Scampoli di letteratura dell'Ottocento e del Novecento, poeti dimenticati, vecchie antologie e altro ancora.
mercoledì 8 agosto 2012
Poeti dimenticati: Alessandro Benedetti
Presenze in antologie
"Neoidealismo e rinascenza latina tra Ottocento e Novecento", a cura di Angela Ida Villa, LED, Milano 1999 (pp. 579-584).
Testi
IL PARCO
Amica dolce, è così triste il parco
or che l'Autunno pianse tutti i pianti,
e un po' di mare sotto i tuoi stellanti
occhi fiorì languidamente in arco.
Amica piangi: sovra il noto varco
i nostri sogni che ben sai cotanti
ingroppano le nubi galoppanti,
e nostro andare è d'ogni pena carco.
Vedi: gli alberi tendono le braccia,
contorte sì come groppo di bisce,
e via pe' cieli giostran le chimere
folli, avide del vento alla minaccia,
sorridendo agli ontani che intristisce,
un tenero desìo di Primavere.
(Dal "Giornale d'Arte", 18 giugno 1904)
martedì 7 agosto 2012
Da "Feria d'agosto" di Cesare Pavese
Nessun bambino ha coscienza di vivere in un mondo mitico. Ciò s’accompagna all’altro noto fatto che nessun bambino sa nulla del «paradiso infantile» a cui a suo tempo l’uomo s’accorgerà d’esser vissuto. La ragione è che negli anni mitici il bambino ha assai di meglio da fare che dare un nome al suo stato. Gli tocca vivere questo stato e conoscere il mondo. Ora, da bambini il mondo si impara a conoscerlo non - come parrebbe - con immediato e originario contatto alle cose, ma attraverso i segni di queste: parole, vignette, racconti. Se si risale un qualunque momento di commozione estatica davanti a qualcosa del mondo, si trova che ci commoviamo perché ci siamo già commossi; e ci siamo già commossi perché un giorno qualcosa ci apparve trasfigurato, staccato dal resto, per una parola, una favola, una fantasia che vi si riferiva e lo conteneva. Al bambino questo segno si fa simbolo, perché naturalmente a quel tempo la fantasia gli giunge come realtà, come conoscenza oggettiva e non come invenzione.
Bellissimo frammento che ho tratto dal volume Feria d’agosto di Cesare Pavese (Santo Stefano Belbo 1908 – Torno 1950), in cui lo scrittore piemontese descrive, in modo ineccepibile, i sentimenti, i pensieri, le emozioni e le fantasie dell’età infantile; è un modo del tutto personale d’intendere e d’interpretare questo meraviglioso periodo della vita degli esseri umani, in cui mi è riuscito facile essere d’accordo, ripensando io stesso a quella che considero di gran lunga la parte più bella della vita: la fanciullezza. Ma Feria d’agosto non si concentra soltanto su questo argomento, che viene trattato nel capitolo Del mito, del simbolo ed altro: in questo memorabile libro, pubblicato per la prima volta nel 1946, si possono leggere racconti e prose di altro genere, altrettanto interessanti; è, insomma, una delle opere in prosa più significative di Pavese: uno dei nostri miglior scrittori del Novecento.
domenica 29 luglio 2012
Il caldo nella poesia italiana decadente e simbolista
Poesie sull'argomento
Diego Angeli: "Sogno di un pomeriggio di estate" in "L'Oratorio d'Amore" (1904).
Fausto M. Bongioanni: "Al Sangone" in "Venti poesie" (1924).
Giovanni Camerana: "Canicola" in "Poesie" (1968).
Giovanni Alfredo Cesareo: "Calmeria di scirocco" in "Le consolatrici" (1905).
Federico De Maria: "Camino" in "La Ritornata" (1932).
Augusto Ferrero: "Meriggio di luglio" in "Nostalgie d'amore" (1893).
Corrado Govoni: "Afa" in "Poesie elettriche" (1911).
Giuseppe Lipparini: "Hesperos" in "Le foglie dell'alloro. Poesie (1898-1913)" (1916).
Tito Marrone: "La Stufa" in "Le Gemme e gli Spettri" (1901).
Nino Oxilia: "Batte sull'aia brillando il fulgido" e "Posa il meriggio..." in "Canti brevi" (1909).
Nino Oxilia: "Il canto dell'ira" in "Gli orti" (1918).
Guido Ruberti: "Nubila" in "Le fiaccole" (1905).
Camillo Sbarbaro: "Afa di luglio il canto che non varia" in "Resine" (1911).
Domenico Tumiati: "Calore precoce" in "Musica antica per chitarra" (1897).
Carlo Vallini: "Agosto, la vertigine solare" in "La rinunzia" (1907).
Testi
CALORE PRECOCE
di Domenico Tumiati
. . . . . . . . . . . . .
L'olezzo violento
dei tuberosi viene,
e percuote le vene
lungo serpeggiamento:
quale ricordo spento
d'un'estate lontana;
d'afa meridiana
torpido spossamento,
quale corsa sfrenata
senza sapere dove,
mentre il sudore piove
da la guancia infocata.
(Da "Musica antica per chitarra")
venerdì 27 luglio 2012
A proposito di alcuni poeti dimenticati
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Guelfo Civinini |
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Cosimo Giorgieri Contri |
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Luisa Giaconi |
giovedì 26 luglio 2012
"Dal vivere" di Gaetano Arcangeli
mercoledì 25 luglio 2012
[La terra sogna l'ultime farfalle]
prima di risvegliarsi autunnalmente
dai veli del suo sonno trasparente
ammassati nel cavo della valle.
Volano, insieme con le foglie gialle,
sui prati, ove l'erbette macilente
s'estènuano in un soffio ond'ella sente
crescere, in ombra, funghi, muschi e galle.
Battono l'ali pavide, al riparo
delle fratte, palpandovi di fuga
fiori non più, ma qualche sterpo amaro.
Umida luce ombreggia di viola
la terra in dormiveglia, che si ruga
già del risveglio che nell'aria vola.
Una poesia di Arturo Onofri (1885-1928), tratta dall'ultima raccolta pubblicata dal poeta romano prima di morire: "Vincere il drago!" (1928). I versi si addicono molto al periodo dell'anno quando l'estate offre le sue ultime giornate miti; la terra è qui considerata come un organismo vivente che si addormenta e sogna le "ultime farfalle" per poi risvegliarsi quando è ormai autunno. Bellissima l'immagine dei lepidotteri che volano insieme alle foglie gialle staccatesi dagli alberi, magari per un colpo di vento, e che scendono sui prati dove compaiono, insieme alle erbette già secche per la lunga siccità estiva, i primi segni autunnali rappresentati da funghi (galle) e da piante (muschi).
domenica 22 luglio 2012
Lo spaventapasseri
Che tenerezza m’infonde la visione degli spaventapasseri! Questi pupazzi che si trovano, spesso, in mezzo a dei campi coltivati, sempre soli e sempre in piedi, sempre zitti e sempre dritti, con le braccia allargate e con quei loro volti così buffi…
Restano immobili sempre e comunque, con il cappellaccio squarciato, che se tira un po’ di vento gli cade in terra; coi loro stracci: una maglia sfibrata e logora oppure una giacca ammuffita, dei pantaloni stravecchi e, nel migliore dei casi, con un fazzoletto dai colori sfolgoranti al collo. Se ne stanno lì, a fare la guardia, a proteggere il campo seminato dagli uccelli affamati.
E poi piove, a volte nevica addirittura, ma loro non si muovono: non abbandonano il campo, fedelissimi al compito che gli è stato assegnato. E anche quando, ormai, gli uccelli si avvicinano a loro sempre di più, e non li temono ma quasi li sbeffeggiano, non demordono dal loro lavoro.
Ciao, poveri spaventapasseri, creati dagli esseri umani per sostituirli, per fare ciò che a loro scoccerebbe, non gli somigliate per nulla agli uomini, e non fate paura a nessuno; siete soltanto dei cenciosi pupazzi capaci d’ispirare una grande simpatia ed una enorme tenerezza!
che indossa vestiti
poveri, vecchi e brutti
è in mezzo ad un campo.
Non dice parole,
non piange e non ride,
è sempre all'impiedi
e non dorme mai.
Ha le braccia aperte
ogni notte e ogni dì,
guarda sempre davanti
l'orizzonte lontano.
Gli uccelli temendolo
distanti si aggirano
da quello stranissimo
orribil tipaccio.
Ma poi piano piano
si fanno coraggio
giungendo a due passi
dal mite spauracchio.
Poi il più coraggioso
gli vola sul capo
posandosi proprio
sul suo cappellaccio;
nessuna reazione
quel losco figuro,
quel tristo individuo
si prova a mostrare.
Allora altri uccelli
trovato il coraggio
raggiungono il primo
spavaldo compagno.
E In pochi minuti
quel bravo guardiano
si trova coperto
da cento animali,
ben presto per questo
sarà eliminato,
avendo fallito
la grande missione
cui egli, paziente,
serioso e preciso
si è dedicato
con tutte le forze.
Ma, ahimè, tutto ciò
a nulla gli valse
e infin, tristemente
sparire dovrà.