Le porte, nel linguaggio di tutti i giorni, sono spesso usate in senso lato, con riferimenti più o meno espliciti a determinati passaggi allegorici che possono presentarsi liberi o bloccati, a seconda che tali porte si presentino chiuse oppure aperte. Gran parte delle poesie che ho trascritto di seguito, fanno riferimento a porte "simboliche": si citano per l'appunto quelle dei cieli, che si trovano nel passaggio tra la vita e la morte; quelle dell'amore, che permettono a chi ne fa uso di vivere in sintonia con l'intero universo; quelle della vita, che ciascuno di noi decide di aprire quando e come vuole, ad una persona che ritiene degna, perché in lei ha fiducia; quelle del mondo, che ci permettono di vivere liberamente in qualsiasi luogo della terra (quest'ultime però, sono ben lungi dall'essere tutte aperte). Le porte di questi poeti si aprono o si chiudono a seconda delle diverse situazioni; parlano o addirittura emettono suoni che somigliano ad una vera e propria musica. Insomma, ancora una volta si assiste ad una serie di fantasiosi racconti in versi, dove le porte la fanno da protagoniste.
LE PORTE IN 10 POESIE DI 10 POETI ITALIANI DEL XX SECOLO
SI APRE UNA PORTA
di Antonio Chiarelotto (1908-1996)
Si apre una porta laggiù
dove il viale s'affretta
e rincorre la siepe
che muore di rose.
L'ardente stagione
invade ancora
remote stanze,
e sulle alte pareti si scagliano
i roghi del sole.
Canzoni incendiano
istanti rapidi di vita
e t'illudi vestire
la tunica bella.
Si apre una porta…
non dite che ad essa invano ritorno,
che il grido è perduto,
non dite che tutto scolora
sull'umida soglia
al morir delle rose, laggiù.
[da "Poesie (1937-1955)", All'Insegna del Pesce d'Oro, Milano 1986, p. 47]
LA PORTA DEI CIELI
di Alberto Frattini (1922-2007)
Qui è la porta dei cieli. Nel tramonto
i cipressi già additano le stelle.
Il cimitero è un tremito di lucciole.
In pace, padre, riposi il tuo spirito.
Nella memoria del sangue la pietra
che sigilla il cammino dei tuoi giorni
ora si scioglie in questa chiara pace:
come punta d'un esile cipresso
dolcemente m'incurvo sul tuo estremo
sonno, a farmi silenzio di preghiera.
Né il lamento dei treni ora più turba
la tua quiete, che odora di mimose.
Da qui all'eterno il tuo segreto è in fiore.
(da "Arcana spirale: poesie 1943-1992", Sciascia, Caltanissetta 1994, p. 47)
PORTA D'AMORE
di Margherita Guidacci (1921-1992)
Il mio amore che nasce
in te, non finisce
in te. Sei la porta d'amore
attraverso cui passo
incontro all'universo, tendendo a tutto le braccia.
Sei la mia libertà, che oltre la diga spezzata
riversa le acque trionfanti -
ed apre tutte le gabbie, le vuota in un attimo,
empiendo il cielo di migliaia di uccelli
che non si lasceranno mai più imprigionare.
(da "Le poesie", Le Lettere, Firenze 1999, p. 347)
LA PORTA SI CHIUDE MODULANDO
di Valerio Magrelli
La porta si chiude modulando
nei cardini il suono del corno.
È il canto della notte
l’armonia che giaceva
ignorata nel legno.
Chiunque passando provoca
la musica sepolta, che ogni volta
riaffiora diseguale.
Forse un linguaggio ne governa
i termini e le misure, forse il caso.
Il discreto disegno
della ruggine e dell’acqua
narra la segreta epopea della soglia.
[da "Poesie (1980-1992) e altre poesie", Einaudi, Torino 1996, p. 27]
PORTA CHE PARLA
di Marino Moretti (1885-1979)
Io ho amato le porte aperte o chiuse
come interruzioni di pareti:
nei miei fondi segreti
nessuna mi fu avversa e mi deluse.
E questa della mia stanza romita,
s'apra oppure si chiuda,
ha una voce discordante e cruda,
anche un lamento che al disagio invita.
È un difetto del legno o dell'arpione
o della mia vecchiezza?
La porta parla, gracida, disprezza
con l'astio della mia lunga stagione?
Porta che non puoi essere gentile,
effonderti in saluti,
chiamo un fabbro che i tuoi cardini muti?
Non sarò così dolce e così vile.
(da "In verso e in prosa", Mondadori, Milano 1987, p. 86)
LA PORTA
di Aldo Palazzeschi (Aldo Giurlani, 1885-1974)
Davanti alla mia porta
si fermano i passanti per guardare,
taluno a mormorare:
«là, dentro quella casa,
la gente è tutta morta,
non s'apre mai quella porta,
mai mai mai».
Povera porta mia!
Grande portone oscuro,
trapunto da tanti grossissimi chiodi,
il frusciare più non odi
di sete a te davanti.
Dagli enormi battenti di ferro battuto,
che nessuno batte più,
nessuno ha più battuto
da tanto tempo.
Rosicchiata dai tarli,
ricoperta dalle tele dei ragni,
nessun ti aprì da anni ed anni,
nessun ti spolverò,
nessun ti fece un po' di toeletta.
La gente passa e guarda,
si ferma a mormorare:
«là, dentro quella casa,
la gente è tutta morta,
non s'apre mai quella porta,
mai mai mai».
(da "Poesie", Preda, Milano 1930, pp. 18-19)
LE PORTE DEL MONDO NON SANNO
di Sandro Penna (1906-1977)
Le porte del mondo non sanno
che fuori la pioggia le cerca.
Le cerca. Le cerca. Paziente
si perde, ritorna. La luce
non sa della pioggia. La pioggia
non sa della luce. Le porte,
le porte del mondo son chiuse:
serrate alla pioggia,
serrate alla luce.
(da "Tutte le poesie", Edizione Club, Milano 1982, p. 77)
LA PORTA CHIUSA
di Salvatore Quasimodo (1901-1968)
Viandante, che trovasti chiusa
la porta della città straniera,
ch'era fiorita nella tua pupilla
come una serra di stelle,
torna alla piccola terra,
tagliata dal mare: lontana,
ma tanto vicina al tuo cuore.
Chiudi nell'ombra come in un sepolcro
i sogni d'infinite lontananze,
e statuario, re nel tuo rifugio,
scaccia dalla soglia immacolata
la porpora nova che copre l'antico cencioso,
ed apri la porta, solo, per tua madre.
La troverai all'angolo del tempio,
dove si fermano, a sera, i pezzenti malati
a chiedere limosina di sole;
fra i tisici, i lebbrosi,
i luetici dalle ossa slegate,
chiamala a gran voce:
una si leverà fra tanti,
e bacerai le piaghe dei suoi piedi.
(da "Tutte le poesie", Mondadori, Milano 1995, p. 557)
PORTA
di Roberto Rebora (1910-1992)
Una gran porta di vapori
con spiragli ed angoli
di luce e buio
l'invito a passare
che lascia dentro o fuori
non so chi.
1986
(da "Parole cose", Scheiwiller, Milano 1987, p. 51)
LA PORTA
di Giuseppe Zucca (1887-1959)
Piccola, io t'ho aperta la porta
della mia vita, non appena tu,
stanca, ma certa, vi battesti su
in quella prima sera
con la tua palma leggera.
II resto che importa?
Piccola, io ho richiusa la porta
sùbito, dietro te, perdutamente
per non vedere, oltre di te, più niente.
E tu, piccola, sai,
tu non uscirne più mai.
Il resto che importa?
(da "Io", Formiggini, Roma 1919, p. 65)
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