Adolfo Jenni nacque a Modena nel 1911 e morì a Berna nel 1997. Stabilitosi a Parma con la famiglia (suo padre era svizzero tedesco e sua madre modenese), ivi frequentò il liceo per poi iscriversi all’Università di Bologna, dove nel 1935 si laureò in Lettere. L’anno successivo emigrò in Svizzera, avendo preferito la nazionalità elvetica a quella italiana, avendo trovato enormi difficoltà a lavorare stabilmente nella nazione di nascita. A Berna divenne insegnante, e nella capitale svizzera completò la sua carriera lavorativa durata quarant’anni. Jenni, letterariamente parlando, rimase sempre italiano, preferendo in modo assoluto la nostra lingua a quella tedesca – ovvero del Cantone nel quale risiedeva e lavorava –. Ebbe fortuna come prosatore e saggista, meno come poeta; eppure, secondo me, la sua opera in versi, del tutto particolare e direi unica nel panorama letterario italiano del XX secolo, possiede delle qualità indubbie. Lo Jenni, dopo aver ripudiato le sue prime raccolte risalenti agli anni ’30 del Novecento, andò via via raffinando e precisando il suo fare poetico, caratterizzato da strutture assai differenti, che vanno dalle forme chiuse ai versi liberi; dai recitativi (è questo anche un titolo di un suo volume) alle prose poetiche. La poesia, praticamente, rimase sempre centrale negli interessi e nelle preferenze dello scrittore italo-elvetico, tant’è che le sue raccolte (la prima è del 1943 e l’ultima del 1992) attraversano un arco temporale vastissimo, che sfiora i cinquant’anni. In conclusione riporto l’elenco delle opere poetiche di Jenni, comprese quelle ripudiate, a cui seguono tre bellissime poesie che già da sole rendono l’idea del talento di questo scrittore ingiustamente trascurato.
Opere poetiche
"Le notti e
i giorni", Istituto Editoriale Ticinese, Bellinzona 1937.
"Foglie",
Istituto Editoriale Ticinese, Bellinzona 1938.
"Le bandiere
di carta", Collana di Lugano, Lugano 1943.
"Addio alla
poesia", Guanda, Parma 1959.
"Recitativi",
Pantarei, Lugano 1971.
"Le
occorrenze recitate", Pantarei, Lugano 1976.
"Ricapitolazione",
Pantarei, Lugano 1980.
"Poesie e
quasi poesie", Casagrande, Bellinzona 1987.
"Mia cara
giardiniera", Casagrande, Bellinzona 1992.
Testi
La bambina magra e selvaggia rincorre la sua
palla rossa che le è sfuggita per incontrare la sera. Infatti, alla prima ombra
dove rotola, diviene ormai grigia. La luce elettrica dell'unico negozio di
fiorista, nel sobborgo dignitoso e povero, è di un rosa goloso. I petali si
colorano a caramelle vitree, e le foglie grasse e puntute si metamorfosano a
lance di stagnola ramarro, lamiera verniciata.
È quell'ora fuggitiva di prima sera, che pare
sempre autunno, un autunno sereno, appena fresco, fatto soprattutto d'aria,
così stinto com'è.
(da "Le bandiere di carta", Collana di Lugano, Lugano 1943 p. 31)
ORCHESTRA IN
DICEMBRE
La grande orchestra esalava
gli affreschi di
angeli e rose
l'andante in
sordina
della Sinfonia
opus 9 numero 2
in mi bemolle
maggiore di Bach,
e il signore
dagli occhi celesti
pensava alla sua
età più giovane,
alle occasioni
perdute.
Mentre poi si effondeva
il Concerto per
violoncello e archi
(Largo, Allegro,
Lento alla siciliana,
Allegretto) di
Antonio Vivaldi,
rivide con
lancinante
nostalgia la
giovane donna
che anni prima
aveva più amata,
ora morta, ora
più niente.
E quando infine,
dopo il più lungo
intervallo,
la stessa
orchestra scandiva
la Simple
Symphonie
di Benjamin
Britten
(Boisterous
Bourrée,
Playful
Pizzicato,
Sentimental
Saraband,
Frolicsome
Finale),
capì davvero,
sentiva,
di avere sciupato
da sempre
la sua vita, per
sempre.
Ma dopo il concerto,
uscito a rivedere
le stelle
(le stelle
gremite, nel cielo
di quel dicembre
sereno),
per l'eco
nell'animo dei suoni
combinato col
palpito arcano,
angoscioso
nell'infinto, degli astri,
si ricordò la
gente,
fuori da lui:
con le altre pene
di anima e corpo
i travagli di
classe e di miseria
che aspettavano,
e bisognava risolverli.
E la storia del suo io,
in ultimi giorni
dell'anno
finalmente
moderni,
prese proporzioni
più miti.
Se quei princìpi
si fossero incarnati,
a riudire le
stesse musiche
le avrebbe
trovate, in buon ordine, trionfali.
Da mattina di
Capodanno.
(da "Le Occorrenze recitate", Pantarei, Lugano 1976, pp. 41-42)
QUANDO NON SEI
PIÙ GIOVANE
Quando non sei
più giovane, ogni calare del pomeriggio in sera è per l'animo, anche se non lo
pensa la mente, il simbolo del deperire e morire: di tutto, di te.
Ogni giorno così,
per quanti anni, passati, futuri.
E in quella
figurazione ci vivi, ben dentro. Nido fondo e ruvido.
Il lento spettacolo
t'invade da ogni parte: quel mutare del clima, il colore nuovo dell'aria,
come se ogni
giorno si succedessero due stagioni.
A lungo andare è
una vicenda che ti sfibra, subdola.
Si ripete a
distanza troppo breve.
Migliaia di
volte. E con una regolarità che puoi prevedere, fino all'alba.
Ogni sera ti
spegni anche tu come una fiaccola consunta.
M., 16.2.72.
(da "Mia
cara giardiniera", Casagrande, Bellinzona 1992, p. 37)