lunedì 26 novembre 2012

Poeti dimenticati: Nicola Sole

Nacque a Senise, in Lucania, nel 1821 e ivi morì nel 1859. Dopo la fine degli studi nel seminario di Tursi decise di dedicarsi alla Medicina, studiandola e praticandola nella regione di nascita. Abbandonata la disciplina medica si trasferì a Napoli; qui s'iscrisse alla facoltà di Legge dell'Università partenopea e completò gli studi. Nel periodo napoletano iniziò a interessarsi di poesia, frequentando anche vari salotti letterari del capoluogo campano. S'interessò anche di politica e partecipò ai moti del 1848; per tale motivo fu costretto a fuggire per alcuni anni da Potenza dove professava l'avvocatura. Tornatovi, subì vari processi e condanne, scontate le quali tornò al suo paese natale dove finì i suoi giorni. Poeta estemporaneo, legato alla cultura popolare, scrisse opere in versi che riecheggiano i motivi di famosi poeti italiani come Monti e Leopardi, così come, in parte, di poeti europei (Byron in particolar modo).
 
 

 
Opere poetiche


"Affetti ed armonie giovanili del conte Francesco Genoino", All'Insegna di A. Manuzio, Napoli 1844.
"Il Carmelo", Tip. Raimondi, Napoli 1844.
"L'arpa lucana", Stabilimento tip. di V. Santanello, Potenza 1848 (poi Libreria Capuano Editrice, Francavilla 1984).
"Il Cantico dè Cantici" (traduzione), Stamp. del Vaglio, Napoli 1855.
"Canti", Tip. Nobile, Napoli 1858.
"Pel tremuoto in Lucania", 1858.
"Poesie inedite", A. Liccione, Melfi 1895.
"Canti di Nicola Sole", Le Monnier, Firenze 1896.
 
 
 
 
Presenze in antologie


"Nuova crestomanzia italiana per le scuole secondarie, il Settecento e l'Ottocento", a cura di Carlo Maria Tallarigo e Vittorio Imbriani, Morano, Napoli  s. d. (pp. 837-838).
"I Poeti Italiani del secolo XIX", a cura di Raffaello Barbiera, Treves, Milano 1913 (pp. 1013-1017).
"I poeti minori dell'Ottocento", a cura di Ettore Janni, Rizzoli, Milano 1955-1958 (vol. I, pp. 248-256).
"Poeti minori dell'800", a cura di Giuseppe Petronio, UTET, Torino 1959 (pp. 405-406).
 


 
 
Testi


IL NEGRO

Polve è la man che sulle curve spalle,
Povero schiavo, t'imponea la grave
Soma che duri, e tu, fremente e bello
Di giovinezza eterna, ancor di lenti
Sguardi saetti e disperati il cielo.
Come l'Arte volea, penar t'è duopo
Durabilmente; ed ogni età che passa.
Ti vide indarno, o vittima deserta
Pria de l'uom poi de l'Arte! E te velaro,
Te misero locato a tanto affanno.
D'epidermide d'òr, perchè più vago
Spettacol si abbian le beate sale.
Sovra i muscoli tuoi, per l'anelante
Nudo torace, tremula balena
Dei candelabri la rifratta luce,
E armoniosa ti ricorse intorno
La canzon de' felici, e l'odoroso
Turbine de la danza: e tu, solingo
Eternamente, eternamente muto,
Sotto il tuo carco ti contorci, e fremi!
E ripensi, anelando, ai soli ardenti
Dei tuoi deserti, e de' leoni al cupo
Lungo ruggito. A voi, torride rupi,
A voi, purpuree nuvole, da tanti
Secoli, e invan, questo infelice anela!
E triste e fero d'una man contiensi
Le costole scoppianti, e puntellando
L'empia soma coll'altra, ansa, e riprova
D'una sull'altra spalla il travagliante
Granito eterno. Ma le gonfie sure,
Ma i femori depressi, e per le curve
Tibie portanti i tendini convulsi,
Ti apprenderan come sapria costui,
Sciolto ch'ei fosse, rilevarsi a fronte
Dei suoi padroni. Così forse un tempo
Vide l'artista i tuoi fratelli, o fosco
Figlio del Sol, per l'Itale marine:
Quando stridean le splendide galèe
D'empie catene, e per le nivee spume
Battean la voga de la strage ignude
Braccia d'ebano e petti invidi indarno
De l'indomito mar! Per l'aurea sera
Disperata correa de' remiganti
La selvaggia canzon verso i lontani
Regni del sole; onde movea diversa,
Ma più triste canzon da le profonde
Torri del Saraceno! Ivi gemea
L'Italo schiavo, sospirando invano
Ai sereni de l'Alpi, e del soave
Organo d'una chiesa al vespertino
Lungo lamento! Ma l'insania antica
Che l'occaso partìa da l'Oriente,
Cessava; e tutti ricordar di un biondo
Giovane Galileo che de lo schiavo
Il guinzaglio disciolse, e gloriosa
Parve la fronte del vagante Adamo,
Da qual prode si giri al gran paese
De la promessa. — O generosa donna,
Di queste inclite sale ospite bella:
Su quel granito secolar deponi
Schiuso il volume degli eterni veri;
Sì che al contatto de le sante carte
La tavola s'Infranga, e il mesto Atlante
De la sua lunga oppression respiri;
per le veglie clamorose almeno
Su le memorie dei dolori antichi
Splenda il segnai de le venture gioie.

(Da "Canti")

Nessun commento:

Posta un commento