Nacque a Roma nel 1885 e ivi morì nel 1964. Dopo i giovanili interessi per la letteratura, si dedicò alla politica. Convinto interventista, si arruolò volontariamente e partecipò ai combattimenti nella Prima Guerra Mondiale. Divenne redattore del Corriere della Sera a partire dal 1919; la sua ferrea opposizione al regime fascista lo costrinse ad abbandonare l'Italia. Fu uno dei cofondatori del movimento Giustizia e Libertà, che abbandonò in seguito all'assassino dei fratelli Rosselli. Visse poi negli Stati Uniti, fino al 1943. Divenne quindi Ministro dei Lavori Pubblici nel secondo gabinetto Badoglio, tra l'aprile e il giugno del 1944. Finita la guerra, fu nominato ambasciatore a Washington, e nella capitale degli Stati Uniti ricoprì tale incarico per dieci anni. Come si può dedurre dalla biografia del Tarchiani, l'attività letteraria - e in particolare quella poetica - risulta assai marginale; eppure, l'unico volumetto di versi (intitolato Piccolo libro inutile), pubblicato a poco più di venti anni insieme all'amico Sergio Corazzini, è ancora oggi ricordato. Certamente, le sue dieci poesie ivi presenti non possono competere con quelle del Corazzini, malgrado ciò, più di un critico autorevole ebbe delle buone parole nei suoi confronti. I versi del Tarchiani - soprattutto sonetti - rispecchiano le mode dei tempi in cui furono pubblicati; si possono rintracciare delle caratteristiche tali da poter affermare che furono Pascoli e Maeterlinck i poeti a cui s'ispirò il futuro diplomatico romano. Vi sono però anche tracce di crepuscolarismo: scuola poetica di cui Corazzini può essere ben definito il massimo esponente.
Opere poetiche
"Piccolo libro inutile" (con S. Corazzini), Tipografia operaia romana, Roma 1906.
Testi
MATTUTINO
Alla signora E. T. F.
Alberello, sul fianco del giardino,
chiaro gemmante, in esil vita, sali:
solitario, nel turbine dell'ali
dei rondinotti, lampi di turchino.
Ondeggi (alba sorride) in un divino
soffio di canti e fremi di carnali
brividi; calan dal cielo eguali
sole e rugiada in velo oltremarino.
E li sento pur io sulle mie ciglia,
e tra i capelli e sulla mano stretta
alla ringhiera molle dell'altana.
Tremi? Che romba? Nulla, una campana,
piccola voce; l'odi? Ora s'affretta;
alla preghiera anime consiglia.
Ma primavera occhieggia in tra le fronde
dolce alberello, e presto fiorirai;
traboccheranno gl'intimi rosai,
per i cancelli, sulle teste bionde.
Risa di bimbi, pigoli di gronde,
spole nell'aria, trilli d'arcolai;
frescura all'alba e a sera ti godrai,
languor di vene, suon d'acque profonde.
E notti passeranno senza brame
su te fiorito e stelle senza velo:
e verrà il fuoco ad assetare il fonte.
E l'autunno (tristezza delle rame!)
colmerà del suo sangue terra e cielo:
l'inverno bianco scenderà dal monte.
Non tremar ché, sul mondo, il male e il bene
passan veloci, brividi di morte;
e gelo e vampa, cupa alterna sorte
sospinge contra a noi lente carene.
Invano gemme d'oro e vento lene
pregherai nelle mute veglie assorte,
se propizia stagione le sue porte
serri ché l'altra aliando viene.
Supplicar solo puoi la dea fortuna
ché, a primavera, in tempo di fiorita,
ti recida soave, come un giglio.
Io chiesi all'alba questa grazia ed una
divina voce or mi risponde: figlio,
cantando s'infuturi la tua vita.
(da "Piccolo libro inutile", Tipografia Operaia Romana, Roma 1906, pp. 50-52)
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