domenica 4 novembre 2012

Il cimitero nella poesia italiana decadente e simbolista

Il primo simbolo che viene in mente pensando ad un cimitero è ovviamente quello della morte, ed in effetti è un simbolo che ricorre spesso nelle poesie de decadenti, anche se non è il solo. Il cimitero essendo un luogo dove, per rispetto verso i morti, si parla sottovoce o non si parla affatto, è anche simbolo di silenzio (come anche le tombe e le bare). Inoltre per gli stessi motivi e per il fatto che è popolato soltanto dai defunti, esso può divenire simbolo di pace. Non di rado i poeti italiani hanno descritto i cimiteri in contesti dove c'era la presenza di neve e di gelo, questo a voler rafforzare l'idea della "fredda" morte. Ben diverso è il gusto del macabro presente in molte poesie degli scapigliati, chiaramente fine a sé stesso e non inseribile in una qualsivolgia simbologia.
 
 


Poesie sull'argomento
Vittoria Aganoor: "O morti!..." in "Leggenda eterna" (1900).
Diego Angeli: "Un camposanto" in "L'Oratorio d'Amore. 1893-1903" (1904).
Peleo Bacci: "Cancello aperto" in "Dai nostri poeti viventi" (1903).
Pompeo Bettini: "Nella valle sonora manca il giorno" in "Poesie" (1897).
Bino Binazzi: "La necropoli" in "Turbini primaverili" (1910).
Francesco Cazzamini Mussi: "Camposanto" in "I Canti dell'adolescenza (1904-1907)" (1908).
Giovanni Cena: "Piccola bara" in "In umbra" (1899).
Sergio Corazzini: "Il cimitero" in «Marforio», febbraio 1904.
Diego Garoglio: "Muore fiammando il giorno" in "Sul bel fiume d'Arno" (1912).
Cosimo Giorgieri Contri: "Clarissa" in "Primavere del desiderio e dell'oblio" (1903).
Corrado Govoni: "Sempre verdi", "Tra gli ex-voto del bosso" e "Corone funebri" in "Armonia in grigio et in silenzio" (1903).
Corrado Govoni "Nella Certosa" in "Gli aborti" (1907).
Corrado Govoni: "Il cimitero roseo" in "Poesie elettriche" (1911).
Arturo Graf: "Quiete lunare" in "Medusa" (1990).
Enzo Marcellusi: "Colpo d'ala" in "Intensità" (1920).
Tito Marrone: "Ad coemeterium" in «Aspasia», luglio 1900.
Pietro Mastri: "Il vecchio camposanto" in "L'arcobaleno" (1900).
Giovanni Pascoli: "Notte di neve" in "Myricae" (1900).
Sebastiano Satta: "Cimitero alpestre" in "Canti barbaricini" (1910).
Emanuele Sella: "La rassegnazione" in "Monteluce" (1909).
Aurelio Ugolini "I sepolcri" in "Viburna" (1905).
Giuseppe Zucca: "Cimitero in collina" in "Io" (1921).
 
 
 

Testi
IL VECCHIO CAMPOSANTO
di Pietro Mastri

Un'alta siepe di ginepro e folta
cinge di verde, là, fuor del villaggio,
          il vecchio camposanto;
quello ove i nonni andavano una volta
come al termine fisso d'un viaggio,
          sereni, senza pianto.

Or che v'è l'altro assai più ricco e grande,
il vecchio camposanto è morto anch'esso.
          L'erba lo invade tutto.
Su qualche croce le ultime ghirlande
pendono secche; ancor, qualche cipresso
          vigila fosco a lutto.

Ma il vecchio camposanto anch'esso è morto;
morto pei morti e morto anche pei vivi.
          La sola siepe è viva;
la siepe onde oramai somiglia un orto;
e nell'autunno più, quando dai clivi
          già freddi il tordo arriva.

Allora è il tempo che su quei rametti,
irti di foglie acute come spine
          il tordo trova appesi
gli aromatici suoi aspri confetti,
le brune o verdazzurre coccoline,
          che paiono turchesi.

Allor nell'albe lacrimose e lente,
fra la nebbia che all' erbe alte s'appiglia
          con volubili forme,
s'ode un zirlo, un altro... Di repente
tutta la macchia palpita e bisbiglia...
          E il camposanto dorme.

Dorme lassù, fra quell'agreste pace,
da quella viva sua ghirlanda cinto,
          che sempre fresca dura:
dorme con i suoi morti, in un tenace
amplesso chiusi nel suo cuore estìnto.
          Lo veglia la Natura.

(Da "L'arcobaleno")

Nessun commento:

Posta un commento