domenica 10 marzo 2024

Riviste: "Il Convito"

 Il Convito è il titolo di una preminente rivista letteraria fondata a Roma nel 1895 dal poeta Adolfo De Bosis, che ne fu anche il direttore. Sulle pagine della rivista romana si susseguirono saggi, articoli di vario genere e scritti in prosa o versi di autorevoli intellettuali italiani, tra cui Giovanni Pascoli, Gabriele D’Annunzio, Edoardo Scarfoglio, Giulio Aristide Sartorio e Enrico Panzacchi. Il XII ed ultimo libro del Convito fu pubblicato nel 1907. Ecco, infine, due testi poetici usciti per la prima volta sulla celebre rivista romana. Il primo, si compone di due sonetti dal titolo I notturni, scritti dal fondatore nonché direttore del Convito: Adolfo De Bosis (Ancona 1863 – ivi 1924); nel secondo si riporta il capitolo V del poema Rapsodia lirica di Enrico Nencioni (Firenze 1837 – Ardenza 1896).

 

 


 

 

I NOTTURNI

di Adolfo De Bosis

 

I

Il Tramonto disfiora

sue magiche ghirlande,

lento; e una dolce spande

malinconia per l'ora.

 

Nuotano i Sogni, ancora

naufraghi, a elisie lande?

Ma l'Alma il puro e grande

tuo bacio, o Notte, implora.

 

Ben tu venga, o possente

Notte! L'augusta calma

piovi a le cose, ed elle

 

bevan l'oblio fluente

dal sen tuo vasto, e l'Alma

vigili, con le stelle.

 

II

Quali rive quiete

la nostra anima corse

placida? O questa è forse

la pigra acqua d'un lete?

 

Quali or dunque segrete

virtù piovver da l'Orse

fatali? O chi mai porse

l'onda a l'oscura sete?

 

Notte, ahi me, che improvviso

brivido fuor da l'urna

gelida effondi! e in lente

 

spire l'antico riso

tenue, o Taciturna,

dai lacrimosamente.

 

(da «Il Convito», gennaio 1895)

 

 

 

 

Da "RAPSODIA LIRICA"

di Enrico Nencioni

 

V

Poi dai campi luminosi

scendi a un mistico giardino.

Su la soglia sta la Morte

di cipresso incoronata:

 

sta la Morte che con gelide

immortali mani accoglie

i fantasmi, le memorie

di sepolti odi ed amori;

 

sogni vani, amor defunti,

germi uccisi dalle nevi,

foglie morte, di purpuree

tristi macchie insanguinate;

 

bianche, lievi, ultime rose;

gigli morti tra i capelli

o sul petto a bionde vergini

di sudore estremo madide.

 

Essa a noi le sue marmoree

braccia stende, e al cuor ci chiude:

noi perdiam coscienza ed essere,

noi siam morti nella Morte.

 

Ma sognamo. Come in fondo

all'oceano le verdi alighe,

o le rame dei coralli,

noi sognamo – ma siam morti.

 

Noi sentiamo su le palpebre

sigillate eternamente,

sui due cuor che più non battono,

lievi errar l'ombre dei baci.

 

Noi sognamo ardenti cantici

di purpurei rosignoli,

lune più dei soli splendide,

mari d'oro, e fior di luce.

 

Noi sognamo l'impossibile,

il divino, l'ineffabile,

il gran sogno dei poeti

noi sognamo... ma siam morti!

 

(da «Il Convito», aprile-giugno 1896)

 

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