domenica 17 marzo 2024

Il decennio 1960-1969 in 10 poesie di 10 poeti italiani del XX secolo

Come sembrano già così lontani i “mitici” anni ’60… Io, in questo decennio ci nacqui, ma, certamente per motivi d’età, non ricordo nulla o quasi di quel periodo decisamente felice per la nostra nazione; pure, in un non lontanissimo passato, ho visto tanti documentari, servizi giornalistici e film che ne parlavano spesso in modo entusiastico; inoltre amo la musica pop che, in questo preciso decennio, si diffuse in modo abnorme, grazie alla proliferazione dei dischi in vinile (a 33 e a 45 giri), che era possibile ascoltare in casa comperando un giradischi: elettrodomestico di piccole dimensioni e alla portata di tutti, che si avvaleva di un piatto girevole su cui veniva posizionato il disco, e un braccio alla cui estremità si trovava una puntina. Anche i miei genitori mi parlavano spesso e sempre in modo positivo degli anni ‘60, poiché entrambi, proprio all’inizio del settimo decennio del Novecento, trovarono un posto di lavoro adeguatamente retribuito e stabile, che gli permise di vivere senza troppi problemi economici per il resto della loro vita. In effetti, il periodo compreso tra il 1960 ed il 1969 ha rappresentato una svolta decisiva per l’Italia, che, soprattutto nei primissimi anni di questo decennio, beneficiò del cosiddetto “boom”: una sorta di miracolo economico che consentì ad una larga fascia della popolazione di uscire da uno stato di povertà in cui si era ritrovato dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Poi ci fu il ’68: l’anno in cui iniziò la contestazione giovanile (fenomeno che coinvolse altri paesi europei come Francia e Germania Ovest) e che, ahimè, nel nostro paese sfociò nel terrorismo degli anni ’70. E gli anni ’60 finirono per diventare qualcosa di favoloso anche per me, che praticamente non li ho vissuti. Ma, come ho già detto all’inizio, oggi questo decennio così importante per la nostra nazione, sembra già dimenticato; e diventa sempre più raro sentirne parlare, anche perché le generazioni che lo hanno attraversato e analizzato o sono già scomparse, o non vengono più interpellate al riguardo. Ho voluto così rievocarli pubblicando 10 poesie di 10 poeti italiani in cui essi sono protagonisti diretti o indiretti. Ma in questi versi quasi mai c’è entusiasmo; piuttosto si punta l’attenzione su determinati eventi accaduti proprio in quel decennio, alcuni dei quali drammatici o tragici; oppure si esterna una seria preoccupazione per il graduale diffondersi di un capitalismo sempre più selvaggio. In altri casi, vengono ricordate delle date memorabili per la popolazione mondiale (come quella del 21 luglio 1969, quando l’uomo, per la prima volta riuscì a toccare il suolo lunare). Unica eccezione è la prosa poetica di David Maria Turoldo, che conferma l’impressione estremamente positiva da lui avuta in quel contesto storico, che vide l’ascesa al potere di alcuni personaggi straordinari, apparentemente in grado di cambiare il mondo. Poi, però, con amarezza ammette che si trattò soltanto di una mera illusione.

 

 

IL DECENNIO 1960-1969 IN 10 POESIE DI 10 POETI ITALIANI DEL XX SECOLO

 

 

2 NOVEMBRE 1962

di Fernando Bandini (1931-2013)

 

I puteli notturni

hanno sorvolato

(cavalcando le folaghe)

La base della Nato.

 

Luccicavano appena

tra nuvole di perla

e i rami dondolavano

nel tempo che s’inverna.

 

Armi qua e là

Puntate verso il cielo!

I puteli fuggivano

Al prossimo sfacelo.

 

E l’àlbera tremava

nei miei occhi e nel cuore.

Aver trent’anni e tanta

Paura e disamore! 

 

(da "Tutte le poesie", Mondadori, Milano 2018, pp. 46-47)

 

 

 

 

25 LUGLIO ‘67

di Ferruccio Benzoni (1949-1997)

 

Stentorea

in un visibilio di luce

che pare scolpita

la voce,

il lembo d’un prendisole…

È quanto di lei rimane

Tra il paesaggio marino e me

Immobili nel ricordo.

(Si sollevasse una brezza

un alito

e un poco di verde tremasse

cautamente

dalla cima delle piante alla punta

delle mie dita)

 

(da “Dopo la lirica. Poeti italiani 1960-2000”, Einaudi, Torino 2005, p. 368)

 

 

 

 

VERSI SCRITTI IL GIORNO DELLA MORTE DI J. F. KENNEDY

di Attilio Bertolucci (1911-2000)

 

Amica America America primo amore

non potevamo più pronunciare quei titoli amati

e neppure America amara che ne era il rovescio

giudizioso e perfido forse accettabile

sempre giocati su quella vocale femmina di lunghe gambe

le lunghe dure gambe americane fatte per grandi spazi.

 

Non potevamo più controtipare dal fondo

semidistrutto della nostra memoria

di Douglas Fairbanks

gattescamente librato

sulla pellicola rigata i salti

con accompagnamento al piano di Alexander ragtime Band

perché eravamo rimasti senza udienza.

 

Né - udite - litaniare Poe Hawthorne Melville Dickinson Whitman -

né Stephen Crane più a misura d'uomo -

di quei semidei che orme gigantesche

stamparono sulla terra e scomparvero

senza eredi - Stephen

e più tardi Ernest e Francis Scott

che ci diedero in prosa una musica umile

degna dei versi più splendenti.

 

Ora potremo grazie a te. Così sia.

 

(da "Verso le sorgenti del Cinghio", Garzanti, Milano 1993, pp. 25-26)

 

 

 

 

SETTEMBRE 1968

di Franco Fortini (1917-1994)

 

Quest’anno ne ripete molti altri. La venuta

del caldo, per esempio. Il grande caldo

si è tutto sfogato nella prima quindicina di luglio.

 

Gli studenti, le riunioni. Torino. Parigi. Berlino. I colpi

a Dutschke, sotto Pasqua. I giorni di maggio. La lotta

a Shanghai. Ieri i russi a Praga; o è da quindici

giorni, già da trenta giorni.

 

Stenta la coscienza a seguire questo volo profondo.

L’azzurro è profondo. Il viola è denso e il verde

Sulla dorsale di pini e cipressi.

Dove la dorsale del poggio va in ombra è molta ombra.

Poco fiato leva le piume bianche

Dei cardi ed esse in processione

Senza pena vanno senza peso

Sempre più nell’aria lasciano l’ombra

Entrano nella luce rosa.

 

Stringo nella tasca una lettera di stamani.

 

(da “Tutte le poesie”, Mondadori, Milano 2015, p. 416)

 

 

 

 

NINNA-NANNA PER IL 21 LUGLIO 1969

di Luciana Frezza (1926-1992)

 

Va a letto, bambina curiosa,

prendi il tuo piccolo tranquillante

verde prato e riposa

in un’amaca di raggi d’argento.

 

Ma mille fili

Mille segnali

Mille richiami

Attraversano il baldacchino

Del tuo sonno di cellophane.

Sta certa

Ti sveglieremo

All’ora che aspetti, di questa

Notte d’epifania lunare.

 

(da "Comunione di fuoco. Opera poetica", Editori Riuniti, Roma 2013, p. 276)

 

 

 

 

Da "TELEGIORNALE (1963-1964)”

di Gino Gerola (1923-2006)

 

5

È subito silenzio

nel bar. Lo speaker turba la sua voce,

un attimo s’affaccia

sullo schermo. Un ronzo cupo

è nell’aria: - La vallata del Piave

è un cimitero: brandelli di abitazioni,

i morti nudi che dormono

in un mare angosciato. I superstiti

raspano tra le macerie,

i soldati che scavano muti

riportano nel giorno

solo la morte -. Sul video nereggiano

figure in una luce

spettrale, la gola del Vajont

s’apre contro la diga

tra le montagne a picco. Qui nella penombra

la piccola folla

ha un solo sguardo, teso. Una cascata

impazzita è il rombo delle macchine

per le strade d’intorno.

 

[da "La valle e periferia (1943-1995)", Edizioni Osiride, Rovereto 2001, p. 96]

 

 

 

 

FU LA SERA IMPROVVISA...

di Margherita Guidacci (1921-1992)

 

Fu la sera improvvisa, non nel corso del tempo.

E non ebbe corteggio di gloria occidentale

Né bandiere di fiamma che ondeggiassero

Sui confini del cielo

Nel lento addio, promessa del ritorno.

 

Fu come se il pugnale di un sicario

Trafiggesse alle spalle il sole inconsapevole.

L'empio tramonto nell'oriente

(Luce mutata in pietra, foglie mutate in piombo,

Acque abbrunate in un immenso lutto)

D'ogni creatura fece statua silente

E dell'aria cinerea

L'opaco specchio del mortale orrore.

 

(da "Le poesie", Le Lettere, Firenze 1999, p. 150)

 

 

 

 

IN TANTO SPRECO DI RESPIRO UMANO

di Nelo Risi (1920-2015)

 

In tanto spreco di respiro umano

in tanti mattoni per gli ultimi piani

in tanta neve spazzata ogni tanto e con tutta la merce

portata dai camion nelle notti di gelo

gli uomini, dentro, resistono bene.

Lavorano dietro i tavoli su sedie di paglia

o affondati in poltrone, hanno anche un orario

qualcosa di caldo per colazione e magari

la macchina poi che li porti a casa.

Tutti hanno un letto. Sono due modi però

di lavorare nella stessa città.

 

[da "Di certe cose (poesie 1953-2005)", Mondadori, Milano 2006, pp. 55-56]

 

 

 

 

GIOVANNA E I BEATLES

di Vittorio Sereni (1913-1983)

 

Nel mutismo domestico nella quiete

pensandosi inascoltata e sola

ridà fiato a quei redivivi.

Lungo una striscia di polvere lasciando

dietro sé schegge di suono

tra pareti stupefatte se ne vanno

in uno sfrigolìo

i beneamati Scarafaggi.

 

Passato col loro il suo momento già?

 

Più volte agli incroci agli scambi della vita

risalito dal niente sotto specie di musica

a sorpresa rispunta un diavolo sottile

un infiltrato portatore di brividi

- e riavvampa di verde una collina

si movimenta un mare -

seduttore immancabile sin quando

non lo sopraffanno e noi con lui altre musiche.

 

(da "Il grande amico. Poesie 1935-1981", Rizzoli, Milano 1990, p. 160)

 

 

 

 

Da "AI TEMPI DI PAPA GIOVANNI"

di David Maria Turoldo (Giuseppe Turoldo, 1916-1992)

 

Sì, io ho creduto fino al punto di ritirarmi nel suo paese, di mettermi a vivere qui, a camminare per queste mulattiere, in mezzo ai suoi vigneti; a guardare dal monte gli spazi e il cielo che lui si era portato con sé per le strade dell'oriente e dell'occidente, fin dalla sua infanzia; qui in mezzo alla sua gente.

  Vivevo allora da solo e dormivo in una torre di mille anni. E da quelle finestrelle guardavo giù tutta la pianura. E dovevo entrare da una porticina piccolissima, cosicché dovevo curvarmi, e ogni volta che uscivo avevo la sensazione di inchinarmi di fronte alla creazione. E godevo di tutte le più piccole cose; e della mia vocazione, e della volontà di donarmi; godevo specialmente a stare con gli umili e coi fanciulli. E ho creduto veramente nella possibilità di un mondo nuovo, o comunque diverso. Speravo che la storia dovesse cambiare. Era il tempo di Kennedy, il tempo di Krusciev. Non so che tempi fossero. Ora mi sembrano una favola. Oppure ci siamo tutti sbagliati?

 

(da "O sensi miei... Poesie 1948-1988", Rizzoli, Milano 2002, p. 359) 

 



domenica 10 marzo 2024

Riviste: "Il Convito"

 Il Convito è il titolo di una preminente rivista letteraria fondata a Roma nel 1895 dal poeta Adolfo De Bosis, che ne fu anche il direttore. Sulle pagine della rivista romana si susseguirono saggi, articoli di vario genere e scritti in prosa o versi di autorevoli intellettuali italiani, tra cui Giovanni Pascoli, Gabriele D’Annunzio, Edoardo Scarfoglio, Giulio Aristide Sartorio e Enrico Panzacchi. Il XII ed ultimo libro del Convito fu pubblicato nel 1907. Ecco, infine, due testi poetici usciti per la prima volta sulla celebre rivista romana. Il primo, si compone di due sonetti dal titolo I notturni, scritti dal fondatore nonché direttore del Convito: Adolfo De Bosis (Ancona 1863 – ivi 1924); nel secondo si riporta il capitolo V del poema Rapsodia lirica di Enrico Nencioni (Firenze 1837 – Ardenza 1896).

 

 


 

 

I NOTTURNI

di Adolfo De Bosis

 

I

Il Tramonto disfiora

sue magiche ghirlande,

lento; e una dolce spande

malinconia per l'ora.

 

Nuotano i Sogni, ancora

naufraghi, a elisie lande?

Ma l'Alma il puro e grande

tuo bacio, o Notte, implora.

 

Ben tu venga, o possente

Notte! L'augusta calma

piovi a le cose, ed elle

 

bevan l'oblio fluente

dal sen tuo vasto, e l'Alma

vigili, con le stelle.

 

II

Quali rive quiete

la nostra anima corse

placida? O questa è forse

la pigra acqua d'un lete?

 

Quali or dunque segrete

virtù piovver da l'Orse

fatali? O chi mai porse

l'onda a l'oscura sete?

 

Notte, ahi me, che improvviso

brivido fuor da l'urna

gelida effondi! e in lente

 

spire l'antico riso

tenue, o Taciturna,

dai lacrimosamente.

 

(da «Il Convito», gennaio 1895)

 

 

 

 

Da "RAPSODIA LIRICA"

di Enrico Nencioni

 

V

Poi dai campi luminosi

scendi a un mistico giardino.

Su la soglia sta la Morte

di cipresso incoronata:

 

sta la Morte che con gelide

immortali mani accoglie

i fantasmi, le memorie

di sepolti odi ed amori;

 

sogni vani, amor defunti,

germi uccisi dalle nevi,

foglie morte, di purpuree

tristi macchie insanguinate;

 

bianche, lievi, ultime rose;

gigli morti tra i capelli

o sul petto a bionde vergini

di sudore estremo madide.

 

Essa a noi le sue marmoree

braccia stende, e al cuor ci chiude:

noi perdiam coscienza ed essere,

noi siam morti nella Morte.

 

Ma sognamo. Come in fondo

all'oceano le verdi alighe,

o le rame dei coralli,

noi sognamo – ma siam morti.

 

Noi sentiamo su le palpebre

sigillate eternamente,

sui due cuor che più non battono,

lievi errar l'ombre dei baci.

 

Noi sognamo ardenti cantici

di purpurei rosignoli,

lune più dei soli splendide,

mari d'oro, e fior di luce.

 

Noi sognamo l'impossibile,

il divino, l'ineffabile,

il gran sogno dei poeti

noi sognamo... ma siam morti!

 

(da «Il Convito», aprile-giugno 1896)

 

domenica 3 marzo 2024

I profumi nella poesia italiana decadente e simbolista

 

I profumi rappresentano qualcosa di estremamente importante nell’ambito del simbolismo letterario (si pensi al capitolo X del romanzo Controcorrente di Joris Karl Huymans). Nei poeti italiani più prossimi all’area simbolista, però, tale importanza non si riscontra, a parte qualche eccezione, rappresentata per esempio da Corrado Govoni, che nelle sue prime raccolte di versi dedica più pagine ai profumi ed alle loro simbologie. Le esalazioni gradevoli che più attraggono le fantasie dei poeti nostrani provengono dai fiori e dai frutti di alcune piante in particolare: viole, violaciocche, gigli, gardenie, corylopsis, tigli, alghe ecc. Questi profumi suscitano pensieri e sentimenti di diverso genere: malinconici, nostalgici, voluttuosi, fantasiosi. Anche l’intensità di tali aromi varia di molto: alcuni sono blandi, e inducono chi li respira ad un quieto riposo; altri sono vigorosi, e caricano di energia coloro che li aspirano. Spesso, i profumi suscitano ricordi infantili, producendo un piacere insolito e inatteso in chi si rammenta di averli già percepiti in tempi lontani e felici. Ma ciò che colpisce in modo più travolgente i sensi dei poeti, deriva da profumi presenti sui corpi di donne - magari un tempo amate dai poeti stessi - che procurano, oltre all’attrazione fisica, dei ricordi soavi e intensi, legati ad amori fortemente passionali, finiti sì, ma ancora ben vivi nella loro mente.

 

 

 

 

Poesie sull’argomento

 

Diego Angeli: "L'odore delle violacciocche" in "L'Oratorio d'Amore" (1904).

Gabriele D'Annunzio: "Romanza" in "L'Isottèo. La Chimera" (1890).

Guido Da Verona: "Profumo dei tigli" in "Il libro del mio sogno errante" (1919).

Luigi Donati. "Lilia" in "Poesia di passione" (1928).

Giacomo Gigli: "Odor di viole" in "Maggiolata" (1904).

Cosimo Giorgieri Contri: "Una fragranza" in «Nuova Antologia», aprile 1906.

Corrado Govoni: "Altare privilegiato" e "Profumi allegorici" in "Le Fiale" (1903).

Corrado Govoni "I profumi" e "L'odore delle gardenie" in "Gli aborti" (1907).

Arturo Graf: "Fragranza" in "Le Danaidi" (1905).

Amalia Guglielminetti: "I profumi" in "Le Seduzioni" (1909).

Giuseppe Lipparini: "Profumo" in "Stati d'animo e altre poesie" (1917).

Remo Mannoni, "Piccoli echi" in «Il Trionfo d'Amore», dicembre 1903.

Enzo Marcellusi: "All'umidor del vespero, tra rasi" in "Il giardino dei supplizi" (1909).

Nicola Moscardelli: "Profumi" in "La Veglia" (1913).

Romolo Quaglino: "Odor di corylopsis" in "I Modi. Anime e Simboli" (1896).

Emanuele Sella: "Il testamento" in "Monteluce" (1909).

Domenico Tumiati: "Profumo amaro" in "Musica antica per chitarra" (1897).

Alessandro Varaldo: "E mentre inseguo folle ed anelante" in "Marine liguri" (1898).

 

 

 

 

Testi

 

 

ROMANZA

di Gabriele D'Annunzio (1863-1938)

 

Il porto ampio s'addorme,

stanco d'uman lavoro:

chiude un molle tesoro

entro il suo seno enorme.

 

Par che ne l'aria salga

un suo possente fiato:

è caldo e profumato

come di frutti e d'alga.

 

Arde qualche fanale,

raro tra la nebbietta:

il chiaror torbo getta

lunghe e péndule scale.

 

Ad ora ad or si leva

un flutto, e su le prore

fa trepido romore

qual d'un gregge che beva.

 

Come crescono i vènti

de la terra, più gravi

li odori e più soavi

e più sottili e ardenti

 

Salgon da' vasti legni

carchi di spezie rare.

E ne l'alba lunare

a noi s'aprono i regni

 

meravigliosi, i liti

cari a 'l Sole, ove amando

vivono e poetando

uomini forti e miti.

 

Da 'l soffio a l'aria effusi

per lunghe onde i profumi,

come celesti fiumi

in un solo confusi,

 

ondeggian su la bruna

congerie de le antenne.

Ed ecco, ne 'l solenne

silenzio de la luna,

 

alzasi un lento coro

da quella selva, informe.

Il porto ampio s'addorme,

stanco d'uman lavoro.

 

(da “L’Isottèo. La Chimera”, Treves, Milano 1906, pp. 212-213)

 

 

 

 

PROFUMO AMARO

di Domenico Tumiati (1874-1943)

 

Sul ciel d'arancio passano lo rondini,

       occhi neri de l'aria.

 

Immobili cipressi le riguardano

       da la via solitaria.

 

I cipressi nei neri occhi s'appuntano

       con desiderio strano.

 

Dice il profumo de le amare coccole:

       desiderare vano.

 

(da "Musica antica per chitarra", Landi, Firenze 1897, p. 34)

 


Musée archéologique départemental de Jublains (Mayenne, France): "fioles à parfum en verre, Jublains"
(da questa pagina web)


domenica 25 febbraio 2024

Antologie: "Le cinque guerre"

 

Le cinque guerre. Poesie e canti italiani è il titolo di un’antologia poetica tutta incentrata sull’argomento bellico. Fu pubblicata in Milano, presso la Nuova Accademia Editrice, nel 1965. I curatori sono Renzo Laurano e Gaetano Salveti (entrambi poeti e presenti con loro versi tra gli antologizzati). Si parte con una presentazione dell’opera da parte di Salvatore Quasimodo, seguita da una introduzione piuttosto lunga scritta da Gaetano Salveti, intitolata Guerra e poesia nello svolgimento del reale. Quindi, inizia la vera e propria parte antologica, che si divide nelle seguenti sezioni:

 

LA GUERRA ITALO-TURCA (1911-1912) E ALTRE POESIE SINO AL 1914.

LA PRIMA GUERRA MONDIALE (1915-1918).

IL PERIODO FASCISTA E LE GUERRE D’AFRICA E DI SPAGNA (1919-1939).

LA SECONDA GUERRA MONDIALE (1940-1943).

LA GUERRA DI LIBERAZIONE E LA RESISTENZA (1943-1945).

CANTI POPOLARI E CANTI DELLE TRINCEE (1911-1945).

 

Come si evince dai titoli delle sezioni e dagli anni indicati all’interno delle parentesi, i versi dei poeti italiani compresi in quest’antologia, trattano delle svariate fasi guerresche che videro coinvolto il nostro paese, più o meno direttamente, nella prima metà del XX secolo. Per chi ben conosce la storia della poesia italiana del Novecento, è facile intuire che in questo ambito, la fanno da protagonisti assoluti tre poeti: Gabriele D’Annunzio, Giuseppe Ungaretti e Salvatore Quasimodo (i primi due vissero direttamente l’esperienza della guerra); sono proprio costoro che scrissero dei versi particolarmente importanti e, in alcuni casi, indimenticabili, che è facile ritrovare in moltissimi libri di scuola di ieri e di oggi. Oltre a loro, in queste pagine compaiono i nomi di poeti più o meno famosi, che scrissero poesie dedicate all’argomento “guerra”; ma, tra di essi, ve ne sono alcuni che si allontanano dalla strada maestra, magari per celebrare un regime che – ai loro tempi – teneva sotto scacco la nazione italiana e veniva esaltato da molti intellettuali non sempre sinceri. C’è anche chi descrive determinate atmosfere che si respirano nei periodi di guerra, nettamente percepiti al di là del fatto che si partecipi direttamente al combattimento. Sono presenti tanti poeti, diversissimi tra loro per scuole e tendenze, accomunati da un evento che, comunque la si pensi, quando accade coinvolge tutti, anche se in modalità diverse. Meno interessante, a mio avviso, è l’ultima sezione del libro, che riporta i testi dei canti guerreschi più famosi, rientranti sempre e comunque nel periodo che va, all’incirca, dal 1911 al 1945, ovvero dalla fine della Belle Epoque, alla fine della 2° Guerra Mondiale. Ecco, per chiudere, tutti i nomi dei poeti presenti in questa antologia (rimangono esclusi dall’elenco gli autori dei testi delle canzoni).

 




Le cinque guerre. Poesie e canti italiani 

Gabriele D’Annunzio, Giovanni Pascoli, Luciano Folgore, Nicola Moscardelli, Giuseppe Ungaretti, Scipio Slataper, Piero Jahier, Giovanni Papini, Corrado Alvaro, Vittorio Locchi, Giulio Barni, Sem Benelli, Ardengo Soffici, Massimo Bontempelli, Francesco Meriano, Angiolo Silvio Novaro, Diego Valeri, Giovanni Bertacchi, Umberto Saba, Clemente Rebora, Eugenio Montale, Ada Negri, Fausto Maria Martini, Vann’Antò, Filippo Tommaso Marinetti, Dino Campana, Luciano Nicastro, Curzio Malaparte, Vincenzo Cardarelli, Renzo Laurano, Antonio Miclavio, Sebastiano Carta, Auro d’Alba, Corrado Govoni, Umberto Olobardi, Berto Ricci, Giuseppe Valentini, Diego Calcagno, Adriano Grande, Emilio Buccafusca, Amedeo Belloni, Elio Bravetta,Ugo Betti, Davide Lajolo, Giovanni Acquaviva, Farfa, Alfonso Gatto, Leonardo Sinisgalli, Enrico Cardile, Piero Bellanova, Raffaele Carrieri, Giuseppe Ravegnani, Guglielmo Petroni, Vittorio Sereni, Mario Gorini, Nelo Risi, Gaetano Salveti, Luciano Luisi, Elio Filippo Accrocca, Marcello Camilucci, Carlo Martini, Roberto Rebora, Mario Farinella, Eraldo Miscia, Egizio Configliacco, Gaetano Arcangeli, Bartolo Pento, Gian Piero Bona, Cesare Vivaldi, Luigi Fiorentino, Giancarlo Marmori, Giuliano Gramigna, Alberico Sala, Fiore Torrisi, Ennio Contini, Luigi Capelli, Bruno Lucrezi, Carlo Galasso, Salvatore Quasimodo, Aldo Palazzeschi, Franco Fortini, Pier Paolo Pasolini, Carlo Betocchi, Libero De Libero, Mario Tobino, Alberto Frattini, Sergio Solmi, Attilio Bertolucci, Cesare Pavese, Giovanni Arpino, Giovanni Titta Rosa, Umberto Bellintani, Mario Cerroni, Franco Matacotta, Giorgio Caproni, Tommaso Giglio, Alberto Mario Moriconi, Giorgio Bàrberi Squarotti, Alfredo De Palchi, Roberto Sanesi, Lorenzo Vota, Egidio Meneghetti, Lino Curci.

 

domenica 18 febbraio 2024

Poeti dimenticati: Giuseppe Albini

 

Nacque a Bologna nel 1863 e ivi morì nel 1933. Fu allievo di Giosuè Carducci e ben presto divenne insegnate universitario a Bologna, dove, dal 1898 tenne la cattedra di grammatica latina e greca. Dal 1924 fu ordinato senatore del Regno. Scrisse poesie fin dall’infanzia, sia in lingua italiana che in latino; fu ottimo traduttore, in particolare di Virgilio, di cui curò l’Opera omnia. Limitandoci ad un breve commento della sua produzione poetica in italiano, si può affermare che Albini rimase sempre un carducciano e, comunque, un poeta strettamente legato ad un fare poetico prettamente ottocentesco.

 

 

 

Opere poetiche

 

“Poesie varie”, Zanichelli, Bologna 1887.

“Liriche (1887-1893)”, Loescher, Torino-Roma 1894.

“Poesie”, Zanichelli, Bologna 1901.

 

 


 

Presenze in antologie

 

"Dai nostri poeti viventi", 3° edizione, a cura di Eugenia Levi, Lumachi, Firenze 1903 (pp. 14-15).

 

 

 

Testi

 

QUARTETTO

 

Scote il quartetto di Mozàrt le corde

Armoniose dei cavati legni:

Il suon s'effonde, né profana morde

Cura già più gli ammaliati ingegni.

 

E tu pure, o Gentil, non lungi siedi,

A le degne di te note beata;

Ma la linea purissima non vedi

Di tua pallida guancia delicata;

 

Che un marmo pare de la dotta Atene,

Se non che su da l'anima amorosa

Spesso una fiamma a colorarla viene,

Come i baci del sole un fior di rosa.

 

Odo e veggo: la sorte, aspra talora,

Gemina fonte di piacer mi schiude,

Ond'io raccolgo a delibar quest'ora.

Quanta è ne l'alma mia, forza e virtude.

 

Tale il greco nocchier, a cui possente

Inno giungeva su pel mar sicano,

Stava, teso l'orecchio, immobilmente

Pendulo il remo da la lenta mano.

 

     Gennaio 1887.

 

(da "Poesie varie", Zanichelli, Bologna 1887, pp. 82-83)

 

 

 

 

Da "TRAMONTI"

 

II.

Il giorno cade, un di que' giorni d'oro,

Ch'è rammarico a l'uom d'esser mortale:

Innanzi al Palatino imperiale

Porporeggia il novissimo decoro;

 

E le colonne memori dal Foro

Guardano ancor per la Via Trionfale:

Romita intanto il Campidoglio sale,

E di sua venustà non chiede alloro,

 

Una dama e dilegua. Il giorno cade,

E lentamente l'inamabil velo

Gli augusti spazi e le reliquie invade.

 

Tale da antico l'uom, intento, anelo,

Vedea fuggirsi per le lievi strade

Il sol nel mare e la bellezza in cielo.

 

(da "Poesie", Zanichelli, Bologna 1901, p. 8)