lunedì 20 febbraio 2012

Antologie: "Poeti della rivolta"


"Poeti della rivolta, da Carducci a Lucini" è il titolo di un'antologia poetica curata da Pier Carlo Masini e pubblicata dalla Rizzoli in Milano nel 1978. La sostanza del libro è ben spiegata dal curatore sul retro dello stesso:

«Questa raccolta di testi poetici - in cui le firme celebri si affiancano a nomi oscuri o misconosciuti - attesta con singolare immediatezza di toni i sogni e le rivolte delle giovani generazioni, tra fine Ottocento e inizi Novecento, fra lo spegnersi delle speranze risorgimentali e le insorgenti delusioni dell'Italia unita. [...] Il volume mostra quanto consistente sia stata, nelle lettere italiane, una tradizione di protesta civile, e al tempo stesso quanto questa tradizione sia stata, in passato, ignorata e deprezzata dalla critica ufficiale, tanto sollecita nel divulgare scritti conformisti o di regime quanto pronta a emarginare le voci di dissenso e di rivolta [...]».

Ora, al di là della veridicità di queste affermazioni, sfogliando l'antologia ci si accorge di quanto, in quel preciso periodo, vi fosse realmente una inquietudine, un fermento sociale cui non erano estranei gli intellettuali e in modo particolare i poeti. Ma non tutti i soggetti presenti nella selezione antologica si possono identificare come poeti: vi figurano infatti nomi di famosi politici come Filippo Turati, il quale in gioventù pubblicò un libro di versi intitolato "Strofe"; ci sono giornalisti come Ugo Ojetti, pittori come Diego Martelli, magistrati come Lodovico Mattioli, avvocati come Luigi Molinari ecc. Insomma, uomini che, pur ricoprendo ruoli importanti nella società, vollero esprimere il loro malcontento nel modo che all'epoca risultava più facile e praticabile: scrivendo dei versi. Tra i "veri" poeti, a parte i due nomi citati nel titolo: Giosue Carducci e Gian Pietro Lucini, compaiono figure di notevole spessore come Giovanni Pascoli, Carlo Dossi, Giovanni Camerana, Lorenzo Stecchetti, Edmondo De Amicis e Arturo Graf; insieme a loro ci sono poi altri poeti minori del secondo Ottocento più o meno noti come Felice Cavallotti, Severino Ferrari, Mario Rapisardi, Giuseppe Aurelio Costanzo, Giovanni Marradi, Pompeo Bettini, Ada Negri e Giovanni Cena. Ma la sorpresa si ha leggendo i versi di autori del tutto sconosciuti come Carlo Monticelli, Carlo Baravalle e Giovanni Antonelli, poeti a mio avviso di un certo valore riscoperti da questa antologia certamente opportuna e molto interessante. Infine è impossibile non nominare il nome dell'anarchico Pietro Gori, anche lui presente nell'antologia con quattro canti tra cui la bellissima "Addio Lugano". Di seguito riporto l'elenco dei poeti inclusi nell'antologia.
 

Giosue Carducci, Eliodoro Lombardi, Giulio Uberti, Felice Cavallotti, Giulio Pinchetti, Giovanni Camerana, Carlo Dossi, Domenico Milelli, Giacinto Stiavelli, Stanislao Alberici-Giannini, Lorenzo Stecchetti, Ferdinando Fontana, Gerolamo Ragusa Moleti, Giovanni Pascoli, Severino Ferrari, Corrado Corradino, Vittorio Salmini, Enrico Onufrio, Carlo Monticelli, Oreste Fortuna, Giovanni Saragat, Antonio Ghislanzoni, Carlo Baravalle, Mario Rapisardi, Giuseppe Aurelio Costanzo, Carlo Borghi, Filippo Turati, Cesario Testa, Giovanni Marradi, Ulisse Barbieri, Domenico Oliva, Pompeo Bettini, Giovanni Antonelli, Tommaso Cannizzaro, Giovanni Lanzalone, Lodovico Mattioli, Ettore Sanfelice, Angiolo Cabrini, Giorgio Sinigaglia, Ada Negri, Pietro Gori, Sebastiano Satta, Diego Martelli, Anton Giulio Barrili, Arturo Colautti, Ugo Ojetti, Luigi Molinari, Giovanni Cena, Arturo Graf, Edmondo De Amicis, Gian Pietro Lucini.

domenica 19 febbraio 2012

Poeti dimenticati: Mercurino Sappa

Francesco Giovanni Giacinto Igino Mercurino Sappa nacque a Torino nel 1853 e morì a Mondovì nel 1926. Frequentò l'Università di Torino e fu allievo di Arturo Graf; ottenuta la laurea, insegnò a Reggio Emilia ed a Cuneo per poi stabilirsi definitivamente a Mondovì. I suoi versi parlano spesso dei luoghi che ebbe più cari, a cominciare da Mondovì che, come disse Ettore Janni, «amò come patria seconda». Non sono assenti però accenti più sarcastici e alcune volte satirici, in modo particolare nella sezione intitolata "Jaculi", ovvero frecce, che fanno parte delle "Ballatette", l'opera più importante del Sappa che alla sua uscita (nel 1904) ricevette, tra gli altri, gli elogi del suo maestro: Arturo Graf.
 

Opere poetiche
"Affetti lirici", Roux e Favale, Torino 1879.
"Poesie di Mercurino Sappa", S. Calderini e figlio, Reggio Emilia 1884.
"Rime", G. Issoglio, Mondovì 1890.
"Le pie rime", Casanova, Torino 1896.
"Le Monregalesi", Tip. fratelli Lobetti-Bodoni, Saluzzo 1899.
"Ballatette", Streglio, Torino-Venaria-Reale 1904.
"Il manipolo", Streglio, Torino-Genova 1908.
"Poesie (edite ed inedite)", Soc. Tip. Ed. Lobetti-Bodoni, Torino 1926.
 

Presenze in antologie
"Poeti minori del secondo Ottocento italiano", a cura di Angelo Romanò, Guanda, Bologna 1955 (pp. 374-381).
"I poeti minori dell'Ottocento", a cura di Ettore Janni, Rizzoli, Milano 1955-1958 (volume quarto, pp. 188-193).
"Poeti minori dell'Ottocento italiano", a cura di Ferruccio Ulivi, Vallardi, Milano 1963 (pp. 621-627).
 


Piatto anteriore de "Il manipolo"

Testi

PRIMIZIE

Un primo olir di mammola pudica,
Ch'empie la neve di gentil sorpresa;
Una prima mèlode in ciel sospesa
Di pur mo' giunta lodoletta amica;

Del Belvedere su la torre antica
Un primo storno, che chiami a distesa;
Una rondine prima a noi discesa,
Che l'agil volo nel cortile intrica;

Un primo pesco di fiori vestito;
Un primo grillo, che nell'erba canti
D'una tiepida auretta al primo invito;

Questi i fatti, i piacer, questi gl'incanti
Sono, che 'l cielo a Mondovì ha largito
Pe' mesti cuor de la natura amanti.

(Da "Il manipolo")

sabato 18 febbraio 2012

L'albero nella poesia italiana simbolista e decadente

Quella dell'albero è una immagine diffusissima in molte tradizioni religiose e non; a seconda del tipo di albero muta la sua simbologia: per fare alcuni esempi potremmo dire che i salici rappresentano il dolore ed il lutto, i pini e gli abeti l'immortalità, i pioppi la vecchiaia, gli ontani la spiritualità, le acacie e gli olivi la rinascita, i lauri la gloria, le palme il martirio. I cipressi, invece, meritano un discorso più approfondito. Si coglie poi, in molti casi, il riferimento ad una precisa simbologia che ha a che vedere con la superiorità e l'isolamento (l'albero in questi casi spesso si trova in paesaggi aridi dove s'impone e svetta quasi con superbia). Analizzando in breve alcuni testi poetici notiamo che ne "L'abete solitario" di Arturo Graf il sempreverde sembra assumere il ruolo di grande saggio o spettatore muto e superbo delle lontane vicende terrene; ne "I gattici" di Giovanni Pascoli, gli alberi brulli e dalle foglie color argento rappresentano la perdita di speranza e il disfacimento; in "Ai lauri" di Gabriele D'Annunzio, gli arbusti simboleggiano un passato felice e irripetibile; nelle poesie di Mario Morasso e di Luigi Fallacara diviene arduo individuare un significato preciso, ma si avvertono dei vaghi riferimenti a mondi, sogni e colori. Nella poesia "La morte dell'albero" di Sergio Corazzini, la triste sorte del colosso immenso e forte simboleggia l'imprevedibilità del destino; in "L'albero ucciso" di Giovanni Alfredo Cesareo gli alberi divengono esseri pensanti capaci di comprendere il significato della morte. In una poesia di Nino Oxilia c'è una pianura in cui svetta una quercia libera e sicura che silenziosamente | consuma nella fiamma il gran segreto. Ne "Il laureto" di Enrico Cardile si assiste ad una sorta di rito iniziatico che si svolge in una viva e densa | selva.
 
 
Poesie sull'argomento
Diego Angeli: "Il vischio" in "L'Oratorio d'Amore. 1893-1903" (1904).
Umberto Bottone: "Gli Ulivi" e "I Salici" in "Lumi d'argento" (1906).
Giovanni Camerana: "Autunnale" in "Poesie" (1968).
Enrico Cardile: "Il laureto" in "Sintesi" (1923).
Giovanni Alfredo Cesareo: "L'albero ucciso" in "Le consolatrici" (1905).
Carlo Chiaves: "Il pino" in "Sogno e ironia" (1910).
Sergio Corazzini: "La morte dell'albero" in «Marforio», febbraio 1903.
Italo Dalmatico: "I vecchi" in "Juvenilia" (1903).
Gabriele D'Annunzio: "Ai lauri" in "Poema paradisiaco" (1893).
Luigi Fallacara: "L'albero" in "Illuminazioni" (1925).
Cosimo Giorgieri Contri: "L'alloro" e "Alberi antichi" in "Primavere del desiderio e dell'oblio" (1903).
Cosimo Giorgieri Contri: "Il ginepro" in «Nuova Antologia», aprile 1906.
Corrado Govoni "L'acacia" e "Il pioppo" in "Gli aborti" (1907).
Corrado Govoni: "I pioppi d'argento" in "Poesie elettriche" (1911).
Arturo Graf: "L'abete solitario" in "Medusa" (1890).
Arturo Graf: "Vecchi ontani" in "Dopo il tramonto" (1893).
Giuseppe Lipparini: "L'albero dei sogni" in "Le foglie dell'alloro. Poesie (1898-1913)" (1916).
Tito Marrone: "Il pesco" in "Cesellature" (1899).
Pietro Mastri: "L'albero e l'aquilone" in "L'arcobaleno" (1900)
Pietro Mastri: "Olivo e cipresso", "La fronda oscillante" e "L'albero insonne" in "Lo specchio e la falce" (1907).
Mario Morasso: "Le sacre palme nelle notti di passione" e "I giunchi" in "I Prodigi" (1894).
Angiolo Orvieto: "Abeti" in "La Sposa Mistica. Il Velo di Maya" (1898).
Nino Oxilia: "In fondo alla giallognola pianura" in "Canti brevi" (1909).
Enrico Panzacchi: "Notte insonne" in "Poesie" (1908).
Giovanni Pascoli: "I gattici" e "Il pesco" in "Myricae" (1900).
Romolo Quaglino: "La orgogliosa umiltà - Preludio" in "Dialoghi d'Esteta" (1899).
Antonio Rubino: "L'albero umano" in «Poesia», ottobre 1908.
 
 
Testi
L'ALBERO
di Luigi Fallacara

Lignum habet spem.
Job. XIV - 7

Una parola vivida di grazia
al corpo assorto in suo stupore d'atto,
come per gloria d'albero che spazia
su vasta foga di rosso disfatto;

se una constatazione non ci sazia,
noi, smarriti nel vivere compatto,
e tu, esaltata, contorta a disgrazia
di colpa, carne che ancor chiede patto.

Ma così, sempre invano. Pentimento
solo, sconforto di virtù negata;
questo, alla tua grandezza che si sfoglia.

Incongruenza, in cogliere suo intento,
fatta legge; potenza disperata
d'albero umano che non rifà foglia.

(Da "Illuminazioni")

giovedì 16 febbraio 2012

Poeti dimenticati: Gustavo Botta

Gustavo Botta nacque a Milano nel 1880 e morì a Ternate nel 1948. Autore di saggi, poesie e prose, Botta fu un personaggio eccentrico e particolarissimo. Appassionato di pittura, fu critico d'arte; le sue prose e i suoi versi comparvero sulle riviste d'inizio Novecento, ma non pubblicò mai libri in vita. Nelle poesie edite in volume dopo la sua morte, è facile intuire che il Botta fosse un devoto seguace del simbolismo. Fu molto stimato da Gian Pietro Lucini, che nell'imponente saggio Il Verso Libero (1908) ne parla così: 

«Autocritico, severo, corretto, estimatore di gusto, va regalando rarissime prose e più scarse poesie ai giornali, ma si rifiuta dall'opera grande. Tuttora incalza il suo pensiero, ripolisce la sua forma, eccessivamente incontentabile; ma quanto dignitoso è il suo silenzio e più nobile la sua avarizia! Sa dove risieda probità nell'arte, rispetto a sè medesimo; e condanna i tentativi ingiustificati come altrettanti attentati al proprio buon nome, obbligo che noi tutti dobbiamo verso le lettere patrie ed al buon senso italiano».
 


Opere poetiche

"Alcuni scritti", Ariel, Milano 1952.



Piatto anteriore di "Alcuni scritti"






















Presenze in antologie

"L'antologia dei poeti italiani dell'ultimo secolo", a cura di Giuseppe Ravegnani e Giovanni Titta Rosa, Martello, Milano 1963 (pp. 279-283).
"Poeti simbolisti e liberty in Italia", a cura di Glauco Viazzi e Vanni Scheiwiller, Scheiwiller, Milano 1967-1972 (vol. I, pp. 25-28; vol. II, pp. 34-36; vol. III, pp. 29-30).
"Dal simbolismo al déco", a cura di Glauco Viazzi, Einaudi, Torino 1981 (Tomo primo, pp. 111-114).
 



Testi


NEL SOGNO

Nel sogno che sognai

c'erano donne tristi e liete
c'erano fate mansuete
c'erano gli amati volumi
e c'erano densi profumi
che disfacèvansi nell'aria.
C'era una riva solitaria
già tutta stellata di lumi
nella languida sera
violetta, ma c'era
la sventura nera
ambigua e varia,
che non mi lascia mai,
la sventura la sventura ereditaria

nel sogno ch'io sognai.

(da "Alcuni scritti")


martedì 14 febbraio 2012

Una frase di Bertrand Russell

"I vantaggi della guerra, se ce n'è qualcuno, sono solo per i potenti della nazione vincente. Gli svantaggi ricadono sulla povera gente".


Questa frase del filosofo britannico Bertrand Russell (1872-1970) pone in evidenza una reltà tristissima e incontestabile; tutti penso siano a conoscenza dei motivi per cui, sia in tempi recenti che in tempi lontani sono scoppiate le guerre, e risulta chiaro il fatto che, a parte le grandi rivoluzioni, mai è stato il popolo a decidere in tal senso ma soltanto una persona o al massimo un piccolo gruppo di persone le quali da queste guerre cercavano dei vantaggi economici e di altra natura. Né è mai accaduto che chi ha deciso di iniziare una guerra sia sceso sul campo di battaglia ed abbia rischiato la propria vita; per il fronte sono sempre partite le classi sociali più basse delle nazioni: contadini, operai, pescatori, disoccupati e molti di questi hanno perso la vita in giovane età.

Una frase di Voltaire

"Detesto quello che tu dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto di dirlo".


Questa famosa frase di Voltaire, pseudonimo del famoso filosofo e scrittore francese François-Marie Arouet (1694-1778), rirengo che vada posta alla base di qualsiasi società democratica che metta al primo posto la libertà di opinione e di espressione. Purtroppo nelle dittature del passato e in quelle del presente, è proprio la libera opinione ad essere proibita; si potrebbero fare centinaia di esempi, ma basti, nel caso della nostra nazione, il periodo del fascismo, quando fu praticamente vetata qualsiasi espressione personale che criticasse il potere politico vigente. Da qui la chiusura di molti quotidiani e giornali che si opponevano al regime e, in alcuni casi, le azioni repressive violente nei confronti degli editori e dei giornalisti che continuavano a voler esprimere liberamente le loro opinioni. Due esempi per tutti: Pietro Gobetti e Antonio Gramsci, entrambi eliminati dal regime soltanto per le loro idee dissimili da quelle fasciste. Fortunatamente oggi sono assai di meno i paesi oppressi da questa totale mancanza di libertà, e si può sperare che in un futuro prossimo ve ne siano ancora meno.

lunedì 13 febbraio 2012

Momenti

Ho raggruppato queste otto mie poesie, intitolandole “Momenti”, perché sono versi che descrivono, per l’appunto, dei momenti più o meno importanti della mia vita. Esclusa la 3° poesia (che parla delle tante giornate estive trascorse presso la casa dei mie nonni, a giocare fino a sera da solo o coi miei compagni d’infanzia), si tratta di momenti o attimi, da me vissuti tra il 1990 e il 1999. La 6° poesia è incentrata sul ricordo di un amore breve (era l’estate del 1991), nato nelle corsie di un ospedale romano.  




1


Piccola stazione di un paese
qualunque, con due binari e un terzo
staccato, abbandonato.
Si cammina lentamente sui sassolini
del terreno e si ascolta il dolce
rumore dei passi.
Ci si siede su una vecchia panchina
verniciata da poco con un verde
intenso e si guarda il paesaggio.
Davanti c'è un'altra panchina
con un altro signore seduto,
in attesa del treno che arriverà.
Più lontano lontano c' è un campo
giallo con degli uccelli che vi sostano
e poi volano via.
Si sente il rumore delle cicale e
null'altro.
È un quieto pomeriggio di settembre,
l'aria è ferma,
Il treno fra dieci minuti
passerà...
 


2

Passeggiare sulla spiaggia
deserta
in una grigia giornata
di fine ottobre.
Osservare i gabbiani che cercano il cibo,
guardare le onde del mare
che lentamente s'infrangono
a riva;
cercare l'orizzonte lontano...
meravigliarsi delle impronte
lasciate dai passi sulla sabbia,
rattristarsi alla visione
di detriti sparsi lasciati dal mare.
Respirare l'odore di salsedine,
immergersi nell'aspetto più languido
e affascinante dell'autunno.
Andare...


 
3

Ricordo di un giorno d'estate.
Svegliarsi poco prima dell'alba e osservare attraverso le persiane la nascita di un nuovo giorno.
Alzarsi felici pensando alle ore future come si pensa ad un paradiso in Terra.
Uscire sull'amato cortile e passare tutto il tempo a giocare.
Sapersi divertire con poco, con nulla: magia e incanto dell'età infantile.
Sentirsi chiamare e rientrare in casa delusi, consumare il pasto velocemente, desiderosi di tornare a giocare.
Trascorrere il pomeriggio assolato su strade deserte e invitanti, inventando fantasiose avventure.
Rincasare, arrivata la sera, con una tristezza indefinibile, pensare al giorno seguente.
Una giornata d'oro è terminata ma un'altra uguale ci attende.
Così è stato in un tempo e in un luogo al di fuori della realtà eppure reale.
 


4

Pensieroso, insoddisfatto
vagavo nelle viùcole
della città eterna
in cerca di vecchi volumi,
di parole scolpite
e misteriose.
Il mite pomeriggio invernale
pian piano moriva
lasciando alla sera
gelida e triste
l'ingrato compito
di uccidere il giorno.
 


5

Autunno glorioso
che ci regali, oh Roma,
antichissima, meravigliosa città
che offri agli occhi estasiati
dei tuoi ammiratori
una moltitudine di strade
alberate, le tue mura
battute dal sole pomeridiano,
le tue mille chiese nascoste,
le tue invitanti fontane;
e il tuo immenso cielo
che fa da sfondo
ad uno spettacolo ineguagliabile:
Cosa c'è più bello di Roma?
 


6

Ricordi quel giorno
che noi ci vedemmo
in quella piazzetta
svuotata dal caldo
tremendo d'agosto;
ricordi i piccioni
volare d'intorno
e gli alberi alti,
le foglie cadute
già in terra;
ricordi le risa
e il sole sui tetti
che illuminava
le anime nostre;
ricordi le fonti
cercate tra i vicoli,
quell'acqua purissima
nelle nostre mani.
Dove sei andata,
in quale punto,
luogo della Terra
ora vivi e pensi?
Ricordi ancora
i nostri giorni
distanti, sognanti
vissuti per caso
sommersi oramai
dal tempo spietato?
Io ancora ti vedo
ti cerco nel fondo
del cuore ormai stanco
e penso quel tempo
di fuori dal tempo.
Ci ritroveremo...
...
Tu scenderai le scale
di Trinità dei Monti;
io ti verrò incontro
e ci sembrerà
di non esserci
mai separati...
 


7

E ritorna novembre
coi suoi santi ed i suoi morti,
con la sua mite estate
di San Martino,
con le sue foglie secche
sparse sul terreno,
con le sue pioggie
sempre più fitte,
con le sue notti
fredde e lunghe,
con la sua aria di tristezza,
col suo messaggio che ammonisce:
«Un altro anno
sta per finire,
preparati
a morire».
 


8

È una gelida sera decembrina
ed io ritorno alla mia casa
in questo treno colmo di gente
e vuoto di felicità.
È finita un'altra giornata,
se ne è volata via
senza colpo ferire,
tra un nulla ed un altro
nulla, tra un viaggio di andata
e ritorno, tra un'alba
e un tramonto.
E la vita piano piano
ci lascia, se ne va
lentissimamente;
e si va avanti
solo perché si deve,
solo per necessità.
Una giornata è finita
e un'altra comincerà.