Sornioni,
sonnacchiosi, lamentevoli, furbi, giocherelloni, curiosi, sospettosi, teneri,
orgogliosi, indipendenti... e quanti altri aggettivi si potrebbero trovare per
descrivere i gatti: animali domestici tra i più amati dagli esseri umani.
Certo, esistono anche coloro che li detestano, o che fanno stupidi confronti o
classifiche coinvolgendo altri animali. Ma chi li ama non sente ragioni, io
compreso, che giudico il gatto come uno degli esseri viventi più belli e
simpatici. Ho trovato molte poesie dedicate a questi piccoli felini; le dieci
che ho selezionato tendono a descrivere determinati comportamenti, a
sottolineare alcune specificità, a celebrarli quasi fossero vere e proprie
divinità. Sono versi scritti da dieci poeti che, in un modo o in un altro, hanno
amato i gatti; a questo proposito cito, per chiudere, una frase di Corrado
Govoni presente, a mo' di epigrafe, alla fine di una sua famosa opera poetica:
"I gatti sono i poeti degli animali
come i poeti sono i gatti degli uomini"
GATTI SUI TETTI
di Francesco
Cazzamini Mussi (1888-1952)
Spalanco la finestra,
e sovra i tetti in
faccia
alla mia stanza, nel
grigior dell'alba
entro la luce
scialba,
benché l'aria sia
diaccia,
stan due gatti e si
guardan miagolando.
Le vostre pene, o
care bestie amiche,
molto compiango e vi
darei ristoro,
ma non sapete che il
silenzio è d'oro
per le umane fatiche?
Miagolerete, dite,
fino a quando?
Ma la pace non viene
e forse di lor pene
fatti più acerbi ed
anche più feroci
mescono sbruffi,
acuti sgraffii e morsi.
E quei del vicinato
tutti accorsi
— la famiglia dei
gatti è numerosa —
discutono la cosa...
Fin presso la
grondaia il più piccino
è scivolato ed io mi
dico: è morto!
Ma no, che per
miracolo risorto,
agguanta l'altro e
giù lo scaraventa...
La famiglia dei gatti
tutt'attenta
applaude al
vincitore,
poiché pure tra i
gatti il vinto ha torto
e perduto ha l'onore.
Torna il silenzio.
Guardo. Già lontano
ogni gatto scompare
discutendo,
e le lor voci ormai
più non intendo.
Quand'ecco, una
penombra, di soppiatto,
esce da un abbaino...
Ma il vincitore che
si lecca i baffi,
benché malconcio, il
muso tutto a sgraffi,
corre presso la bella
del suo cuore...
onde la mia finestra
chiudo in fretta
per salvar la morale
e l'etichetta.
Non darti l'aria, o
cuore,
di rigido censore
ché fosti gatto e
ancora lo sarai,
e sovra i tetti
andrai
miagolando alle notti
azzurre e pure
tutto il dolore delle
graffiature.
(Da "Le allee
solitarie", Ricciardi, Napoli 1920)
IL GATTO E LA LUNA
di Sergio Corazzini
(1886-1907)
Luna nel cielo, lume
su la porta.
Questa notte morirono
le stelle,
le nuvole hanno fatto
da barelle,
lampeggiarono i ceri
della scorta.
Vagò, di cimitero in
cimitero,
solo, con le pupille
avide, rosse,
ardenti per continuo
tormento,
il gatto enorme, il
gatto enorme e nero,
come se in lui la
notte atra si fosse,
materiata per
incantamento.
Or va, torna col
vento, ma se il vento
spegne il lume ad un
tratto, nella via
rimangono due stelle
in cui la pia
luna in sua dolce
meraviglia è assorta.
(Dalla rivista «Marforio»,
ottobre 1904)
ALLA SUA GATTA
PERSIANA
di Beniamino Del
Fabbro (1910-1989)
Sotto i gerani a
primavera ascolti
il tepore del marmo.
Sulle travi nevose
avari passi
ti scavi. Non ami che
i folti
di rose, le mie mani
sul dorso scarno.
(Da
"Epigrammi", Ed. del Cavallino, Venezia 1944)
ALTRO GATTO
di Luciano Erba
(1922-2010)
Figura tutte le
lettere
dell'alfabeto latino
del cirillico anche e
ahimè del runico
quando si allunga si
dimena e stira
nero su fondo bianco
il mio gatto
ecumenico.
(Da "L'ipotesi
circense", Garzanti, Milano 1995)
DEL TUO TIMIDO
GATTO...
di Franco Fortini
(1917-1994)
Del tuo timido gatto
che scendeva la scala
dell'orto la mattina
con la sua ombra fina
lungo le terrecotte
cosa è rimasto? Nulla
fuor che l'impronta impressa
dalle sue zampe nella
gettata di cemento
dove annusava incerto
fra le tue grida:
«Via,
via di lì,
stupidino!»
Era luglio, era
aperto
il cielo. Pensai:
«Certo
rimarrà sempre un
segno».
Ora il cemento è
pietra
alle piogge
d'ottobre.
Ostinate lo coprono
le foglie senza
forma.
Toglile e potrai
leggere
l'orma di quegli
unghiòli.
(Da "Paesaggio
con serpente", Einaudi, Torino 1984)
I GATTI BIANCHI
di Corrado Govoni
(1884-1965)
Gatti candidi e
taciturni,
misteriosi come i
pipistrelli;
esseri ambigui,
mistici, notturni,
pieni d’insidie e di
tranelli.
Gatti candidi e
sornioni
che amano far le fusa
tra le stoffe,
e sui divani, in
mille pose goffe,
darsi l’aria di
padroni.
Gatti candidi e
sonnacchiosi
che s’accovacciano di
tra le gonne
e sopra le finestre
de le nonne
tra i vasetti di
tuberosi.
Gatti candidi e
sognatori
chiusi come gli
ignoti poeti;
gatti che celano i
loro secreti
come i profumi certi
fiori.
Gatti bianchi per i
cimiteri,
su le tombe e tra le
croci di legno;
gatti bianchi nei
monasteri
tutti candidi: il
loro vero regno.
Gatti bianchi, che
nelle chiese
s’inebriano d’incenso
e di frescore;
gatti da le pupille
accese
di tradimento e di
languore.
(Da "Armonia in
grigio et in silenzio", Lumachi, Firenze 1903)
IL GATTO
di Tito Marrone
(1882-1967)
Il gatto al sole
pigro si grogiola,
socchiusi gli occhi,
come se un brivido
di freddo scorra nelle sue
fibre, e distendesi mollemente.
Ma se l'inganno della
perfidia
celata, o uomo,
stolto dimentichi,
e sfiori con la mano, lieve
lieve, il sericeo dorso, ei balza
d'un tratto, ostile,
pronto alla piccola
battaglia: spiega
l'unghie; una rosea
ferita traccia su la tua
mano, e pacifico torna al sole.
(Da
"Liriche", Artero, Roma 1904)
CANTO PER IL GATTO
ALVARO
di Elsa Morante
(1912-1985)
Fra le mie braccia è
il tuo nido,
o pigro, o focoso
genio, o lucente,
o mio futile!
Mezzogiorni e tenebre
son tue magioni, e ti
trasformi
di colomba in gufo, e
dalle tombe
voli alle regioni dei
fumi.
Quando ogni luce è
spenta, accendi al nero
le tue pupille, o
doppiero
del mio dormiveglia,
e s'incrina
la tregua solenne,
ardono effimere
mille torce, tigri
infantili
s'inseguono nei dolci
deliri.
Poi riposi le fatue
lampade
che saranno al
mattino il vanto
del mio davanzale, il
fior gemello
occhibello.
E t'ero uguale!
Uguale! Ricordi, tu,
arrogante mestizia?
Di foglie
tetro e sfolgorante,
un giardino
abitammo insieme, fra
il popolo
barbaro del Paradiso.
Fu per me l'esilio,
ma la camera tua là
rimane,
e nella mia terrestre
fugace passi
giocante pellegrino.
Perché mi concedi
il tuo favore, o
selvaggio?
Mentre i tuoi pari,
gli animali celesti
gustan le folli
indolenze, le antelucane feste
di guerre e cacce
senza cuori, perché
tu qui con me?
Perenne, tu, libero, ingenuo,
e io tre cose ho in
sorte:
prigione peccato e
morte.
Fra lune e soli, fra
lucenti spini, erbe e chimere
saltano le immortali
giovani fiere,
i galanti fratelli
dai bei nomi: Ricciuto,
Atropo, Viola, Fior
di Passione, Palomba,
nel fastoso uragano
del primo giorno...
E tu? Per amor mio?
Non mi rispondi? Le
confidenze invidiate
imprigioni tu, come
spada di Damasco le storie d'oro
in velluto zebrato.
Segreti di fiere
non si dicono a
donne. Chiudi gli occhi e cantami
lusinghe lusinghe coi
tuoi sospiri ronzanti,
ape mia, fila i tuoi
mieli.
Si ripiega la memoria
ombrosa
d'ogni domanda io
voglio riposarmi.
L'allegria d'averti
amico
basta al cuore. E di
mie fole e stragi
coi tuoi baci, coi
tuoi dolci lamenti,
tu mi consoli,
o gatto mio!
(Da
"Alibi", Garzanti, Milano 1988)
MESSAGGIO
di Gianni Rodari
(1920-1980)
Domando al gatto: che
ne dici?
Che te ne pare e
sembra?
Qual è la tua
opinione
e spassionata
sentenza?
Muove un orecchio. È
un segno?
Significato o
significante?
Un affettuoso
riflesso?
Un consiglio? Una
chiave?
Certo della mia
attenzione
non apre nemmeno un
occhio,
che io intenda o no
il messaggio
non richiede suo
controllo.
Muove un orecchio
puntuto
alle sedici e
cinquantuno,
né aggiunge
l'emittente
un banale: Passo e
chiudo.
(Da "Il cavallo
saggio", Editori Riuniti, Roma 1990)
GATTO
di Tiziano Rossi
(1935)
Il tempo cruciale, il
più ampio svanire;
e il gatto malato per
dissenteria
(roba maligna)
scenderà per dove
dormono i morti senza
suffragio.
Perciò ha azzerato
qualunque movimento
- risorsa elementare,
tecnica pertinente -
il caro, saggio
mucchietto di ossa. Tuttavia
cosa vuoi che gli
dica, e anche lui del resto...
I suoi baffi non sono
più gran che,
il pelo gramo rabbrividisce;
e poi sta ognuno
dentro sé recluso:
nocciolo
inarrivabile.
Ci si sbalestra da
tutti i focolari,
però questa volta
niente insegnamenti,
se non la tua felina
signorilità, la poca
lagna.
(Da "Miele e
no", Garzanti, Milano 1988)