giovedì 22 marzo 2012

Gli animali nella poesia italiana decadente e simbolista

La simbologia degli animali, molto diffusa tra i poeti simbolisti, varia a seconda del tipo di bestia menzionato. Per fare alcuni brevi esempi possiamo dire che il cane è simbolo di fedeltà e giustizia, il gatto di femminilità e fertilità, la chiocciola di saggezza e di intelligenza, il corvo di sfortuna e di morte, gufi e civette si associano a comprensione e luce mentre il gallo simboleggia la rinascita; gli agnelli hanno a che vedere con l'innocenza e il sacrificio; le formiche sono collegate all'amicizia, le rondini sia alla partenza che al ritorno ed i ragni hanno una simbologia molto ricca e diversificata, tanto da meritare un discorso a parte. I poeti decadenti e simbolisti nei loro versi predilessero alcuni tipi di animali: tra i più citati vi sono in generale gli uccelli e in particolare le rondini, i corvi e le civette.
 


Poesie sull'argomento
Diego Angeli: "Una rondine" in "L'Oratorio d'Amore" (1904).
Antonio Beltramelli: "Nei giorni lontani..." in "I Canti di Faunus" (1908).
Enrico Cavacchioli: "Le procellarie" in "L'Incubo Velato" (1906).
Enrico Cavacchioli: "Il girino scettico in amore" in "Le ranocchie turchine" (1909).
Giovanni Alfredo Cesareo: "Il Chiù" in "Le consolatrici" (1905).
Sergio Corazzini: "L'agnello" in «Capitan Fracassa», dicembre 1902.
Sergio Corazzini: "Il gatto e la luna" in «Marforio», ottobre 1904.
Federico De Maria: "Le Colombe", "Gli Agnelli" e "La Canzone dell'Usignolo" in "Voci" (1903).
Federico De Maria: "I Tarpan" in "La Leggenda della Vita" (1909).
Alessandro Giribaldi: "Le mosche" e "Le formiche" in "Canti del prigioniero e altre liriche" (1940).
Corrado Govoni: "Passero solitario" e "I paoni" in "Le Fiale" (1903).
Corrado Govoni: "Le litanie del mao" in "Fuochi d'artifizio" (1905).
Corrado Govoni: "La chiocciola", "Le farfalle", "Le api" e "Ai corvi" in "Gli aborti" (1907).
Corrado Govoni: "Gli aironi" e "L'usignuolo" in "Poesie elettriche" (1911).
Guido Gozzano: "L'amico delle crisalidi" in "La Riviera Ligure", Agosto 1909.
Guido Gozzano: "Le farfalle" in "Poesie e prose (1961).
Arturo Graf: "Corvo" in "Medusa" (1880).
Amalia Guglielminetti: "L'etéra" in "Le Seduzioni" (1909).
Gian Pietro Lucini: "Mitico serpe candido e rosato" in "Il Libro delle Figurazioni Ideali" (1894).
Gian Pietro Lucini: "Rondini" in "Poesia", agosto/settembre/ottobre 1909.
Mario Malfettani: "I gufi" in "Fiori vermigli" (1906).
Tito Marrone: "Gli usignoli" e "Il gatto" in "Liriche" (1904).
Fausto Maria Martini: "Le colombe" in "Le piccole morte" (1906).
Fausto Maria Martini: "La lucciola e il serpente" in "Panem nostrum" (1907).
Fausto Maria Martini, "Le rondini" in «Noi e il Mondo», maggio 1914.
Pietro Mastri: "L'usignuolo", "Il giumento bendato" e "Il cuculio" in "Lo specchio e la falce" (1907).
Pietro Mastri: "L'ultima cicala" e "Le pecorelle" in "La fronda oscillante" (1923).
Marino Moretti: "La domenica dell'orso" in "Poesie scritte col lapis" (1910).
Angiolo Orvieto: "L'alcione" e "Rondini" in "La Sposa Mistica. Il Velo di Maya" (1898).
Giovanni Pascoli: "La civetta" e "Il passero solitario" in "Myricae" (1900).
Giovanni Pascoli: "Il cane notturno" in "Odi e Inni" (1906).
Guido Ruberti: "Volo di corvi" e "La mandra" in "Le fiaccole" (1905).
Fausto Salvatori: "La Rana" in "La Terra promessa" (1907).
Emanuele Sella: "I cani" in "Rudimentum" (1911).
Domenico Tumiati: "L'airone" in "Liriche" (1937).
Aurelio Ugolini: "Il pappagallo" in "Viburna" (1905).
Diego Valeri: "Rondini" in "Crisalide" (1919).
Giuseppe Zucca: "Le civette" in "Io" (1921).
 

 
Testi
I TARPAN
di Federico De Maria

L'ardor della caucasëa pianura
in estate li inebbria come fieno
che fermenti, spandendo a l'aria pura
un suo veleno

Lussurioso; una frenata e pazza
sete di spazî prende allor l'armento
dei poledri che, libero, scorazza
emulo al vento.

Allor, d'un tratto, come ad un comando
improvviso, si slancia la grande schiera
serrata a corsa folle, svolazzando
ogni criniera

Sovra i mobili dorsi: e tutte sono
simili a scapigliata selva a volo.
Sotto il galoppo con fragor di tuono
rimbomba il suolo.

Forse ànno visto a l'orizzonte. Al lume
del tramonto, il profilo di più calme
e fresche plaghe: un lago d'oro, piume
verdi di palme,

Frescure ombrose, pascoli fioriti,
tutta una meraviglia non mai vista
nella lor steppa ignuda: e son partiti
a la conquista.

Sono partiti, e il loro calpestìo
frenetico schizzar fa sterpi, fanga
e ciottoli: rovescian da un pendìo
come valanga,

S'arrampicano coi garetti elastici
pei clivi scabri, con balzi magnifici
i borri e i fossi varcano, fantastici
come ippogrifi,

Protesi gli occhi al miraggio: Sfavilla
la viva roccia talora a l'attrito
de l'ugna, e tra l'ansimar spesso squilla
qualche nitrito.

Ma quando l'ombra, come una palude
aerea lenta cielo e steppe invade
da occidente, ed ai lor occhi chiude
tutte le strade,

S'arrestan essi (e sotto la lor pelle
fumante i tesi muscoli ancor vibrano):
un'aurea nube tra le prime stelle
sola si libra

Su l'orizzonte dove sfolgorare
videro il portentoso paesaggio:
la notte ferma su l'erboso mare
il lor viaggio.

Ma non importa: bella fu la corsa!
Essi lungo rammarico non sanno.
Stanotte sotto il pio raggio dell'orsa
riposeranno,

E se domani splenderà nel cielo
ancor la visione che fu tolta
loro da l'ombra, qual turbine anelo
un'altra volta

andranno. Andranno: essi giocan con quella
visïone che correre li fa.
È loro gioia sol la corsa bella
in libertà.

(Da "La Leggenda della Vita")
 
 

mercoledì 21 marzo 2012

Spariranno anche le rondini

Cantavano bensì gli andati
uomini del mio borgo.
Ed era il tempo dei galli e dei cavalli
e di altro che non è
o non sarà tra un breve
volgere di anni mai più
su questa terra. Un riccio
più non lo vedi che raro tra le siepi
ultime, e il cùculo
sempre più lungi il suo canto riporta
addentro i boschi morenti, e verrà
tempo che in cielo non saranno più le rondini
del buon Francesco.
                            Così
il cuore ancora si diceva l'altra notte
seguendo il mesto tramontare della luna
laddove il canto popolano più non era.
 
 
 
Esiste un detto popolare che recita così: «A San Benedetto una rondine sotto il tetto»; ebbene San Benedetto è proprio oggi, ventuno di marzo, e di rondini sotto i tetti non se ne vedono, così come non se ne vedevano un anno fa. Ho sentito una recente notizia che affermava la significativa diminuzione del numero di rondini che, ogni anno, all'arrivo della stagione primaverile, tornano a popolare i nostri cieli. Ecco quindi dimostrato che il grande poeta Umberto Bellintani, quando, nei lontani anni sessanta scrisse questa poesia, aveva ragione. Il suo presentimento era avallato dai sostanziali, graduali cambiamenti del paesaggio a cui aveva assistito lungo gli anni dell'industrializzazione. La conseguenza di questi mutamenti fu ed è un aumento di sostanze inquinanti presenti sia nell'aria che nella terra, e una netta diminuzione degli spazi vitali per la flora e la fauna che occupavano a ragione il territorio e che nessuno considera. Se, magari non oggi, ma fra un po' di giorni, vedremo ancora delle rondini nel cielo, dobbiamo essere consapevoli che non sarà ancora per molto, perché presto spariranno, così come non ci saranno più tante altre cose belle che potevano allietare la nostra vista e la nostra vita, a vantaggio di un bieco consumismo e di un vuoto materialismo che detta legge e non rispetta la vita degli abitanti del pianeta.
"Spariranno anche le rondini" fu pubblicata dal poeta lombardo Umberto Bellintani nella raccolta "E tu che m'ascolti", uscita nel 1963. La si trova anche nel volume intitolato "Nella grande pianura" del 1998, che comprende la maggior parte dei versi di Bellintani.


martedì 20 marzo 2012

Prima primavera vera

La vostra primavera, o letterati,
qui sulla terra non l'ho vista mai,
con que' vostri augelletti innamorati
che stanno gorgheggiando a' dolci rai

e i fiorellini che smaltano i prati
e gli amanti che giran tra' rosai...
Io vedo campi verdi oppur vangati
con qua e là meli bianchi e letamai,

eppoi quercioli secchi e fiori gialli,
e per le strade di già polverose
merde fresche di manzi e di cavalli,

e nelle sere vagamente afose
il cucco e il chiù nemmeno a bastonalli
smetton le lor chiamate lamentose.
 

 
L'esordio poetico di Giovanni Papini avvenne nel novembre del 1912, quando pubblicò sulla rivista "La Voce", quattro componimenti in versi raggruppati sotto il titolo: "Sonetti plebei". Ciò è dichiarato dallo stesso Papini alla fine di tali pubblicazioni, nel seguente testo:

«M'induco a pubblicare i primi quattro d'una sessantina di sonetti plebei di spiriti e di forme che scrissi in campagna tre anni fa. È la prima volta in vita mia, che stampo versi e forse sarebbe stato meglio aspettar dell'altro».

Il titolo scelto da Papini, vorrebbe specificare il carattere non altissimo di questi sonetti; in effetti leggendoli è facile capirlo: trattasi infatti di composizioni giocose, ironiche e alcune volte provocatorie che possono ben rientrare nella poesia satirica. Questo discorso vale anche per i versi riportati sopra, in cui l'autore gioca a cominciare dal titolo e prosegue sullo stesso tono nel contenuto, che parla di una primavera tutt'altro che idilliaca e poetica; insomma il contrario, come afferma lui stesso nei primi due versi, della stagione descritta generalmente e banalmente dai poeti: c'è anzi un abbruttimento evidente, che coinvolge la vista (del letame e dello sterco presenti sul terreno), e l'udito (dei lamenti degli uccelli come il cuculo e l'assiuolo) di chi osserva e sente ciò che offre la natura nel tempo primaverile.
"Prima primavera vera", così come gli altri tre "Sonetti plebei" non fu più pubblicato dal Papini (e nemmeno lo furono i futuri sonetti annunciati). Lo si ritrova soltanto nel volume che comprende l'intera opera dello scrittore toscano: "Tutte le opere", edito da Mondadori alla fine degli anni '50 del XX secolo.

lunedì 19 marzo 2012

Da "Ricordi di scuola" di Giovanni Mosca

L'albero del cortile ha messo da qualche giorno le prime foglie, di quel verde tenero, fresco fresco, che si vede solo nei primissimi giorni di primavera, ed è un miracolo che dura poco, nemmeno dall'alba al tramonto, e di questo breve tempo c'è forse un'ora, e di quest'ora un minuto, un istante in cui il miracolo di quel verde raggiunge la sua pienezza. Foglioline piccole che appena ardiamo guardare, ma senza toccarle, tanto è delicato quel colore che, senza che gli occhi lo avvertano, ma il cuore, sì, già non è più quello dell'istante prima, e domani sarà già offuscato, come se un'ombra vi si fosse posata, e del fresco, tenero miracolo non rimarrà che il ricordo, il rimpianto... Foglioline che spiccano, rade, sul bruno dei rami quasi nudi ancora, e anche nell'ombra sembra che il sole le illumini.

(Da "Ricordi di scuola" di Giovanni Mosca, 31° edizione, Rizzoli, Milano 1972, p. 129)

domenica 18 marzo 2012

Marzo


Marzo ventoso
mese adolescente
marzo luminoso
marzo impenitente.

Marzo che fai tuoi giochi
con le nuvole in alto
e con l'ombra e le luci
dài mutevol risalto
alla terra stupita

alla terra intorpidita,
mentre dal seno le strappi
e le primole e le rose
e fresch'acque rigogliose
lieto fai rigorgogliare.

Ed il passero riscuoti
con la tua folle ventata
nella sua grondaia secca
nella siepe denudata.

Spazzi i portici e le calli
e la nebbia nelle valli
e la polvere degli avi
e i propositi dei savi
rompi e l'ombra delle chiese.

Ed il pavido borghese
che nell'essa porta il gelo
dell'inverno trapassato
e col corpo imbarazzato
geme il reuma ed il torpore,
che nel volto porta il velo
della noia ed il pallore
della diuturna morte,
si rinchiude frettoloso
si rinvoltola accidioso
e rincardina le porte.

Se lo scuoti e lo palesi,
marzo giovane pazzia,
la sua trista nostalgia
sogna il sonno di sei mesi.

Ei ti teme, dolce frate
marzo, terrore giocoso
ma tu passi vittorioso
sbatti gli usci e le impannate
con le tue folli ventate.

E la densa polve sveli
nel tuo raggio popolato
e sul legno affumicato
i vetusti ragnateli.

Poich'il termine al riposo
canti, marzo adolescente,
t'odia questa buona gente,
marzo luminoso.

Ma se t'odiano addormiti
nelle coltri riscaldate
ed i passeri impauriti
nelle siepi denudate,
t'ama il falco su nell'aria
che più agile si libra
nella tua ventata varia
e la sente in ogni fibra
lieto nella tua procella,
ché per lei si fa più bella
ché per lei si fa più pura
ai suoi occhi la natura.

Marzo mese luminoso
marzo adolescente
marzo mese irriverente
marzo ventoso.

1° marzo 1910
 


 
Questa poesia fu probabilmente scritta di primo impulso dal filosofo Carlo Michelstaedter dopo un'escursione sul San Valentin, nel Friuli, uno dei luoghi da lui più frequentati e amati. Come le altre poesie del filosofo friulano, fu pubblicata soltanto dopo la morte dello stesso, avvenuta per suicidio nel 1910: durante il medesimo anno in cui furono composti i versi sopra riportati. Molto bella mi pare questa rappresentazione di marzo che viene descritto come un mese assai movimentato, portatore di veloci mutamenti del clima e delle condizioni atmosferiche, ma anche di venti forti, fastidiosi a tal punto che il borghese, temendoli, si rinchiude in casa. Ma se marzo non è amato dalla maggior parte degli uomini e degli uccelli, lo è dal falco, che si fa trasportare nel suo volo dal vento, che sente nelle fibre e nelle membra tutta la forza e l'energia vitale trasmessi da questo mese straordinario, e sa apprezzare anche le immagini nuove e bellissime offerte dalla natura in questo periodo dell'anno.

sabato 17 marzo 2012

Fiorita di marzo

La fioritura vostra è troppo breve,
o rosei peschi, o gracili albicocchi
nudi sotto i bei petali di neve.

Troppo rapido è il passo con cui tocchi
il suolo — e al tuo passar l'erba germoglia
o Primavera, o gioja de' miei occhi.

Mentre io contemplo, ferma sulla soglia
dell'orto, il pio miracolo dei fiori
sbocciati sulle rame senza foglia,

essi, ne' loro tenui colori,
tremano già del vento alla carezza,
volan per l'aria densa di languori;

e se ne va così la tua bellezza
come una nube, e come un sogno muori,
o fiorita di Marzo, o Giovinezza!...


 
È questa di Ada Negri, una delle poesie che fanno parte della raccolta "Dal profondo", uscita nel 1910. Segna un passaggio decisivo, da parte della poetessa lodigiana, verso toni marcatamente più contemplativi e, nello stesso tempo, meditativi. È così anche in "Fiorita di marzo", dove la Negri osservando lo spettacolo dei bellissimi, minuti e fragili fiori che compaiono verso la metà del terzo mese dell'anno sui rami di alcuni alberi da frutta, si rende conto di quanto essi siano simili al periodo della vita umana che coincide con la gioventù; periodo meraviglioso ma di brevissima durata, così breve che, una volta passato si ha l'impressione di aver vissuto in un sogno e non nella realtà. Quando scrisse questi versi Ada Negri si apprestava a raggiungere la soglia dei quarant'anni, che per una donna spesso voleva dire l'inizio della vecchiaia (si parla di un secolo fa naturalmente), ecco il motivo di tale e tanta amarezza provocata nell'animo della scrittrice dal vedere l'imparagonabile rappresentazione della rinascita vitale che si manifesta, in primavera, principalmente con la nuova fioritura delle piante.

venerdì 16 marzo 2012

Poeti dimenticati: Giuseppe Cesare Molineri

Giuseppe Cesare Molineri nacque a Pinerolo nel 1847 e morì a Torino nel 1912. Dopo la laurea in Lettere, insegnò all'università di Torino; partecipò alla terza guerra d'indipendenza (1866) nel reparto dei garibaldini; fondò anche una rivista che si occupava di teatro e di letteratura: «Serate italiane (letture per famiglie)». Narratore, autore e critico teatrale, fu anche poeta, come dimostrano due volumi di versi: "All'aperto" (1876) ed il postumo e ricapitolativo: "Poesie (1865-1906)". Nella sua raccolta uscita tre anni dopo la sua morte si evidenziano chiari elementi che lo avvicinano alla Scapigliatura, in particolare al suo corregionale Igino Ugo Tarchetti.
 
 
Opere poetiche
"Al'aperto", Casanova, Torino 1876.
"Poesie (1865-1906)", Lattes, Torino 1915.
 
 
Presenze in antologie
"Lirici della Scapigliatura", seconda edizione aggiornata a cura di Gilberto Finzi, Mondadori, Milano 1997 (pp. 245-250).
"La poesia scapigliata", a cura di Roberto Carnero, Rizzoli, Milano 2007 (pp. 435-440).