La passione personale
per la poesia italiana dell'Ottocento e del Novecento ha fatto sì che notassi,
leggendo la biografia dei poeti compresi nei secoli citati, la cospicua
presenza di suicidi. Ogniqualvolta venivo a conoscenza della morte per suicidio
di un determinato poeta, nasceva in me la voglia di approfondire le
informazioni sulla sua vita e aumentava l'interesse personale per i suoi versi.
Tutto ciò per un motivo semplice: perchè era molto probabile che codesto poeta
non fosse un mentore, non un falso, ma che le sue poesie nascessero da una
esigenza interiore e quindi fossero, ancor che belle, sincere. Questo non vuol
dire affatto, naturalmente, che i poeti non suicidi abbiano scritto dei versi
insinceri, tutt'altro; ma è certamente innegabile che la poesia
"vera" molte volte nasce da situazioni, pensieri e stati d'animo
colmi di disperazione. Nel secolo XIX togliersi la vita spesso rappresentava un
gesto estremo di protesta nei confronti della società, oppure, ultimo atto di
un romanticismo esasperato, poteva scaturire dal folle amore per una donna o
una ragazza che non aveva compreso o ricambiato il sentimento provato dal
poeta. Ma già duecento anni fa, pare certo che esistesse il cosiddetto mal de
vivre, cioè una sorta di depressione che porta una persona a vedere la vita
come una cosa totalmente inutile, priva di qualsiasi significato e, di
conseguenza, a preferire la morte. Nel Novecento si nota di più quest'ultima
tendenza, soprattutto in anime particolarmente sensibili e indifese quali sono
quelle di molti poeti, costretti a vivere in una società sempre più spietata e
indifferente, incapace totalmente o quasi di apprezzare la poesia così come
altre forme artistiche nate da una profonda spiritualità; una società dove si
presta attenzione soltanto al denaro, al piacere fisico e alle cose
superficiali: in sostanza una società pregna di capitalismo e, di conseguenza,
materialista. Ecco quindi un folto gruppo di poeti suicidi che avevano un'idea
diversa dell'esistenza rispetto alla stragrande maggioranza degli uomini, e per
tal motivo, non potendo e non riuscendo a vivere, decisero di morire.
I POETI SUICIDI
GIULIO UBERTI. Nacque
a Brescia nel 1806; dopo la laurea in legge iniziò a insegnare materie
letterarie e musica fino a quando fu costretto all'esilio per aver partecipato
ai moti del 1848. Tornato in Italia, si stabilì a Milano fino a settant'anni,
quando, già anziano, decise di porre fine alla sua vita gettandosi da una finestra
a causa di un amore calunniato.
GIOVANI CAMERANA.
Nacque a Casale Monferrato nel 1845. Dopo gli studi fatti a Pavia fu per un
periodo a Milano e qui entrò in contatto con alcuni scrittori della
scapigliatura tra i quali Arrigo Boito e Emilio Praga. Si interessò di pittura,
frequentando a Torino lo studio dell'artista Fontanesi, di cui in pratica
divenne discepolo; anche in questo ambiente ebbe modo di stringere amicizie con
alcuni pittori (Lorenzo Delleani) e alcuni scultori (Leonardo Bistolfi) i quali
in seguito ispirarono i suoi versi migliori. Divenuto magistrato decide di
astenersi, per rigore professionale, dal pubblicare le sue poesie. Scrisse
versi praticamente per tutta la vita, cioè fino a quando, nel 1905, si uccise
con un colpo di rivoltella.
GIULIO PINCHETTI.
Nato a Como nel 1845, compì i suoi studi in un collegio comasco per poi
trasferirsi a Pavia, dove si laureò in legge. Presto cominciò a provare
profondo dolore morale sia per la perdita del padre (1864) che per quella della
donna amata, conosciuta nel 1865 (tale Luisa) e morta dopo nemmeno un anno.
Fece vari tentativi professionali ma poi si indirizzò verso l'attività
giornalistica e iniziò a scrivere versi, pubblicando l'unico volume ufficiale
nel 1868. Trasferitosi a Milano, dovette fronteggiare altri avvenimenti tragici
quali la morte della madre e quella del suo caro amico Ariodante Botta.
Ossessionato dall'idea del suicidio, provò a togliersi la vita ingerendo del
veleno e gettandosi da un treno in corsa; fu però al terzo tentativo che perì,
dopo essersi sparato due colpi di rivoltella a soli venticinque anni.
GIACINTO RICCI
SIGNORINI. Nacque a Massalombarda nel 1861; dopo il Ginnasio frequentò la
facoltà di Lettere dell'Università di Bologna dove ebbe come maestro Giosuè
Carducci. Laureatosi iniziò l'attività d'insegnante di liceo; per lavoro si
trasferì prima a Campobasso e quindi a Catanzaro. Ritornò nel 1887 nella sua
regione di nascita, dove insegnò (a Cesena) presso il Liceo regio «Vincenzo
Monti»; l'anno seguente pubblicò il suo primo volume di "Rime" e
iniziò a collaborare al giornale "Il Cittadino". Sempre più
tormentato dai lutti che lo colpirono e dalla netta sensazione di essere un
fallito si uccise nella sua abitazione di Cesena a soli trentadue anni, poco
dopo avere pubblicato la sua quarta raccolta poetica "Elegie di
Romagna".
MARIO GIOBBE. Nacque
a Napoli nel 1863; si distinse quale precoce talento laureandosi appena
diciottenne in giurisprudenza, ma all'avvocatura preferì la professione
giornalistica cominciando a collaborare, coi suoi particolarissimi articoli, a
varie testate italiane, tra le quali si citano: «Il Piccolo» e «Il Corriere di
Napoli». Ben presto maturò in lui l'interesse per la poesia che si tramutò in
traduzioni ottime di opere di autori famosi e in versi suoi che raccolse in due
volumi: "I primi versi" (1889) e "Gli amori" (1891) che
mettono in rilievo la sua simpatia per la poesia di Olindo Guerrini e di
Gabriele D'Annunzio. Dopo il matrimonio si manifestò in lui una crisi depressiva
che cogli anni peggiorò, fino al suicidio avvenuto nell'ottobre del 1906.
MARIO MALFETTANI. Tra
le poche cose che si conoscono di lui si sa che nacque a Genova nel 1875, che
si laureò in legge e che in gioventù frequentò un cenacolo poetico creatosi nel
capoluogo ligure di cui facevan parte anche Alessandro Giribaldi e Alessandro
Varaldo, coi quali pubblicò un volume di versi: "Il 1° libro dei
trittici" (1897); alcuni anni dopo uscì la sua ultima opera poetica:
"Fiori vermigli" (1906). In seguito si allontanò decisamente dagli
ambienti letterari abbracciando la politica socialista. Morì suicida nel 1911.
FRANCESCO GAETA
(1879-1927). Visse sempre a Napoli dove, finito il liceo, frequentò
l'Università ma non giunse mai alla laurea. Si impose come giornalista
letterario collaborando a riviste quali «La Tribuna», «Il Gionale d'Italia» e
«I Mattaccini», fondato quest'ultimo da lui e dal suo amico Alfredo Catapano;
ebbe buona fama anche come poeta grazie agli apprezzamenti di Benedetto Croce
che considerò i suoi versi come i migliori tra quelli in circolazione
all'inizio del Novecento. La sua fine, avvenuta nel 1927, fu inaspettata:
tornato dal cimitero dove aveva assistito alla sepoltura della madre, scrisse
una lettera con le seguenti parole: «Mia dolce mamma, ti seguo» e quindi
si uccise. La sua opera poetica fu pubblicata postuma dal grande critico
letterario nonché suo estimatore Benedetto Croce.
ALFREDO CATAPANO
(1881-1927). Napoletano, si laureò in Legge professando poi l'avvocatura.
Cominciò a scrivere versi ancora giovanissimo e pubblicò alcune raccolte
poetiche che furono considerate anche da insigni critici. Morì suicida poco
tempo dopo il suo amico Francesco Gaeta. Di lui disse il critico
Giuseppe Antonio Borgese: «Ci rimane nel ricordo, più che altro, come un'astratta
immagine di gloria, che sì e no prende color di carne... Perciò il Catapano
tacque quasi subito: poeta di limbo, che prima ancora di prender piede nella
realtà scivolava verso l'assoluto».
CARLO MICHELSTAEDTER.
Nacque a Gorizia nel 1887; mostrò precocemente il suo talento per alcune
discipline quali il disegno e la musica. Frequentò per un periodo la facoltà di
Matematica dell'Università di Vienna per poi trasferirsi a Firenze dove
iniziò e completò i suoi studi
filosofici. Nel contempo, a partire dalla giovanissima età, si dedicò alla
scrittura di versi che non pubblicò mai. A soli ventitre anni, dopo un diverbio
con la madre, impugnò una pistola e si uccise. Le sue poesie, insieme ai suoi
trattati filosofici, uscirono postume nel 1912.
CARLO STUPARICH.
Fratello minore del celebre scrittore Giani, nato a Trieste nel 1894, dopo il
Ginnasio frequentò la facoltà di Lettere all'Università di Firenze; qui venne
in contatto con alcuni scrittori che collaborarono alla famosa rivista "La
Voce". Irredentista, si arruolò all'inizio della Prima Guerra Mondiale e
partì per il fronte. Dopo un'azione, nel maggio del 1916, essendo rimasto solo
ed avendo la certezza di cadere nelle mani del nemico austriaco, decise di
uccidersi. Tre anni dopo la sua morte uscirono in un volume i suoi scritti che
si compongono di poesie, prose e lettere in cui emerge il carattere romantico
dello scrittore triestino.
AGOSTINO RICHELMY.
Nacque a Torino nel 1900 da una famiglia celebre e benestante. Svolse
l'attività di traduttore con ottimi risultati (di grande valore sono le sue
traduzioni da Musset, Virgilio, Fedro e Voltaire). Coltivò simultaneamente una
grande passione per la poesia scrivendo versi già in giovane età che cominciò a
pubblicare molto in là cogli anni (la sua prima raccolta di versi è del 1965).
Le sue poesie dimostrano una propensione per i classici italiani (Petrarca,
Leopardi, Pascoli e Saba) e una particolare attenzione alle bellezze della
natura. Tragica fu la sua scomparsa, avvenuta nella sua casa di Collegno nel
1991, qui fu infatti ritrovato già morto insieme alla moglie; entrambi si
suicidarono ingerendo del veleno.
ENRICO FRACASSI.
Nacque a Roma nel 1902 e morì suicida a soli ventidue anni a Marano de' Marsi.
Poco prima di uccidersi mise in salvo alcuni versi e alcune brevi prose
poetiche che furono pubblicate grazie al critico Enrico Falqui nel 1948.
Leggendo le poesie di Fracassi si intuisce la sua simpatia per lo stile dei
cosiddetti frammentisti della "Voce", e in particolare per Vincenzo Cardarelli.
CESARE PAVESE. Nacque
a Santo Stefano Belbo, nelle Langhe, nel 1908 e visse quasi sempre a Torino.
Giovanissimo cominciò a frequentare il gruppo di intellettuali piemontesi che
si opponevano al regime fascista; per antifascismo subì il carcere e poi il confino.
Collaborò a varie riviste con saggi, traduzioni e poesie; pubblicò romanzi,
racconti e versi; tra questi ultimi risultano fondamentali nella storia della
poesia italiana novecentesca: "Lavorare stanca" (1943) e "Verrà
la morte e avrà i tuoi occhi" (postuma, 1951). Leggendo le sue opere ci si
accorge che Pavese ha avuto sempre in mente il suicidio, unica soluzione per
risolvere quello stato di sofferenza permanente causatogli da un senso di
esclusione totale dalla vita collettiva. La morte se la procurò in una stanza
di un albergo romano ingerendo molte bustine di sonnifero. Non aveva compiuto
quarantadue anni.
AUGUSTO CARDILE. Nato
a Taranto nel 1909, ben presto dovette affrontare con coraggio alcune
situazioni drammatiche che coinvolsero la sua famiglia. Stabilitosi a Firenze,
nel capoluogo toscano sembrò trovare una tranquillità che in vero durò poco,
visto che nel 1937 decise di togliersi la vita. I suoi versi, mai pubblicati in
volume, uscirono nella rivista "Letteratura" nel 1938, arricchiti da
una struggente testimonianza del critico Oreste Macrì.
ANTONIA POZZI. Nacque
nel 1912 a Milano da famiglia benestante, nel capoluogo lombardo frequentò il
liceo e poi l'università (facoltà di filologia) dove conobbe Vittorio Sereni e
Luciano Anceschi. Nel frattempo andava coltivando la passione per la poesia
riempiendo di versi quaderni su quaderni che non toccò più dopo la sera del 3
dicembre 1938, quando in preda ad una "disperazione mortale" (come
scrisse in una lettera) si tolse la vita ingerendo dei barbiturici. Le sue
poesie furono pubblicate postume a partire dal 1939.
PRIMO LEVI. Nacque a
Torino nel 1919 da una famiglia di origini ebraiche, sempre a Torino studiò
fino alla laurea in Chimica raggiunta nel 1941. Partigiano e antifascista fu
catturato dai tedeschi e deportato ad Auschwitz; lì rimase dal febbraio del 1944
al gennaio del 1945. Tornato dal lager cominciò a scrivere romanzi che
raccontassero la sua esperienza nel campo di concentramento; nel contempo
scrisse anche delle poesie che pubblicò nel volume definitivo "Ad ora
incerta" (1984). Primo Levi morì nell'aprile del 1987; il suo cadavere fu
trovato alla base della tromba delle scale di casa sua. Ancora non si sa se la
sua morte sia stata causata da una caduta accidentale o da suicidio.
GIORGIO CESARANO.
Nacque nel 1928 a Milano da famiglia aristocratica. Aderì al fascismo e poi,
dopo il 1945, al comunismo. Scrisse volumi di versi tra il 1959 ed il 1966
entrando in contatto con alcuni intellettuali milanesi tra i quali Franco
Fortini. Lavorò come traduttore ed autore televisivo. Si uccise con un colpo di
pistola al cuore a Milano nel 1975.
AMELIA ROSSELLI.
Figlia di Carlo Rosselli, antifascista e teorico del socialismo liberale,
nacque a Parigi nel 1930. Trasferitasi, a causa dell'assassinio del padre, in
Svizzera e quindi negli Stati Uniti, studiò in modo irregolare. Lavorò
inizialmente come traduttrice continuando a coltivare i suoi interessi per la
musica, la letteratura e la filosofia. Conobbe quindi vari intellettuali che la
spinsero a pubblicare i suoi versi su alcune riviste. Pubblicò la sua prima
raccolta di versi ("Variazioni belliche") nel 1964 attirando
l'attenzione di molti critici e poeti illustri. Insieme a ulteriori raccolte
poetiche diede alle stampe anche racconti e saggi. La sua fine giunse in
seguito ad un esaurimento nervoso causatogli dalla morte della madre e da
malattie croniche mai accettate. Si suicidò nella sua abitazione romana l'11
febbraio del 1996.
EROS ALESI. Nato a
Ciampino nel 1951, dopo varie vicende sfortunate e spiacevoli come la prematura
morte del padre e la decisiva esperienza della droga che lo portò alla morte a soli
venti anni. Pur scrivendo versi profondi, strazianti e, per certi versi
scioccanti, non pubblicò mai libri. Fu inserito però da Giuseppe Pontiggia nel
volume collettivo "L'Almanacco dello specchio" del 1973. Di lì a poco
sarebbe stato inserito in varie antologie importanti sulla poesia italiana
degli anni '70.
BEPPE SALVIA. Nacque
a Potenza nel 1954. Appassionato della poesia, collaborò coi suoi versi a
riviste tra le quali si ricordano "Nuovi Argomenti", "Prato
pagano" e "Braci" (di quest'ultima fu il cofondatore). La sua
morte arrivò improvvisa il 6 aprile del 1985, giorno in cui Salvia si gettò nel
vuoto dalla finestra della sua casa romana lasciando stupefatti i suoi amici ed
i suoi conoscenti. Le poesie di Salvia uscirono in volume postume; "Un solitario
amore" è il titolo della raccolta che contiene gran parte della sua opera
in versi.
REMO PAGNANELLI.
Nacque a Macerata nel 1955. Studiò in modo regolare e si laureò in Lettere
moderne nel 1978. Fu critico letterario e poeta pubblicando vari volumi di
saggistica e di versi. Morì suicidandosi a soli 32 anni nella sua città natale.
Tra le sue raccolte poetiche più significative si ricordano: "Dopo"
(1982), "Musica da viaggio" (1984) e "Atelier d'inverno"
(1985).
Chi non lo vive, non potrà mai capire l'angoscia interiore del male oscuro.
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