lunedì 23 gennaio 2012

Poeti dimenticati: Italo Dalmatico


Italo Dalmatico (il cui vero nome era Gerolamo Italo Boxich) nacque a Spalato nel 1868 e morì a Zagabria nel 1940. Poche e non sicure sono le notizie riguardanti la sua vita; è sicuro comunque che ad un certo punto decise di mutare il suo cognome (da Boxich a Dalmatico) a voler sottolineare (come ha scritto anche il critico Glauco Viazzi) una scelta di campo; era infatti, quello che racchiude i primi anni del XX secolo, un periodo di fermenti sociali e politici, soprattutto in una regione come la Dalmazia, dove gli irredentisti continuavano ad aumentare in modo impressionante. Ma dopo la fine della Grande Guerra Italo Dalmatico tornò ad assumere il suo nome d'origine e smise di scrivere in italiano. La sua unica opera nella nostra lingua è una raccolta di versi pubblicata nel 1903 e intitolata "Juvenilia". Qui si leggono versi che spaziano su molti argomenti: da quello bucolico a quello domestico, dal tema amoroso alla rievocazione di ricordi personali. La parte migliore dell'opera è però rappresentata da alcune poesie che si avvicinano ai modi dei simbolisti, e, tra queste, si nota una costante e ossessionante idea della morte, che attraversa un po' tutto il libro del Dalmatico.
 
 

Opere poetiche

"Juvenilia", Enrico De Schönfeld, Zara 1903.
 
 
Piatto anteriore di "Juvenilia"





















Presenze in antologie

"Poeti italiani d'oltre i confini", a cura di Giuseppe Picciòla, Sansoni, Firenze 1914 (col nome di Gerolamo Italo Boxis, pp. 208-212).
"Poeti simbolisti e liberty in Italia", a cura di Glauco Viazzi e Vanni Scheiwiller, Scheiwiller, Milano 1967-1972 (Vol. primo: pp. 74-78; Vol. secondo: pp. 78-80).
"Dal simbolismo al déco", a cura di Glauco Viazzi, Einaudi, Torino 1981 (tomo secondo, pp. 357-362).

 
 
Testi

Questo, Morte, darai tu? Pace a noi
che fummo, ne la vita, anime in pene,
cercando nostro durevole bene,
dilacerati da' martiri suoi?

Se questo fosse! E tu ne le serene
ombre, nel freddo de i riposi tuoi,
tu avessi quella che cercammo noi
quassù, ma invano, fonte d'ogni bene

durevole e più dolci sogni; e sogni
dolci così che fosser medicina
a l'acre piaga in ogni mite cuore

aperta, sanguinosamente in ogni
cuor di poeta e cuor di sognatore,
mirabile rosetta porporina!

(Da "Juvenilia")

Poeti dimenticati: Olinto Dini

Piatto anteriore di "Natura e anima"

Olinto Dini nacque a Castelnuovo di Garfagnana nel 1873 e vi morì nel 1951. Di nobili origini, studiò dapprima a Lucca, poi a Pisa, dove si laureò in Lettere. Professò l'insegnamento in svariati istituti scolastici prima di ritirarsi, a soli 47 anni, nella sua terra natale. Pubblicò molti volumi di poesie, a cominciare dal 1900, fino all'anno della sua morte. Sebbene le sue liriche, spesso in forma epigrammatica, posseggano molte qualità e si leggano volentieri, fu sempre ignorato dai più, e fu conosciuto soltanto dai pochi (avveduti) suoi estimatori.
 
 
Opere poetiche
"Alcune poesie", Mariotti, Pisa 1900.
"Poesie", Bemporad, Firenze 1902.
"Nuove Poesie", Rosa, Castelnuovo Garfagnana 1903.
"Sonetti apuani", Rosa, Castelnuovo Garfagnana 1905.
"Fremiti e sogni", Lapi, Città di Castello 1909.
"Due Vite", Lapi, Città di Castello 1914.
"Vita e Sogno", «L'Eroica», Milano 1920.
"Natura e anima", «L'Eroica», Milano 1926.
"Epigrammi lirici", «L'Eroica», Milano 1928.
"Ombre e Fulgori", «L'Eroica», Milano 1929.
"Dal mio Romitaggio", «L'Eroica», Milano 1932.
"Biancofiore", «L'Eroica», Milano 1933.
"Tormenti e Consolazioni", «L'Eroica», Milano 1934.
"Voci della mia Sera", «L'Eroica», Milano 1937.
"Fervori e Raccoglimenti", «L'Eroica», Milano 1938.
"Fonte Vivo", «L'Eroica», Milano 1942.
"Contrasti e Armonie", «L'Eroica», Milano 1948.
"Dal Villino dei Sogni", «L'Eroica», Milano 1950.
"Quattro Poemetti", «L'Eroica», Milano 1951.
"Poesie", Edizioni d'Arte, Bergamo 1971.
 
 
Presenze in antologie

"Antologia della lirica italiana", a cura di Angelo Ottolini, R. Caddeo & C., Milano 1923 (pp. 356-357).
"Adunata della poesia", seconda edizione, a cura di Arnolfo Santelli, Editoriale Italiana Contemporanea, Arezzo 1929 (pp. 236-238).
 
 
Testi

DOPO IL NEMBO

Spiovve; e col nembo dileguò la mia
malinconia.
Ho lieto il cuore, ho fresche le pupille,
e novello m'appar questo che tante
volte ho percorso silvano cammino.
Guardo e sorrido; e all'anima sognante
mi son le stille della pioggia stille
di rugiada, e m'è il vespero un mattino.

(Da "Dal mio romitaggio")


Poeti dimenticati: Cosimo Giorgieri-Contri


Piatto anteriore de "Il convegno dei cipressi e altre poesie"
Cosimo Giorgieri-Contri nacque a Lucca nel 1870 e morì a Viareggio nel 1943. Poeta, prosatore e drammaturgo, ebbe un discreto successo di pubblico per i suoi romanzi e per le sue poesie crepuscolari ante litteram. I suoi versi mostrano, oltre alle ricorrenti atmosfere malinconiche che lo avvicinano molto alla poetica di Gozzano e Corazzini, degli elementi riconducibili ad ambienti particolarmente raffinati ed eleganti; si notano inoltre chiare derivazioni dalla poesia di Gabriele D'Annunzio e dei poeti simbolisti franco-belgi. Il suo nome è oggi completamente ignorato, pur essendo evidente il peso che ebbe la sua poesia nella nascita del crepuscolarismo.
 
 
Opere poetiche

"Versi tristi", Fratelli Pozzo, Torino 1887.
"Il convegno dei cipressi", Galli di C. Chiesa e F. Guindani, Milano 1894.
"Primavere del desiderio e dell'oblio", Lattes, Torino 1903.
"La donna del velo", Lattes, Torino 1905.
"Mirti in ombra", Casanova, Torino 1913.
"Il convegno dei cipressi e altre poesie", Zanichelli, Bologna 1922.
 
 
Presenze in antologie

"Dai nostri poeti viventi", 3° edizione, a cura di Eugenia Levi, Lumachi, Firenze 1903 (pp. 191-193).
"Antologia della lirica italiana", a cura di Angelo Ottolini, R. Caddeo & C., Milano 1923 (p. 377).
"Le più belle pagine dei poeti d'oggi", 2° edizione, a cura di Olindo Giacobbe, Carabba, Lanciano 1928 (vol. III, pp. 155-163).
"Poeti simbolisti e liberty in Italia", a cura di Glauco Viazzi e Vanni Scheiwiller, Scheiwiller, Milano 1967-1972 (vol. 2, pp. 119-124).
"La Riviera Ligure", a cura di Edoardo Villa e Pino Boero, Canova, Treviso 1975 (pp. 49-51).
"Dal simbolismo al déco", a cura di Glauco Viazzi, Einaudi, Torino 1981 (tomo secondo, pp. 333-339).
"Torino Art Nouveau e Crepuscolare", a cura di Roberto Rossi Precerutti, Crocetti, Milano 2006 (pp. 54-59).
"Poeti per Torino", a cura di Roberto Rossi Precerutti, Viennepierre, Milano 2008 (pp.45-53).
 
 
Testi 

UN NATALE

Penso un Natale della fanciullezza:
per che virtù dall'ombre dissepolto?
Vedo tra i cari visi uno più molto
caro: una mano a carezzarmi avvezza.

Dove, in qual colle, i bei rami d'ulivo
del presepio ricrebbero? Mi pare
ch'io li rivedo penduli sul mare
da lor clivi nativi. Il clivo è vivo

nel mio pensiero, come le persone
di quel tempo e le cose e le parole:
un ricordo così pieno di sole
che l'alta loggia se ne fa corone.

Sol di decembre sul mare velato:
un angelico mar come d'argento:
treman li agrumi nei giardini, al vento,
l'aroma ha il ritmo tepido d'un fiato.

Quel giorno è morto: come li altri è morto
e ancor sul colle ondeggiano li ulivi,
e ancor li agrumi odorano, nei vivi
soffi del vento, in questo orto, in quell'orto:

ancora il sole di decembre tepe
sull'angelico mare : e in mente ancora
il dolce viso mi si ricolora,
mi riodora l'antico presèpe.

(Da "Primavere del desiderio e dell'oblio")

domenica 22 gennaio 2012

Da "Bruges la morta" di Georges Rodenbach


Ah! quella Bruges d'inverno, la sera!
L'influsso della città su di lui riprendeva: lezione di silenzio che gli veniva dai canali immobili, che con la loro calma meritavano di essere frequentati dai nobili cigni; esempio di rassegnazione offerto dai quais taciturni; soprattutto esortazioni di pietà e di austerità che cadevano dagli alti campanili di Notre-Dame e di San Salvatore, sempre emergenti dal fondo delle prospettive.







Breve, perfetto frammento che ho tratto dal X capitolo di Bruges la morta: romanzo più famoso del poeta belga Georges Rodenbach. In poche parole viene magistralmente descritta una città straordinaria come Bruges nella stagione invernale. Poche parole bastano, a Rodenbach, per trasmettere al lettore tutta la bellezza di questo luogo, e le atmosfere misticheggianti che si respirano sulle strade della città belga: unica al mondo per determinate caratteristiche. Il frammento che si legge qui, fa parte del libro pubblicato dalla Rizzoli di Milano nel 1955 (pp. 63-64).


Da "Martin Eden" di Jack London

Improvvisamente si accorse di quanto fosse disperata la sua situazione. Con occhi limpidi vide che era entrato nella Valle delle Ombre. Tutta la vita che ancora gli restava svaniva, si dileguava, lo avviava verso la morte. S'accorse di quanto a lungo dormisse ormai, del bisogno che aveva di dormire. Una volta odiava il sonno, perché lo derubava di preziosi momenti, in cui avrebbe potuto vivere. Dormire quattro ore su ventiquattro voleva dire essere derubato di quattro ore di vita. Com'era rammaricato per quel sonno! Adesso invece era la vita che non gli andava più. La vita non era più buona, e gli lasciava in bocca un gusto amaro. Ecco il suo pericolo. La vita che non tendeva verso la vita era sul punto di estinguersi.

(Jack London - Martin Eden, Einaudi 1977, pp. 389-390)

Dallo "Zibaldone" di Giacomo Leopardi

"Non gli uomini solamente, ma il genere umano fu e sarà sempre infelice di necessità. Non il genere umano solamente, ma tutti gli animali. Non gli animali soltanto ma tutti gli altri esseri al loro modo. Non gl'individui, ma le specie, i generi, i regni, i globi, i sistemi, i mondi.
Entrate in un giardino di piante, d'erbe, di fiori. Sia pur quanto volete ridente. Sia nella più mite stagion dell'anno. Voi non potete volger lo sguardo in nessuna parte che voi non vi troviate del patimento. Tutta quella famiglia di vegetali è in stato di souffrance, qual individuo più, qual meno. Là quella rosa è offesa dal sole, che gli ha dato la vita; si corruga, langue, appassisce. Là quel giglio è succhiato crudelmente da un'ape, nelle sue parti più sensibili, più vitali. Il dolce miele non si fabbrica dalle industriose, pazienti, buone, virtuose api senza indicibili tormenti di quelle fibre delicatissime, senza strage spietata di teneri fiorellini. Quell'albero è infestato da un formicaio, quell'altro da bruchi, da mosche, da lumache, da zanzare; questo è ferito nella scorza e bruciato dall'aria o dal sole che penetra nella piaga; quello è offeso nel tronco o nelle radici; quell'altro ha più foglie secche; quest'altro è róso, morsicato nei fiori; quello trafitto, punzecchiato nei frutti. Quella pianta ha troppo caldo, questa troppo fresco; troppa luce, troppa ombra; troppo umido troppo secco. L'una patisce incomodo e trova ostacolo e ingombro nel crescere, nello stendersi; l'altra non trova dove appoggiarsi, o si affatica e stenta per arrivarvi. In tutto il giardino tu non trovi una pianticella sola in istato di sanità perfetta. Qua un ramicello è rotto o dal vento o dal suo proprio peso; là un zeffiretto va stracciando un fiore, vola con un brano, un filamento, una foglia, una parte viva di questa o quella pianta, staccata e strappata via. Intanto tu strazi le erbe co' tuoi passi; le stritoli, le ammacchi, ne spremi il sangue, le rompi, le uccidi. Quella donzelletta sensibile e gentile va dolcemente sterpando e infrangendo steli. Il giardiniere va saggiamente troncando, tagliando membra sensibili, colle unghie, col ferro".

(Bologna, 19 aprile 1826)

lunedì 16 gennaio 2012

Poesia

La poesia è qualcosa di eccezionalmente grande ed inarrivabile perchè in grado di suscitare emozioni ed immagini con la sola forza della parola scritta. Grazie alla poesia è possibile sentirsi in sintonia con persone vissute anche parecchi secoli prima di noi, scoprirsi in perfetta simbiosi coi loro pensieri, i loro sentimenti e la loro spiritualità. Esiste però una piccola imperfezione, anche in questa stupenda forma d'arte, ed è la lingua: per capire la straordinaria bellezza di una poesia non scritta nella nostra lingua, occorre una buona (o meglio ottima) traduzione e la cosa non è affatto trascurabile poichè a mio avviso chi traduce una poesia deve essere a sua volta un bravo poeta. Ecco, infine, una poesia che ho scritto rivolgendomi alla Poesia come se fosse un essere vivente, o, forse, un dio invisibile ma ben presente.
 
 
Poesia
sii l'anima mia
sii la vita
e l'armonia.
Rimani
insieme a me
per il resto
dei miei poveri
anni.
Non mi abbandonare
non rendere inutile
questa poca
miserevole
stanca
esistenza.
Ti prego
non andare
via.
Rimani
e fammi
compagnia.