sabato 16 agosto 2014

Albe

L'alba oggi non mi suscita più alcuna emozione. Ma mi ricordo le albe vissute nel periodo dell'infanzia, soprattutto nei rari momenti, in estate, in cui già ero sveglio quando il sole si stava per affacciare nel cielo, e guardavo attraverso gli spiragli della finestra chiusa la prima luce apparire e divenire, a mano a mano, più intensa. Ero emozionato, meravigliato, trepidante in attesa di un nuovo, magnifico giorno che mi avrebbe proposto una moltitudine di cose esaltanti. Ma ricordo anche le albe dei giorni destinati alle partenze per la villeggiatura: la scoperta della città deserta e buia, i treni, le stazioni... e dentro di me un entusiasmo enorme, per un'avventura che mi immaginavo fantastica ma che spesso (troppo spesso) non si sarebbe rivelata tale.
Oggi, dicevo, l'alba non ha più un significato per me, e non rappresenta nulla, se non l'inizio di un nuovo, vuoto, squallido giorno.



ALBA FESTIVA
di Giovanni Pascoli (1855-1912)

Che hanno le campane,
che squillano vicine,
che ronzano lontane?

È un inno senza fine,
or d’oro, ora d’argento,
nell’ombre mattutine.

Con un dondolìo lento
implori, o voce d’oro,
nel cielo sonnolento.

Tra il cantico sonoro
il tuo tintinno squilla,
voce argentina — Adoro,

adoro — Dilla, dilla,
la nota d’oro — L’onda
pende dal ciel, tranquilla.

Ma voce più profonda
sotto l’amor rimbomba,
par che al desìo risponda:

la voce della tomba.

(Da "Myricae", 1900)




ALL'ALBA
di Gabriele D'Annunzio (1863-1938)

All’alba ritrovai l’orma sul posto,
selvatica qual pesta di cerbiatto;
ma v’era il segno delle cinque dita.

Era il pollice alquanto più discosto
dall’altre dita e il mignolo rattratto
come ugnello di gàzzera marina.

La foce ingombra di tritume negro
odorava di sale e di ginepro.

Seguitai l’orma esigua, come bracco
che tracci e fiuti il baio capriuolo.
Giunsi al canneto e mi scontrai col riccio.

Livido si fuggì pel folto il biacco.
Si levarono due tre quattro a volo
migliarini già tinti di gialliccio.

Vidi un che bianco; e un velo era dell’alba.
Per guatar l’alba dismarrii la traccia.

(Da "Alcyone", 1904)




L'ALBA
di Luisa Giaconi (1870-1908)

S'apre una pagina d'ambra
nel cielo, all'orlo del monte;
fioca sul nero orizzonte
l'ultima stella sparì.

E già per l'erto pineto
brucando il gregge si sperde,
piccoli punti fra il verde,
fiocchi di bianco qua e là...

Fremiti di foglie e d'acque
par che si sveglino a pena,
via via la luce s'insena
lenta nel bosco la giù.

L'ombra riprese i fantasmi
e riaccostò le sue porte;
di là, il silenzio, la morte,
il giorno dolce di qua;

il giorno, ch'è fra due notti,
come la vita nel nulla
che nel mistero ci culla;
un sogno anch'esso e non più.

(Da "Tebaide", 1912)




SU L'ALBA
di Alessandro Giribaldi (1874-1928)

Stanotte – su l'alba – dormivo
una fiorita di sogni...
Un sonno leggero; e sentivo
battere su la finestra.

Chi batte? Chi batte? Sei tu?
Sei tu, mia pensosa?
Sei tu (le tue dita di rosa?)
che vieni a trovarmi quassù?

Discesi - con gli occhi nel sogno –
dal letto, cercando su i vetri
l'amore... e il tuo volto.
Non c'eri. Mi posi in ascolto.

Ancora? Chi batte? Non c'eri...
Ma c'era un verdone, sperduto
anch'esso nell'ombra. – Che cerchi?
Rispose: ti porto un saluto.

Ti porto un sospiro, da lungi,
ti porto una lacrima, un bacio.
La vidi: guardava sul mare...
diceva: non giungi, non giungi?

(Da "I canti del prigioniero e altre liriche", 1940)




IMPRESSIONE DI SONNO
di Arturo Onofri (1885-1928)

Bere il tuo riposo fiorito, quando l'alba insinua per le imposte chiuse i suoi sottili coltelli di luce, assorbire il molle respiro della tua carne di rosa, il profumo degli abbandoni goduti, che all'angolo delle tue palpebre, come due petali stanchi, s'inumidiscono ancora della rugiada del sonno, esalato sulle tue ciglia dalla ninnananna del mare.

(Da "Orchestrine", 1917)




IO UN'ALBA GUARDAI IN CIELO
di Carlo Betocchi (1899-1986)

Io un'alba guardai il cielo e vidi
uno spazioso aere sulla terra perduta;
negletta cosa stava tra i suoi lidi,
tra gli spenti smeraldi oscura e muta.

Innumerevoli angioli neri vidi
volanti insieme ad una plaga sconosciuta
recando seco trasparenti e vivi
diamanti d'ombra eternamente muta.

Andava questo furioso stuolo
estenuandosi verso il fil d'occidente
e io seguìa un intenerito volo
di cerulee colombe alte e lente.

E apparvero, con le puntute ali
di bianco fuoco vivo drizzate e ardenti
gli angioli dalle vallate orientali,
le estreme piume rosee e languenti.

In un immenso lago alto e candido
nascean singolari fronde meravigliose,
le rovesce vallate un lume madido
di rugiade correa, fonde e muschiose.

E dentro i nostri cuori era come
dentro valli ripiene di nebbie e di sonno
un lento ascendere dello splendore
che poscia illuminò i monti del mondo.

(Da "Realtà vince il sogno", 1932)




LUCE BIANCA
di Antonia Pozzi (1912-1938)

All'alba entrai 
in un piccolo cimitero. 
Fu in un paese lontano 
ai piedi di una torre grigia 
senza più voce alcuna 
di campane – 
mentre ancora le nebbia 
inargentava 
le querce oscure, 
le siepi alte, 
l'erica 
viola – 

Nel piccolo cimitero 
le pietre 
volte all'Oriente 
come in un riso 
bianco 
parevano visi di ciechi 
che allineati marciassero 
incontro al sole. 

(Da "Parole", 1964)




ERANO GIORNI DIVINI
di Libero De Libero (1906-1981)

Con l'alba giungevi e me vecchio
d'attesa in giovane amore mutavi,
tanto orgoglio era d'intorno
quasi l'ombra d'un albero grande.
Erano giorni divini, e noi anche
divini per dolce consenso
dei prati davamo ragione
di canto alla gente. Ma il tempo
geloso di noi rapida sabbia
versò nel deserto crescente.

(Da "Romanzo", 1965)




COME È FORTE IL RUMORE DELL'ALBA
di Sandro Penna (1906-1977)

Come è forte il rumore dell'alba! 
Fatto di cose più che di persone. 
Lo precede talvolta un fischio breve, 
una voce che lieta sfida il giorno. 
Ma poi nella città tutto è sommerso. 
E la mia stella è quella stella scialba 
mia lenta morte senza disperazione. 

(Da "Poesie", 1957)




L'ALBA AI VETRI
di Giorgio Bassani (1916-2000)

L'alba ai vetri, e la musica d'un piffero e un tamburo
udivo, là, la sua opaca, un po' ebbra allegria.
Non eri tu che tornavi, vita, tu, vita mia, 
tu che sopravvenivi, innocente futuro.

«Empio evo venuto che premi alle porte»
dicevo io, con lacrime più soavi che amare,
«dimentica il mio nome! Dicevo. E la tua, morte,
ebbra ancor m'assonnava melodia militare.

(Da "L'alba ai vetri", 1964)

Nessun commento:

Posta un commento