuti
quel bravo guardiano
si trova coperto
da cento animali,

ben presto per questo
sarà eliminato,
avendo fallito
la grande missione

cui egli, paziente,
serioso e preciso
si è dedicato
con tutte le forze.

Ma, ahimè, tutto ciò
a nulla gli valse
e infin, tristemente
sparire dovrà.

giovedì 19 luglio 2012

Poeti dimenticati: Giovanni Antonelli

Giovanni Antonelli


Giovanni Antonelli nacque a Sant'Elpidio al Mare nel 1851 da una famiglia benestante marchigiana. Non ancora adolescente fuggì di casa e ben presto si arruolò nella Marina militare, dove scontò numerosi periodi di reclusione in seguito a punizioni drastiche che ebbero nella sua psiche un effetto devastante. Congedatosi nel 1873, il suo ritorno a Sant'Elpidio non fu gradito, così cominciò a vagabondare in giro per l'Italia, vivendo di espedienti e di elemosine e subendo anche lunghi anni di internamento in ospedali psichiatrici. Una volta uscito definitivamente dal manicomio, visse per poco tempo in un alloggio del Comune di nascita fino a quando, nel 1909, scomparve non lasciando più alcuna traccia. Scrisse molte poesie, per lo più sonetti raccolti quasi tutti in "Il libro di un pazzo", volume pubblicato nel 1893 che mostra un uomo dalle idee decisamente rivoluzionarie che non nasconde una grande sofferenza per le oppressive leggi della società e una autentica indole libertaria.
 


Opere poetiche
"Poesie", C. Corradetti, Sanseverino Marche 1880.
"Il libro di un pazzo", Natalucci, Civitanova Marche 1892.
"Il libro di un pazzo", Tip. Economica, Reggio Emilia 1893.
"Alcuni sonetti", Premiato Stab. Tip. Cooperativo, Fermo 1907.
"Altri sonetti", Stab. Tip. Cooperativo, Fermo 1909.
 
 

Presenze in antologie
"Poeti della rivolta", a cura di Pier Carlo Masini, Rizzoli, Milano 1978 (pp. 291-295).
 
 

Testi
IL MIO PENSIERO

Vaga attraverso un caos il pensier mio
senza fren, senza meta e senza posa;
e ovunque sorge l'orma spaventosa
che solca il viver tempestoso e rio.

Ei scende e sale il lubrico pendio,
l'orror bevendo d'ogni umana cosa;
e per la via sì vasta e faticosa
nonché la speme mancagli il desìo.

Sì del calice suggo amari i sorsi,
nella piena travolto degli affanni,
che assidui sento nel mio cor dar morsi.

Che tale è il pensier mio son già lung'anni;
ma se arridesse amor co' bei soccorsi
amar tutti vorrei, sino i tiranni.

(da "Il libro di un pazzo")
 

domenica 1 luglio 2012

Il bosco e la foresta nella poesia italiana decadente e simbolista

Il bosco e la foresta sono compresi entro l'ampio simbolismo della rigenerazione; nella letteratura antica divennero spesso luogo dove si arriva per allontanarsi dalla civiltà ma anche luogo in cui ci si rinnova interiormente (la "foresta dell'innocenza") ritrovando la purezza ancestrale. Da tener presente anche la famosa "selva oscura" dantesca in cui il poeta si perde e riesce ad uscirne solo dopo aver attraversato un lungo itinerario di conoscenza e purificazione. Il bosco è spesso presente nelle fiabe come luogo insidioso, pieno di pericoli (ci vivono creature sinistre come folletti, streghe e animali feroci) che forse rappresenta la vita con le sue mille difficoltà; ma in quanto buio e misterioso può simboleggiare le zone oscure della realtà istintuale umana nelle quali cade il nostro Io per poi crescere e superare le pulsioni irrazionali che non ci permettono di diventare maturi.



Poesie sull'argomento

Mario Adobati: "La selva mistica" in "I cipressi e le sorgenti" (1919).
Diego Angeli: "Un odore di fumo" in "L'Oratorio d'Amore. 1893-1903" (1904).
Carlo Basilici: "Il Canto delle Foreste" in "Dai poemi" (1904).
Carlo Basilici: "Bosco degli ulivi" in «Poesia», novembre-dicembre 1905.
Ugo Betti, "Passeggiata nel bosco" in "Il re pensieroso" (1922).
Luigi Capuana, "Nella notte, per la foresta" in "Semiritmi" (1888).
Enrico Cardile, "Il laureto" in "Sintesi" (1923).
Francesco Cazzamini Mussi: "Pastello" in "Le allee solitarie" (1920).
Guelfo Civinini: "Notte di stelle" in "I sentieri e le nuvole" (1911).
Guglielmo Felice Damiani, "Nel bosco d'un tempo" in "Lira spezzata" (1912).
Gabriele D'Annunzio: "Le foreste" in "Poema paradisiaco" (1893).
Adolfo De Bosis, "La selva si sfronda..." in "Amori ac silentio e Le rime sparse" (1914).
Giuseppe De Paoli: "L'ultimo inganno" in "Il sistro d'oro" (1909).
Francesco Gaeta, "Il bosco" in "Il libro della giovinezza" (1895).
Diego Garoglio, "Nella pineta" in "Sul bel fiume d'Arno" (1912).
Luisa Giaconi, "Nel bosco" in «Dai nostri poeti viventi» (1896).
Cosimo Giorgieri Contri, "La pineta" in "Il convegno dei cipressi" (1895).
Cosimo Giorgieri Contri, "Altri mondi" in «Nuova Antologia», aprile 1907.
Corrado Govoni, "Nel bosco" in "Le fiale" (1903).
Arturo Graf: "Raccapriccio" in "Dopo il tramonto" (1893).
Arturo Graf, "Notte nel bosco" in "Le rime della selva" (1906).
Virgilio La Scola: "Notte d'aprile" in "La placida fonte" (1907).
Achille Leto, "La foresta" in "Piccole ali" (1914).
Giuseppe Lipparini, "La selva" in "Lo specchio delle rose" (1898).
Olindo Malagodi, "Boschi d'autunno" in "Poesie vecchie e nuove" (1928).
Remo Mannoni, "Notte nel bosco" in «La Stella e l'Aurora italiana», agosto 1905.
Pietro Mastri: "La Selva" in "La meridiana" (1920).
Angiolo Silvio Novaro, "Al bosco" in "Il cuore nascosto" (1920).
Arturo Onofri, "Risveglio del bosco" in "Liriche" (1914).
Angiolo Orvieto, "La pineta" in "La sposa mistica. Il velo di Maya" (1898).
Giovanni Pascoli, "Il bosco" in "Myricae" (2°ed. 1892).
Guido Ruberti: "Per la selva" in "Le fiaccole" (1905).
Fausto Salvatori, "Selva antica, profonda..." in "In ombra d'amore" (1929).
Francesco Scaglione, "Il pianto delle foreste" in "Litanie" (1911).
Emanuele Sella: "Incontro" in "Rudimentum" (1911).
Remigio Zena, "Nei grandi boschi negri di mistero" in "Le pellegrine" (1894).
 

 
Testi

INCONTRO
di Emanuele Sella

...E c'era una fanciulla bella bella in una casa in mezzo a una foresta.
Ed un uomo era stanco della vita opprimente che si vive in una grande città.
Un giorno la fanciulla vide un uomo pallido venire meditando verso la sua casa.
- Che volete? - gli chiese. Egli rispose:
- Ero stanco di vivere la vita che si vive in una strana foresta dove gli esseri che vivono non pensano che a muoversi. E le piante la chiamano città. L'ho abbandonata e son venuto a rifugiarmi in questo luogo pieno di mistero. -
- Benvenuto! (gli disse la fanciulla), io sono (e gli sorrise) l'Anima di questa sterminata foresta - (e lo baciò).
L'uomo si tolse allora i suoi calzari; ed affondò nel suolo profondo le radici.

(Da "Rudimentum")

venerdì 29 giugno 2012

Da "Le memorie di Barry Lyndon" di William M. Thackeray

Non tenevo mai dei miserabili libri di conti, a quei tempi. Non avevo debiti. Pagavo come un re tutto quello che prendevo; e prendevo tutto quello che volevo. Le mie entrate dovevano essere molto larghe. I miei passatempi ed i miei equipaggi erano quelli di un gentiluomo di posizione elevata: che nessun briccone si permetta di sogghignare perché rapii e sposai Milady Lyndon (come sentirete subito), e di chiamarmi avventuriero, o di dire che io ero uno spiantato e che quel matrimonio fu tra persone di condizioni molto diverse. Spiantato! Io avevo tutta la ricchezza d'Europa ai miei ordini. Avventuriero! Altrettanto può esserlo un abile avvocato o un prode soldato: come è un avventuriero qualsiasi uomo che fa da sé la sua fortuna.

(Da "Le memorie di Barry Lyndon" di William M. Thackeray, Rizzoli, Milano 2008, p. 214)


 

Poeti dimenticati: Domenico Tumiati

Domenico Tumiati (Ferrara 1874- Bordighera 1943) fu un drammaturgo e un poeta che godette di una certa fama tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento. Figlio di un famoso avvocato, primo di quattro fratelli, visse sempre nell'agiatezza. Lasciata la sua città natale, rimase per tutta la vita a Firenze insieme alla moglie Margherita Roi (che era la nipote di Antonio Fogazzaro) appartandosi e risultando sempre estraneo ai circoli letterari della sua epoca. Collaborò, coi suoi scritti, a varie riviste letterarie tra cui "Il Marzocco", "La Lettura" e "Poesia". Pubblicò, rimanendo in stretto ambito poetico, delle raccolte che molto risentono del clima tardo-romantico e simbolista.
 

 
Opere poetiche

"Iris Florentina", Tip. Landi, Firenze 1895.
"Musica antica per chitarra", Tip. Landi, Firenze 1897.
"La badia di Pomposa", Zanichelli, Bologna 1900.
"Emigranti", Zanichelli, Bologna 1900.
"Poemi lirici", Zanichelli, Bologna 1902.
"Musiche perdute", Zanichelli, Bologna 1923.
"I cantari", Zanichelli, Bologna 1927.
"Liriche (Le ballate, I melologhi, Le odi, I cori)", Treves, Milano 1937.
 

 
Presenze in antologie

"Dai nostri poeti viventi", 3° edizione, a cura di Eugenia Levi, Lumachi, Firenze 1903 (pp. 392-398).
"Le più belle pagine dei poeti d'oggi", 2° edizione, a cura di Olindo Giacobbe, Carabba, Lanciano 1928 (vol. VII, pp. 164-178).
"Poeti simbolisti e liberty in Italia", a cura di Glauco Viazzi e Vanni Scheiwiller, Scheiwiller, Milano 1967-1972 (vol. I, pp. 191; vol. II, pp. 255-257).
"Dal simbolismo al déco", a cura di Glauco Viazzi, Einaudi, Torino 1981 (tomo I, pp. 81-87).
 
 

Testi

AL SILENZIO

Sul tuo deserto altare, Silenzio divino, le rose
T'offro da i cespi di rugiada roridi,

Ove la terra in lieve tessuto di linfe compose
Oro, alabastro e la marina porpora.

Non disdegnare, o Nume che adoro, l'effimero dono,
Ché il lor profumo senza suono effondesi;

Tacite meraviglie, le guance rosate elle sono
Che su dal buio de le tombe tornano.

Chiedon elle che tu benigno al mio prego acconsenta:
Fa' che sul volto de l'antico etere

E su i prati del mare, non l'ala del tempo, ma senta
Scorrere il primo onnipossente spirito.

(Da "Liriche")

mercoledì 27 giugno 2012

Il bianco nella poesia italiana decadente e simbolista

Il colore bianco in genere è simbolo d'innocenza, di castità, di sacralità e semplicità. Se si tratta di un vestito il bianco indica purezza (la veste della sposa) oppure potrebbe riferirsi a un trionfo dello spirito sulla carne o ancora a una vita senza peccati. Allo stesso tipo di simbologia si ricollega la presenza di fiori bianchi, che siano rose, gigli o altri ancora; ciò spesso può valere anche per gli animali (in particolare per gli uccelli).
 


Poesie sull'argomento
Alfredo Baccelli: "Ora bianca" in "Poesie" (1929).
Giovanni Alfredo Cesareo: "O bianco viso!" in "Poesie" (1912).
Gabriele D'Annunzio: "Un sogno" in "Poema paradisiaco" (1893).
Luisa Giaconi: "Candori" in "Tebaide" (1912).
Cosimo Giorgieri Contri: "Bianca passeggiatrice" in "Primavere del Desiderio e dell'Oblìo" (1903).
Alessandro Giribaldi: "Il geranio bianco" e "L'ombra bianca" in "Il 1° libro dei trittici" (1897).
Corrado Govoni: "I gatti bianchi" in "Armonia in grigio et in silenzio" (1903).
Corrado Govoni: "Pallida" e "Il bianco" in "Gli aborti" (1907).
Gian Pietro Lucini: "Chorus mysticus" in "La solita canzone del Melibeo" (1910).
Mario Mariani: "Biancori" in "Antelucano" (1905).
Pietro Mastri: "Il velo e la corona" in "L'arcobaleno" (1900).
Nicola Moscardelli: "Che manca?" in "Abbeveratoio" (1915).
Pier Ludovico Occhini: "Incedi" in "Biscuits de Sèvres" (1897).
Aldo Palazzeschi: "Le fanciulle bianche" in "I cavalli bianchi" (1905).
Aldo Palazzeschi: "Il Principe Bianco" in "Lanterna" (1907).
Aldo Palazzeschi: "Mar Bianco" e "La Principessa Bianca" in "Poemi" (1909).
Domenico Tumiati: "La bianca notte" in "Musica antica per chitarra" (1897).
Annie Vivanti: "Viole bianche" in "Lirica" (1890).
Remigio Zena: "Domino bianco" in "Olympia" (1905).
 


Testi
DOMINO BIANCO
di Remigio Zena

«Vieni, sposa, dal Libano, festina
All'acque vive e fresche del Giordano:
Candida per battesimo cristiano,
Lascia la tua materna Palestina.

Come agnella che torni in disciplina,
Vieni al bianco Pastor del Vaticano,
E lo sposo, cattolico romano,
Ti sia maestro nella pia dottrina».

Così l'Antiste celebrante il rito
Battesimale e nuzial, tra i gigli
Delle vergini e il fumo degli incensi.

O tu qui genuflessa, a che tu pensi?
Al roseto di Gerico sfiorito?
Alle varie tue fedi in cui sbadigli?

(Da "Tutte le poesie")

lunedì 25 giugno 2012

Antologie: Poeti italiani del XX secolo

"Poeti italiani del XX secolo" è il titolo di un'antologia della poesia italiana novecentesca curata da Alberto Frattini e Pasquale Tuscano, uscita per La Scuola Editrice in Brescia nel 1974. Trattasi di un libro concepito per uso prettamente scolastico, ma che possiede caratteristiche e qualità tali da poter rientrare nel novero delle migliori antologie italiane sulla poesia del Novecento in assoluto. Qui compaiono per l'ultima volta (purtroppo) una serie di poeti che in seguito verranno inesorabilmente esclusi dalle antologie poetiche perché ritenuti tradizionalisti, ovvero troppo legati alla poesia del secolo precedente e poco o per nulla innovativi. Sto parlando di Angiolo Silvio Novaro, Giovanni Bertacchi, Francesco Gaeta, Pietro Mastri, Ada Negri e Giovanni Cena: poeti che, pur dimostrando di essere ancorati alla poesia del passato, scrissero delle bellissime poesie e che quindi ritengo sia ingiusto cancellare dalla memoria. Questa antologia li pone nella prima sezione, dedicata proprio ai poeti che rimasero con un piede nell'Ottocento, ma che seppero anche aprire la strada alla poesia più moderna e in particolare al crepuscolarismo.
A proposito di crepuscolarismo, è bello vederlo qui rappresentato in modo così ampio, sì da mettere in risalto l'importanza e l'enorme fascino che i poeti crepuscolari hanno avuto sia sui lettori sia sui poeti delle generazioni seguenti; oltre ai nomi altisonanti di Gozzano e Corazzini, sono presenti in questa antologia anche nomi troppo spesso esclusi come quelli di Giulio Gianelli, di Guelfo Civinini e di Tito Marrone, quest'ultimo poi, totalmente ignorato da tutti gli antologisti o quasi, va considerato come il primo, vero poeta crepuscolare. Per il resto si spuò dire che suscita qualche perplessità la sezione in cui si vedono accomunati futuristi e vociani, perché mi sembra evidente, tanto per fare un esempio, la netta differenza tra poeti come i futuristi Marinetti e Buzzi e i frammentisti Rebora e Jahier; certo è che altri scrittori, come Govoni e Palazzeschi, possono benissimo rientrare in un gruppo di tal guisa, ma così facendo essi vengono totalmente esclusi dai crepuscolari, pur avendo tutti i requisiti per starvi dentro. Anche la quinta sezione appare un po' troppo generalizzata, ma è pur vero che non è facile inserire in gruppi poeti come Saba, Cardarelli e Vigolo, i quali si tennero sempre lontani da scuole o movimenti di sorta; la loro opera poetica si fa notare, tra le altre cose, anche per l'indipendenza totale da qualsiasi moda o tendenza dei tempi. In complesso, come ho già accennato, questa antologia può essere considerata completa ed esaustiva, sia per quel che riguarda la selezione dei poeti presenti, che per la scelta dei testi riportati. Ecco infine, divisi in capitoli, i poeti presenti nell'antologia.
 
 
I. FRA I DUE SECOLI
Domenico Gnoli, Angiolo Silvio Novaro, Giovanni Bertacchi, Francesco Pastonchi, Francesco Gaeta, Carlo Michelstaedter, Pietro Mastri, Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, Luisa Giaconi, Ada Negri, Gian Pietro Lucini, Giovanni Cena.
 
 
II. CREPUSCOLARI
Sergio Corazzini, Guido Gozzano, Marino Moretti, Fausto M. Martini, Guelfo Civinini, Carlo Chiaves, Carlo Vallini, Giulio Gianelli, Tito Marrone.
 
 
III. DAI FUTURISTI AI «VOCIANI»
Filippo Tommaso Marinetti, Paolo Buzzi, Luciano Folgore, Corrado Govoni, Aldo Palazzeschi, Giovanni Papini, Ardengo Soffici, Camillo Sbarbaro, Clemente Rebora, Pietro Jahier, Enrico Pea.
 
 
IV. DALLA POESIA PURA ALL'ERMETISMO
Arturo Onofri, Dino Campana, Giuseppe Ungaretti, Gerolamo Comi, Eugenio Montale, Salvatore Quasimodo, Alfonso Gatto, Leonardo Sinisgalli, Libero De Libero, Mario Luzi, Piero Bigongiari, Alessandro Parronchi.
 
 
V. LE VARIE STRADE DELLA POESIA ITALIANA TRA LE DUE GUERRE
Umberto Saba, Diego Valeri, Mario Novaro, Vincenzo Cardarelli, Sibilla Aleramo, Luigi Fallacara, Luigi Bartolini, Giorgio Vigolo, Adriano Grande, Carlo Betocchi, Angelo Barile, Sergio Solmi, Attilio Bertolucci, Raffaele Carrieri, Ugo Fasolo, Cesare Pavese, Giorgio Caproni, Sandro Penna, Renzo Laurano, Vittorio Sereni.