Le acque correnti rappresentate da ruscelli, torrenti, canali o cascate simboleggiano una situazione di rinnovamento o comunque in divenire. Analizzando alcune poesie, in "Quiete" di Umberto Saffiotti, è possibile notare un effetto ipnotico provocato dallo scrosciare delle acque, che porta il poeta ad uno stato di estasi e di sogno. In una poesia di De Bosis le acque scorrono con sinistro rumore e trasportano cadaveri, questo orrendo spettacolo è offerto, come lo stesso poeta chiarisce negli ultimi versi, dal "Fiume del Tempo". "Il Canale" di Domenico Tumiati, descrive un'atmosfera incantata: sul corso d'acqua passa una barca di pescatori ed il poeta sente il loro canto malinconico e ne rimane affascinato. Luigi Gualdo da' ascolto ad una voce misteriosa che fuoriesce dalle acque di una cascata, la quale gli suggerisce di far scorrere, dalla sorgente della sua anima, l'acqua dell'amore eterno. Sia Marin che Govoni nei loro sonetti parlano di canali le cui acque scorrono lente e placide, ma nel primo la calma del corso d'acqua, apparentemente innocua, è in realtà portatrice di malattie. Pietro Mastri infine, osservando le acque di un torrente, scorge la propria inquieta anima e gli chiede il motivo di questo suo perpetuo andare.
Poesie sull'argomento
Mario Adobati: "Lo specchio tra le ninfee" in "I cipressi e le sorgenti" (1919).
Pompeo Bettini: "La roccia ha visto molt'acqua passare" in "Poesie" (1897).
Carlo Chiaves: "La sorgente" in "Tutte le poesie edite e inedite" (1971).
Adolfo De Bosis: "Rombano acque correnti per la tenebra" in "Amori ac silentio sacrum" (1900).
Diego Garoglio: "Il rivolo" in "Sul bel fiume d'Arno" (1912).
Cosimo Giorgieri Contri: "Alla Lys" in «Nuova Antologia», ottobre 1907.
Corrado Govoni: "Il canale" in "Gli aborti" (1907).
Luigi Gualdo: "La cascata" in "Le Nostalgie" (1883).
Giorgio Lais: "Il ruscello" in "La Vita Letteraria", luglio 1905.
Marino Marin: "Il canale" in «Nuova Antologia», luglio 1903.
Pietro Mastri: "Il torrente" in "L'arcobaleno" (1900).
Fausto Salvatori, "L'Acqua" in "In ombra d'amore" (1929).
Domenico Tumiati: "Il Canale" in "Musica antica per chitarra" (1897).
Domenico Tumiati: "Canzone del torrente" in "Liriche" (1937).
Umberto Saffiotti: "Quiete" in "Le Fontane" (1902).
Testi
IL CANALE
Stanco, ne la sua lunga uggia, il canale
d'andar per valli e di veder paesi,
se accade che, al frinir de le cicale,
ristagni sotto i salici cortesi.
sembra, tant'è silenzioso e uguale,
un olio che alimenti i cieli accesi ;
e, a notte chiara, dal suo grembo sale
un lucicchìo di perle e di turchesi.
Non baciò mai più terse acque la luna
nè venne mai da' salici d'argento
più dolce tenerezza a le palpebre:
un sogno: e dir che quante nebbie aduna
l'alba, tra le due rive, e caccia il vento,
Circe fatale, attossica la febre.
(Marino Marin)
Scampoli di letteratura dell'Ottocento e del Novecento, poeti dimenticati, vecchie antologie e altro ancora.
sabato 4 febbraio 2012
L'acqua nella poesia decadente e simbolista italiana
L'acqua secondo la filosofia antica è uno dei quattro elementi che costituiscono l'universo, ciò spiega la sua rilevanza sia nel versante esoterico, sia nella poesia dei decadenti e dei simbolisti; tra questi ultimi assume una simbologia variabile che può riferirsi alla vita così come all'anima, all'energia così come alla purezza. Per ciò che concerne il simbolo della vita, l'acqua è stata associata alla nascita (dell'universo in particolare) e di conseguenza alla fecondità e all'essere femminile (in quanto portatore di vita).
Poesie sull'argomento
Paolo Buzzi: "Getti d'acqua sulle montagne" in "Aeroplani" (1909).
Paolo Buzzi: "Dramma d'acque" in "Bel canto" (1916).
Enrico Cavacchioli: "Ballata delle acque" in "L'Incubo Velato" (1906).
Guelfo Civinini: "La grazia" in "L'urna" (1900).
Sergio Corazzini: "Acque lombarde" in "Dolcezze" (1904).
Marcus De Rubris: "I ruscelli i torrenti e le fiumane" in "Anima nova" (1906).
Luigi Donati. "L'acqua" in "Le Ballate d'Amore e di Dolore" (1897).
Luisa Giaconi: "Il laghetto" in "Tebaide" (1909).
Corrado Govoni: "L'acqua" in "Gli aborti" (1907).
Arturo Graf: "Acqua chiara" in "Medusa" (1880).
Giovanni Pascoli: "La guazza" in "Canti di Castelvecchio" (1903).
Giovanni Pascoli: "Il naufrago" in "Nuovi poemetti" (1909).
Raffaele Salustri: "La musica delle acque" in "Poesie" (1891).
Alice Schanzer: "Incantesimo" in "Motivi e canti" (1901).
Emanuele Sella: "Trittico dell'allegoria dell'acqua" in "Monteluce" (1909).
Testi
INCANTESIMO
Me tiene l'incantesimo
de l' acque. Per i diafani
veli, più bianchi appaiono
delle ninfee i calici.
Basso gli alcioni volano
sulla corrente fulgida,
Scherzan del sole i tremuli
chiarori, e 'l verde fluido.
Le nubiformi tornano
nel desiderio, immagini
muliebri. Fra le mitiche
fonti vorrei, Castalie,
fra le silvane, gelide,
seguir fuggenti najadi;
mirar le chiome cèrule
dell'ondine germaniche.
Vorrei del Sen Cumanico
tuffarmi a' vivi zaffiri,
o dove aperti Liguri
flutti sonori infrangonsi.
Tra palafitte e gondole
fender canali taciti;
vogar, silente, al fremito
dell'onda Ciparissia.
Memore di Sakùntala
trar l'acque al sacro, ondifero
Gange. A carezze glauche
l'ignote valli attraggonmi.
Me attraggon dolci numeri
della fluente, ritmica
bellezza: e inebria l'algida
onda nel verso celere.
(Alice Schanzer)
Poesie sull'argomento
Paolo Buzzi: "Getti d'acqua sulle montagne" in "Aeroplani" (1909).
Paolo Buzzi: "Dramma d'acque" in "Bel canto" (1916).
Enrico Cavacchioli: "Ballata delle acque" in "L'Incubo Velato" (1906).
Guelfo Civinini: "La grazia" in "L'urna" (1900).
Sergio Corazzini: "Acque lombarde" in "Dolcezze" (1904).
Marcus De Rubris: "I ruscelli i torrenti e le fiumane" in "Anima nova" (1906).
Luigi Donati. "L'acqua" in "Le Ballate d'Amore e di Dolore" (1897).
Luisa Giaconi: "Il laghetto" in "Tebaide" (1909).
Corrado Govoni: "L'acqua" in "Gli aborti" (1907).
Arturo Graf: "Acqua chiara" in "Medusa" (1880).
Giovanni Pascoli: "La guazza" in "Canti di Castelvecchio" (1903).
Giovanni Pascoli: "Il naufrago" in "Nuovi poemetti" (1909).
Raffaele Salustri: "La musica delle acque" in "Poesie" (1891).
Alice Schanzer: "Incantesimo" in "Motivi e canti" (1901).
Emanuele Sella: "Trittico dell'allegoria dell'acqua" in "Monteluce" (1909).
Testi
INCANTESIMO
Me tiene l'incantesimo
de l' acque. Per i diafani
veli, più bianchi appaiono
delle ninfee i calici.
Basso gli alcioni volano
sulla corrente fulgida,
Scherzan del sole i tremuli
chiarori, e 'l verde fluido.
Le nubiformi tornano
nel desiderio, immagini
muliebri. Fra le mitiche
fonti vorrei, Castalie,
fra le silvane, gelide,
seguir fuggenti najadi;
mirar le chiome cèrule
dell'ondine germaniche.
Vorrei del Sen Cumanico
tuffarmi a' vivi zaffiri,
o dove aperti Liguri
flutti sonori infrangonsi.
Tra palafitte e gondole
fender canali taciti;
vogar, silente, al fremito
dell'onda Ciparissia.
Memore di Sakùntala
trar l'acque al sacro, ondifero
Gange. A carezze glauche
l'ignote valli attraggonmi.
Me attraggon dolci numeri
della fluente, ritmica
bellezza: e inebria l'algida
onda nel verso celere.
(Alice Schanzer)
![]() |
Corvus corax group near puddle at Bonny Doon Beach (da questa pagina web) |
Antologie: Poesia italiana contemporanea 1909-1959

Aldo Palazzeschi, Ardengo Soffici, Corrado Govoni, Giovanni Papini, Clemente Rebora, Piero Jahier, Enrico Pea, Sibilla Aleramo, Diego Valeri, Camillo Sbarbaro, Umberto Saba, Vincenzo Cardarelli, Giuseppe Villaroel, Arturo Onofri, Girolamo Comi, Dino Campana, Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale, Angelo Barile, Luigi Fallacara, Adriano Grande, Carlo Betocchi, Giorgio Vigolo, Luigi Bartolini, Corrado Pavolini, Sergio Solmi, Bruno Barilli, Filippo De Pisis, Enrico Fracassi, Giulio Arcangioli, Salvatore Quasimodo, Cesare Pavese, Leonardo Sinisgalli, Attilio Bertolucci, Sandro Penna, Alfonso Gatto, Giorgio Caproni, Luca Ghiselli, Mario Luzi, Alessandro Parronchi, Piero Bigongiari, Vittorio Sereni, Antonio Rinaldi, Giorgio Bassani, Gaetano Arcangeli, Michele Pierri, Umberto Marvardi, Lino Curci, Siro Angeli, Margherita Guidacci, Umberto Bellintani, Franco Fortini, Pier Paolo Pasolini, Andrea Zanzotto, Elio Filippo Accrocca, Bartolo Cattafi, Giancarlo Artoni, Rocco Scotellaro, Roberto Roversi, Saverio Vollaro, Cesare Vivaldi, Alda Merini.
Da "I puri di cuore" di Marino Moretti
«Muoion tutti gli uccelli» pensava Luca soffiandosi sulla punta delle dita.
Aveva nevicato due volte; due volte la neve era stata gettata nel canale gonfio e lutulento dalle squallide rive; ma i cortili incassati nelle muraglie, privi sempre di sole, come il cortile di Luca, sarebbero rimasti chiazzati e sudici di neve per qualche mese ancora, fin verso pasqua e primavera. Passavano di continuo carri irti di lastre di ghiaccio, diretti alle principali conserve che ne facevan provvista per l'estate giacché l'acqua dei fossi gelava ormai tutte le notti.
(Marino Moretti, "In verso e in prosa", Mondadori, Milano 1987, da "I puri di cuore" - p. 465)
venerdì 3 febbraio 2012
Da "Peter Camenzind" di Hermann Hesse

(Hermann Hesse, "Peter Camenzind", Newton Compton, Roma 1993, pp. 42-43)
L'uomo primitivo tra di noi
È l'uomo primitivo quello che detta legge nella mia città e, probabilmente, in moltissime altre città italiane. Spesso ignorante, sempre scorretto, prepotente, presuntuoso, incapace di portar rispetto per chiunque, la fa da padrone per le strade cittadine con la sua automobile che non di rado è di grandi dimensioni. Gli piace violare il codice stradale e lo fa continuamente parcheggiando in seconda fila, sorpassando a destra, superando di gran lunga il limite di velocità. Quando poi, questo mostro dei nostri tempi scende dalla sua auto, si mette in mostra per la sua cafonaggine innata, per la sua maleducazione di cui si vanta: molte volte usa un linguaggio scurrile e, quasi sempre, non conosce la lingua italiana; se entra in un ufficio postale o in un negozio, studia tutti i modi per evitare le file e "fregare" chi segue le regole. Se ci parli ti racconta di come lui, "il furbo", non ha pagato mai le tasse, di come ha sempre imbrogliato lo stato e la comunità intera, e si aspetta anche ammirazione per questi suoi sciagurati comportamenti, magari che tu gli dica: «Bravo, quanto vorrei essere uguale a te!». I suoi argomenti di conversazione preferiti sono il calcio, il sesso e i soldi; a proposito di questi ultimi, l'uomo primitivo ammira senza limiti tutti coloro che ne hanno tanti, non importa come li abbiano fatti (questo essere infatti è totalmente privo di etica) e se vede in strada passare uno di costoro dice: «Quello lì c'ha i soldi».
Molto frequentemente, se discuti di politica (anche se lui ha un'idea della politica decisamente particolare), scopri che è un nostalgico del fascismo, o, comunque, di destra, e ce l'ha con tutti gli extracomunitari e gli zingari a cui darebbe fuoco così come fece Nerone coi romani.
Non è fantasia questa, ma triste realtà di tutti i giorni, e mi chiedo come mai il progresso, la cultura e la civiltà che avrebbero dovuto portare dei miglioramenti sempre più marcati e visibili nei comportamenti umani abbiano fallito, almeno in Italia, così miseramente.
Molto frequentemente, se discuti di politica (anche se lui ha un'idea della politica decisamente particolare), scopri che è un nostalgico del fascismo, o, comunque, di destra, e ce l'ha con tutti gli extracomunitari e gli zingari a cui darebbe fuoco così come fece Nerone coi romani.
Non è fantasia questa, ma triste realtà di tutti i giorni, e mi chiedo come mai il progresso, la cultura e la civiltà che avrebbero dovuto portare dei miglioramenti sempre più marcati e visibili nei comportamenti umani abbiano fallito, almeno in Italia, così miseramente.
Chi chiude il conto
Chi chiude il conto fa un bilancio, arriva ad una conclusione definitiva. Chi chiude il conto fa testamento.
Sì, la vita gli arrise nei primi anni di vita (quei tempi!...) Ma ora sono seppelliti, anche se gli rimangono i ricordi, che valgono quel che valgono.
Pure è bello per chi non ha più nulla oltre a quelli, tornare con la mente ai tempi andati; ripensare a quei giorni incredibili, ai giochi, al mondo fantastico che non esisteva ma che era possibile creare, era vero perchè la mente diceva così.
La fantasia dei bambini è una cosa imparagonabile, è nell'infanzia che nascono questi mondi impossibili, bellissimi, reali, che si sgretolano a poco a poco mentre si cresce, fino a scomparire completamente con l'arrivo della piena maturità.
Ci si accorge che gli occhi di oggi non sono più quelli di ieri; infatti non solo il corpo si deteriora col tempo, ma anche la fantasia e la purezza, la meraviglia e la scoperta. Ci si ritrova vuoti, qualunque spettacolo, perfino quelli della natura, lasciano gli occhi quasi indifferenti, alla ricerca di quelle emozioni provate tanto tempo addietro, che ora sono impraticabili: è la completa aridità, spirituale e materiale.
Chi chiude il conto sa che non si può aspettare nulla dal futuro, che quello che è stato è perso per sempre, che quello che è non vale nulla.
L'entusiasmo è una delle prime cose che se ne vanno, ed è anche la prima tappa verso la completa aridità. Non si è più attratti da alcuna cosa, anche ciò che era semplice, banale e magari insignificante, una volta scatenava nella mente mille attrattive, era la forza della vita che dentro lavorava per dirci: «Guarda quante cose belle! Quanti anni hai ancora davanti a te, quante sorperese la tua esistenza ti presenterà, vivere è una cosa stupenda!». Ora le cose non stanno più così.
Chi chiude il conto ha la netta sensazione che ormai la vita non possa riservare nulla di buono, anzi, che soltanto la morte può risolvere tutti i problemi accumulatisi col tempo. Si finisce per attendere soltanto la chiusura del conto.
Pure l'adolescenza, fase della vita transitoria e problematica, ha le sue attrattive; ancora è possibile sognare, come nell'infanzia, è possibile immaginare che l'amore esista veramente, che sia un sentimento sincero, puro e divino; è ancora troppo presto per le disillusioni, ma già si ha la percezione di aver perso qualche cosa d'importante, che non tornerà mai più, ed è la fantasia del bambino.
Chi chiude il conto medita sulle tappe della sua vita, e si rende conto che gli anni passati somigliano ad un fiumiciattolo le cui acque, scorrendo, diminuiscono sempre più, fino a che il corso d'acqua si estingue e rimane solo un solco arido. Sì, il percorso della vita è sempre in perdita graduale.
Tristi anni della gioventù, eppure anche quegli anni, seppur grami, nei ricordi sembrano belli, probabilmente perchè nutriti ancora di speranze, visto che la vita si immagina ancora lunga e un ottimismo inconscio spinge a pensare che il futuro sarà migliore. Così non è stato.
Chi chiude il conto non ha grandi rimpianti per la giovinezza, il periodo che spesso l'umanità rimpiange maggiormente, quello del grande amore, dei grandi ideali e del vigore e della forza alla sua massima espansione. Addio gioventù, non sei esistita mai e mai esisterai più.
Si arriva alla mezza età e ancora, magari, si spera in chissà cosa, ma ora è evidente che la vita non potrà riservare più sorprese inimmaginabili; quello che doveva accadere è accaduto, non altro ci sarà di sconvolgente; semmai, se si analizza la situazione, si comincia a provare un dolore profondo, perchè le perdite divengono pesantissime: la morte si è portata via persone care che non torneranno mai più!
Chi chiude il conto non spera di ritrovare gli affetti perduti, non crede che potrà vivere in un ipotetico al di là; queste speranze sono già cadute da molto tempo, il periodo delle favole è finito: davanti agli occhi c'è solo la cruda, dura e triste realtà. Dopo la morte non c'è nulla.
Ma la morte è un pensiero ricorrente in chi, superata la mezza età, vede appropinquarsi la vecchiaia. Spesso capita di pensare: «meglio morire prima di diventare vecchi». Il fatto è che noi siamo stati programmati per vivere e non per morire, per questo si va avanti, si prosegue una strada già tracciata, che hanno già percorso quelli che ci hanno preceduto, e tutti (escluso nessuno), alla fine della strada si sono trovati davanti ad un burrone; anche se preferivano tornare indietro hanno dovuto proseguire...
Chi chiude il conto non vuole giungere al burrone, pensa che non ci sia alcuna ragione per arrivare fino a lì. Stanco ormai del percorso già fatto, non spende altre forze per andare avanti. Chiude il conto.
Sì, la vita gli arrise nei primi anni di vita (quei tempi!...) Ma ora sono seppelliti, anche se gli rimangono i ricordi, che valgono quel che valgono.
Pure è bello per chi non ha più nulla oltre a quelli, tornare con la mente ai tempi andati; ripensare a quei giorni incredibili, ai giochi, al mondo fantastico che non esisteva ma che era possibile creare, era vero perchè la mente diceva così.
La fantasia dei bambini è una cosa imparagonabile, è nell'infanzia che nascono questi mondi impossibili, bellissimi, reali, che si sgretolano a poco a poco mentre si cresce, fino a scomparire completamente con l'arrivo della piena maturità.
Ci si accorge che gli occhi di oggi non sono più quelli di ieri; infatti non solo il corpo si deteriora col tempo, ma anche la fantasia e la purezza, la meraviglia e la scoperta. Ci si ritrova vuoti, qualunque spettacolo, perfino quelli della natura, lasciano gli occhi quasi indifferenti, alla ricerca di quelle emozioni provate tanto tempo addietro, che ora sono impraticabili: è la completa aridità, spirituale e materiale.
Chi chiude il conto sa che non si può aspettare nulla dal futuro, che quello che è stato è perso per sempre, che quello che è non vale nulla.
L'entusiasmo è una delle prime cose che se ne vanno, ed è anche la prima tappa verso la completa aridità. Non si è più attratti da alcuna cosa, anche ciò che era semplice, banale e magari insignificante, una volta scatenava nella mente mille attrattive, era la forza della vita che dentro lavorava per dirci: «Guarda quante cose belle! Quanti anni hai ancora davanti a te, quante sorperese la tua esistenza ti presenterà, vivere è una cosa stupenda!». Ora le cose non stanno più così.
Chi chiude il conto ha la netta sensazione che ormai la vita non possa riservare nulla di buono, anzi, che soltanto la morte può risolvere tutti i problemi accumulatisi col tempo. Si finisce per attendere soltanto la chiusura del conto.
Pure l'adolescenza, fase della vita transitoria e problematica, ha le sue attrattive; ancora è possibile sognare, come nell'infanzia, è possibile immaginare che l'amore esista veramente, che sia un sentimento sincero, puro e divino; è ancora troppo presto per le disillusioni, ma già si ha la percezione di aver perso qualche cosa d'importante, che non tornerà mai più, ed è la fantasia del bambino.
Chi chiude il conto medita sulle tappe della sua vita, e si rende conto che gli anni passati somigliano ad un fiumiciattolo le cui acque, scorrendo, diminuiscono sempre più, fino a che il corso d'acqua si estingue e rimane solo un solco arido. Sì, il percorso della vita è sempre in perdita graduale.
Tristi anni della gioventù, eppure anche quegli anni, seppur grami, nei ricordi sembrano belli, probabilmente perchè nutriti ancora di speranze, visto che la vita si immagina ancora lunga e un ottimismo inconscio spinge a pensare che il futuro sarà migliore. Così non è stato.
Chi chiude il conto non ha grandi rimpianti per la giovinezza, il periodo che spesso l'umanità rimpiange maggiormente, quello del grande amore, dei grandi ideali e del vigore e della forza alla sua massima espansione. Addio gioventù, non sei esistita mai e mai esisterai più.
Si arriva alla mezza età e ancora, magari, si spera in chissà cosa, ma ora è evidente che la vita non potrà riservare più sorprese inimmaginabili; quello che doveva accadere è accaduto, non altro ci sarà di sconvolgente; semmai, se si analizza la situazione, si comincia a provare un dolore profondo, perchè le perdite divengono pesantissime: la morte si è portata via persone care che non torneranno mai più!
Chi chiude il conto non spera di ritrovare gli affetti perduti, non crede che potrà vivere in un ipotetico al di là; queste speranze sono già cadute da molto tempo, il periodo delle favole è finito: davanti agli occhi c'è solo la cruda, dura e triste realtà. Dopo la morte non c'è nulla.
Ma la morte è un pensiero ricorrente in chi, superata la mezza età, vede appropinquarsi la vecchiaia. Spesso capita di pensare: «meglio morire prima di diventare vecchi». Il fatto è che noi siamo stati programmati per vivere e non per morire, per questo si va avanti, si prosegue una strada già tracciata, che hanno già percorso quelli che ci hanno preceduto, e tutti (escluso nessuno), alla fine della strada si sono trovati davanti ad un burrone; anche se preferivano tornare indietro hanno dovuto proseguire...
Chi chiude il conto non vuole giungere al burrone, pensa che non ci sia alcuna ragione per arrivare fino a lì. Stanco ormai del percorso già fatto, non spende altre forze per andare avanti. Chiude il conto.
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