Dei mattini ricordo di più e più volentieri quelli liberi, ovvero quelli in cui non era obbligo andare a scuola o sul posto di lavoro. Naturalmente i più bei mattini sono stati quelli dell'infanzia, d'estate in special modo, quando la prima fase della giornata rappresentava il momento più entusiasmante. Ricordo anche i mattini invernali del periodo delle vacanze natalizie, allorché potevo godere della medesima libertà e spensieratezza, con, in aggiunta, la trepidazione provata per l'attesa di una festa che allora era di fondamentale importanza: il Natale. "Il mattino ha l'oro in bocca", recita un famoso proverbio... Ma, in verità, per me i mattini di oggi non solo non posseggono nulla di prezioso, ma trascorrono vuoti e noiosi.
SPUNTA IL MATTINO E L'ALBA È SCOLORATA
di Igino Ugo Tarchetti (1839-1969)
Spunta il mattino e l’alba è scolorata,
Sul salice novello
Il passero dall’ale
Si scote indolenzito la brinata,
Tace la valle e tacciono gli steli,
Fischiano i venti e le recenti gemme
Stillan di pioggia al ritornar de’ geli:
E intanto nel cespuglio e nel roveto
Un mesto fior si schiude,
Si schiude una viola.
La viola bruna - il fior di sepolcreto.
Oh che sì mesta fossi
Nel libro di lassù scritto non era,
Oh mattin di natura, o primavera!
Del quinto lustro appena
Dolorando così volo su l’ale,
E una cura profonda,
E un avido desire
Smanioso della tomba il cor mi assale,
Delle deserte stanze
Apro le imposte e miro
La sofferente natura,
E nell’appeso speglio,
Le disfatte sembianze,
Che il gelo del dolor strusse repente.
Pur gioventù mi arride e in ciel non eri
Certo così segnata
Di precoce vecchiezza,
O mattin della vita, o giovinezza!
Qual fato dunque, qual terribil fato
Ha le stabili leggi
Di natura mutato?
Stille di piaggia e gemme disseccate,
Poveri fior recisi,
Vergini volti e guancie giovinette
Di lacrime solcate...
Tale il mondo affatica e mi assecura
Di rapida rovina
Un’arcana sventura;
Né a te fu dato, a te, stagion novella,
D’intatti fiori ornarti;
Né a te di gioie assaporar l’ebbrezza,
O mattin della vita, o giovinezza!
(Da "Disjecta", 1879)
MATTUTINO
di Giovanni Marradi (1852-1922)
Buon giorno, o splendido sole dorato
Che alla mia camera fai capolino:
Sei sempre l'ospite ben arrivato,
Sole magnifico, sole divino!
Finché dagl'incubi vieni a destarmi
Che la fantastica notte m'adduce,
E posso immergermi, purificarmi
In questo tepido bagno di luce,
Finché tu sfolgori sul mar che invano
Sferzan le collere del maestrale,
Finché dell'ampio consorzio umano
Sei democratico re liberale,
Finché sì splendido, sole dorato,
Alla mia camera fai capolino,
Sei sempre l'ospite ben arrivato,
Sole magnifico, sole divino.
(Da "Fantasie marine", 1881)
FIORI D'ARANCIO
di Bruna (Laura Clementina Maiocchi)
Era d'inverno un gelido mattino,
triste; pioveva, nol scorderò mai;
ed ella se ne stava a capo chino,
io fra i capelli i fiori le appuntai.
Poi surse; e mi baciò tutta radiosa,
bella, gentile, nel suo vel di sposa.
Fuori piovea, ma nelle luci care
di mia sorella il sol vidi brillare.
(Da "Pètali e lagrime", 1894)
SVEGLIANDOMI IL MATTINO, A VOLTE IO PROVO
di Camillo Sbarbaro (1888-1967)
Svegliandomi il mattino, a volte io provo
sì acuta ripugnanza a ritornare
in vita, che di cuore farei patto
in quell'istante stesso di morire.
Il risveglio m'è allora un altro nascere:
ché la mente lavata dall'oblio
e ritornata vergine nel sonno
s'affaccia all'esistenza curiosa.
Ma tosto a lei l'esperienza emerge,
come terra scemando la marea.
E così chiara allora le si scopre
l'irragionevolezza della vita,
che si rifiuta a vivere, vorrebbe
ributtarsi nel limbo dal quale esce.
Io sono in quel momento come
chi si risvegli sull'orlo d'un burrone,
e con le mani disperatamente
d'arretrare si forzi ma non possa.
Come il burrone m'empie di terrore
la disperata luce del mattino.
(Da "Pianissimo", 1914)
MATTINA
di Ardengo Soffici (1879-1964)
La luce non è che un mazzolino di fiori più sottili;
Un ronzìo di mosche d’oro e verdi il cielo.
Senza questo pardessus parigino si potrebbe ballare;
A tutti i piani c’è la musica come in paradiso.
Una signora vestita del tricolor dell’Italia nelle cromolitografie patriottiche
Evade verso l’oriente:
Jamais je ne voudrais être son chien!
Piuttosto piangere di tenerezza
Sul miracolo della gente che risuscita ogni giorno
In questo enigma universale, che piglia per un almanacco
E passa;
E passa con la tranquillità dei giovenchi,
Ah! noi moriremo per aver troppo adorato le cose da nulla.
L’aria d’anilina mi bagna come una camicia tuffata nel turchinetto.
Vedo tutto:
Il baccalà che esperimenta il Nirvana fiorito di pomodori nelle zangole azzurre;
L'ombre delle grondaie abbassate sugli occhi glauchi delle persiane;
Le ombre degli uomini che si sprofondano
Nella terra trasparente.
E a un tratto capisco questo assioma: Ogni nuova civiltà nasce dal riso dei bambini.
Il timpano del sole batte sullo specchio del parrucchiere
Per farmi sorridere;
Ma non si può che seguire in silenzio la freschezza delle ore.
(I miei capelli sono sinistri!)
(Da "Marsia e Apollo", 1938)
E ORA, IN QUESTE MATTINE
di Vincenzo Cardarelli (1887-1959)
E ora, in queste mattine
così stanche
che ho smesso di chiedere e di sperare,
e tutto il giardino è per me,
per il mio male sontuosamente,
penso agli amici che mai più rivedrò,
alle cose care che sono state,
alle amanti rifiutate,
ai miei giorni di sole...
(Da "Poesie", 1942)
MATTINO D'ESTATE
di Diego Valeri (1887-1976)
Una immensa distesa
di vigne, ondata solo
da emergenti alberelli qua e là.
E, qua e là, la macchia rosso bruna
d’un tetto, accanto a quella
biondiccia d’un pagliaio.
Poi, lontano, una lunga fila d’esili
pioppi frondosi
contro il turchino pallido
delle dolci colline. Il cielo è un bianco
fulgore, appena appena
annebbiato d’azzurro;
il silenzio è spaccato dagli scoppi,
poi solcato dai lunghi rombi tremuli
di due campane gravi.
Io da questo balcone alto contemplo
lento passare il mattino d'estate
sul piano aperto e per il vano cielo;
e da tutte le cose a me venire
mi par non so che pianto,
non so che nuovo senso del morire.
Sento, come non mai,
che si stempra nel nulla la mia vita,
a giorno a giorno, inesorabilmente;
sento che tu mi manchi
ad ogni istante un poco,
o giovinezza, e che sarai domani
un pugnetto di cenere
dentro il mio cuore fioco.
Sento che allora la tristezza mia
sarà fatta più triste
dal ricordo di te, come più muto
fatto è questo silenzio dalla scia
lunga, di suono, delle due campane
che non cantano più.
(Da "Poesie vecchie e nuove", 1952)
MATTINO D’AUTUNNO
di Attilio Bertolucci (1911-2000)
Un pallido sole che scotta
Come se avesse la febbre
E fa sternutire quando
La gioia d’esser giovani
E di passeggiare di mattina
Per i viali quasi deserti
È al colmo, illumina l’erba
Bagnata e la facciata rosa
Di un palazzo. Tutto è gioviale
Buongiorno e sereno, raffreddore
E mezza stagione. E Goethe
In mezzo alla piazza sorride.
(Da "Sirio", 1929)
I MATTINI PASSANO CHIARI
di Cesare Pavese (1908-1950)
I mattini passano chiari
e deserti. Così i tuoi occhi
s'aprivano un tempo. Il mattino
trascorreva lento, era un gorgo
d'immobile luce. Taceva.
Tu viva tacevi; le cose
vivevano sotto i tuoi occhi
(non pena non febbre non ombra)
come un mare al mattino, chiaro.
Dove sei tu, luce, è il mattino.
Tu eri la vita e le cose.
In te desti respiravamo
sotto il cielo che ancora è in noi.
Non pena non febbre allora,
non quest'ombra greve del giorno
affollato e diverso. O luce,
chiarezza lontana, respiro
affannoso, rivolgi gli occhi
immobili e chiari su noi.
È buio il mattino che passa
senza la luce dei tuoi occhi.
(Da "Verrà la morte e avrà i tuoi occhi", 1951)
MATTINO A ONEGLIA
di Cesare Vivaldi (1925-1999)
Stamattina a buonora mi risvegliano
le grida dei ragazzi entusiasmati
dai tuffi lungo il molo. Tutta Oneglia
sventola una marina di bucati
stesa avanti ai miei piedi, ed è ben sveglia
nel sole ogni finestra, insaponati
visi specchia; qualcuno unge una teglia
e vi dispone pesci infarinati.
Felicità d’esser vivi, e allegri
nel vento cogliere tutti gli odori
della città e del porto, la frittura,
il catrame che bolle. L’occhio ai negri
scafi dei lontanissimi vapori
si fissa. Come una nuova avventura.
(Da "Il cuore d'una volta", 1956)
LE SEI DEL MATTINO
di Vittorio Sereni (1913-1983)
Tutto, si sa, la morte dissigilla.
E infatti, tornavo,
malchiusa era la porta
appena accostato il battente.
E spento infatti ero da poco,
disfatto in poche ore.
Ma quello vidi che certo
non vedono i defunti:
la casa visitata dalla mia fresca morte,
solo un poco smarrita
calda ancora di me che più non ero,
spezzata la sbarra
inane il chiavistello
e grande un'aria e popolosa attorno
a me piccino nella morte,
i corsi l'uno dopo l'altro desti
di Milano dentro tutto quel vento.
(Da "Gli strumenti umani", 1965)
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