Gabriele Briganti (Ripafratta 1874 - Lucca 1945) non pubblicò mai raccolte di versi; svolse per tutta la vita l'attività di bibliotecario, limitandosi saltuariamente a dare alle stampe alcuni suoi studi su Giovanni Pascoli. A proposito del poeta romagnolo, nel 1901 fece uscire un opuscolo con la famosa poesia Il gelsomino notturno, proprio per le nozze dell'amico Briganti. Ma ciò che in questo post voglio mettere in risalto, è la segreta e quindi inedita scrittura di versi del bibliotecario toscano, che rimase sempre un appassionato di poesia non soltanto pascoliana. Il primo a fare cenno di tale celata attività fu Pietro Pancrazi, in un saggio a lui dedicato subito dopo la sua scomparsa. Quindi Antonio Baldini, sulle pagine della rivista Fiera Letteraria, pubblicò tredici poesie del Briganti, ritrovate fra le sue carte inedite e familiari. Si tratta solamente di un saggio - come specifica lo stesso Baldini - del corpus poetico di Briganti, che evidentemente deve essere ben più consistente. Da questo saggio ho trascritto tre poesie che attestano, oltre ad una affinità incontestabile con la poesia del Pascoli, una capacità e un talento poetico che fanno del Briganti un vero e originale poeta. Fu quasi certamente l'eccessiva timidezza (peculiarità caratteriale che lo avvicinava una volta di più a Giovanni Pascoli) ad impedire al bibliotecario toscano di trovare il coraggio per proporre ad un editore i suoi ottimi versi; peccato, sarebbe stato interessante poter avere tra le mani un volume di liriche del Briganti, e leggere per intero la sua opera poetica.
Da "TREDICI POESIE DI GABRIELE BRIGANTI"
III.
Fredda estate dei morti, estate mia,
cader di foglie e sogni in un languore
chiaro di sole, e di malinconia
chiusa nel cuore.
Fredda estate dei morti: ultima luce
chiara nel cielo; poi, nuvole e pianto,
e poi, per me, la strada che conduce
al camposanto.
VII.
Dolce l'oblio. Poi che tramontan l'ore
de la tua vita, e non un raggio pio
più scalda il gelo del tuo triste cuore,
dolce l'oblio…
Dolce l'oblio di un troppo dolce amore
che ti sorrise, appena, in un addio
tacito e ti lasciò col tuo dolore.
Poiché tutto scolora e tutto muore
e vano è il sogno, ormai, Signore Iddio,
sul mio cammino sbocci, unico fiore,
dolce l'oblio…
X.
Solitudine mia, tu mi trapungi
il seno di sottil malinconia,
da che le illusioni ultime lungi
con la speranza ultima van via.
Solitudine mia, di già la notte,
notte senza stellato e senza aurora,
con le tenebre cala, ininterrotte:
solitudine mia, venuta è l'ora.
Non odi? già la pallida fanciulla,
sorella Morte, il ventilar dell'ala
verso te muove. Attendi un poco e sulla
sua dolce bocca alfin l'anima esala.
(da «Fiera Letteraria», Anno 1, N. 26, 3 Ottobre 1946)
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