venerdì 6 aprile 2012

A San Lorenzo in Lucina


Solo con Cristo nella chiesa vuota
e scura di San Lorenzo in Lucina.
Appesa sulla croce la divina
immagine del dolore umano esprime
e compatisce la mia stessa pena

e la mia crocifissa solitudine
che questa sera sanguina più sola,
più sconsolata e schiaffeggiata e affranta.
 
 








Intensissima poesia di Giorgio Vigolo (1894-1983) che esprime un profondo senso di tristezza e solitudine provato dal poeta in un momento assai difficile. Quando si rifugia (forse per dire una preghiera) in una chiesa romana, vi trova un dipinto raffigurante il Cristo in croce; subito si compie una immedesimazione tra il poeta e Gesù, entrambi in uno stato di sofferenza atroce: mentale per il primo e fisica per il secondo. Particolarmente significative sono le espressioni usate da Vigolo quando parla di una "crocifissa solitudine" che "sanguina più sola".
"A San Lorenzo in Lucina" è una poesia di Giorgio Vigolo presente nel volume "Poesie religiose e altre inedite", uscito presso Aracne Editrice in Roma nel 2001.

Poi fu la luce immensa

E allora il Cristo salì al Calvario
piangendo piangendo senza un grido,
e una folla immensa lo seguiva
silenziosa di calzolai,

e di vecchie filatrici
lavandaie e cenciosi
sciancati,
vecchi e bambini e cani
capo basso, e povere meretrici
colle carni a brandelli. E sciancati ancora.

E cani e pecore. Randagi. E cani e pecore.
E tutta una folla immensa e silenziosa,
piangendo piangendo senza un grido,
grigia, senza termine, curva.
E avanti le schiere metalliche dei soldati,
a tre a tre, sino a che non si giunse al sommo
del Calvario, sinché non si giunse
al sommo del monte,
oggi, domani, per secoli di secoli
piangendo piangendo.
...

 
Grande poesia di Umberto Bellintani che descrive la Via Crucis di Gesù in chiave sociale. Il Cristo è un uomo triste che soffre e piange per l'umanità vilipesa. Mentre sale verso il Calvario, dietro di lui si forma una folla immensa di esseri umani e di animali, accomunata dal dolore e dalla sofferenza, rappresentata principalmente da poveri, umili lavoratori, portatori di handicap. Tra gli animali si nominano i cani e le pecore, ovvero quelli più propensi a fidarsi dell'uomo e che simboleggiano la fedeltà e la mansuetudine. Vi si trovano, identificabili come parte più debole del genere umano, anche i vecchi, i bambini e le donne; quest'ultime rappresentate principalmente dalle prostitute con la pelle ormai consumata e quindi in condizioni pietose. La folla che segue il Cristo è interminabile, perché tale è la quantità di esseri viventi che si sono trovati in una situazione di dolore e di sofferenza profonda e interminabile. Il colore grigio della folla stessa sta a simboleggiare questo stato di tristezza perenne; il capo basso e lo stare curvi, oltre che la sudditanza verso coloro i quali tengono in scacco questi poveri esseri (nella poesia possono essere identificabili nelle "schiere metalliche dei soldati"), indica la loro infinita umiltà. La scena della Via Crucis si è ripetuta per millenni, e si ripete, e si ripeterà per millenni ancora, perché i poveri sono sempre poveri, perché a sofferenza si aggiunge ogni anno sofferenza e a dolore si aggiunge dolore. Così Gesù continuerà per un tempo infinito a salire verso il Calvario piangendo, seguito da un numero sempre maggiore di anime tristi. Il titolo sembra però indicare la fine dell'interminabile tunnel: quella luce immensa che, dopo la fine della vita sulla Terra, annuncerà il Regno dei Cieli, dove, come ha detto Gesù nelle "Beatitudini", chi ha più sofferto troverà la sua contropartita.
La poesia "Poi fu la luce immensa" fa parte della raccolta "E tu che m'ascolti" (1963), che è stata riproposta per intero da Bellintani in un volume uscito pochi anni prima della sua morte, intitolato "Nella grande pianura" (1998).

giovedì 5 aprile 2012

Da "Notturno" di Gabriele D'Annunzio

È il giovedì santo.
Una giornata torbida. Spio le vicissitudini della luce nello specchio di contro.
Una nuvola passa. Una nuvola si dirada in boccoli come un vello tra le mani di uno scardassatore.
Il sole vien meno, e pare che tutto si freddi. Lo specchio si congela come una pozza quadrangolare.
Sotto le lane la mia pelle rabbrividisce.
Il silenzio ha la qualità del silenzio antelucano.
I campanili non hanno più voce. I bronzi, affaticati dalle vibrazioni, riposano con la bocca in giù piena d'ombra. Le corde penzolano lisciate e unte in due luoghi dalle pugna del campanaio.
Quanta tristezza sparsero su ogni ora dei miei giorni passati!
Tuttavia questo silenzio insolito non mi dà pace. La tristezza non mi viene più per l'aria, non più mi viene dall'alto. Oggi è accosciata ai miei piedi, senz'ali. Dorme, e nel sonno sussulta.

(Da "Notturno" di Gabriele D'Annunzio, Treves, Milano 1921, pp. 448-449)

mercoledì 4 aprile 2012

I sepolcri

Ardono i ceri al piede dell'altare
nelle tenebre gravi, umide, intente,
dove pur s'ode continuamente
frusciare, sgonnellare, stacchettare.

Il sol muore. Oh! non qui venni a pregare
quel nuovo Dio tra i ceri sanguinente;
io, salutando il Dio di nostra gente,
tendo le braccia all'infinito mare:

dove la vampa del suo rogo annera
fumando e il vento piange, e lo seconda
l'ululo d'accorrenti onde marine.

Stelle tu versi ad una ad una, o Sera.
Largo il pianto rampolla a la profonda
Sera, disfavillando senza fine.
 

 
Questo sonetto di Giovanni Pascoli fa parte del volume "Poesie varie", pubblicato postumo a cura della sorella del poeta, Maria, nel 1912, per le edizioni della Zanichelli. Inizialmente inserito nella prima edizione di "Myricae" (1891), ne fu escluso dal Pascoli nelle successive, compresa la definitiva. A tal proposito, è interessante leggere la nota presente in "Poesie varie", che fornisce altri dettagli sconosciuti riguardo all'origine del componimento che porta in calce la data: "Massa, 1885".

«È l'eco di una visita fatta con le sorelle alla chiesa dei cappuccini a Massa nel giovedì santo. Fu stampato in una Strenna, poi nella prima ediz. di Myricae. In seguito lo tralasciò per quel saporetto pagano contrario al suo sentimento».
(Da: "Poesie" di Giovanni Pascoli, volume quarto, Mondadori, Milano 1998, p. 158)

martedì 3 aprile 2012

Antologie: "Pasqua dei poeti"

"Pasqua dei poeti" è il titolo di un'antologia poetica curata da Giovanni Battista Gandolfo e da Luisa Vassallo e pubblicata dal'editrice Àncora di Milano nel 2003. L'opera, come si legge alla pagina 5, è dedicata a Giovanni Paolo II. È un libro molto interessante, perché vi compaiono ben 67 poeti del XX secolo più o meno noti, molto diversi tra loro per età e tipicità. Si possono leggere versi di Giovanni Pascoli e di Dario Bellezza, di Vittoria Aganoor e di Alda Merini (ma vi figurano anche quelli dei due curatori), tutti aventi a che fare con la santa Pasqua, o comunque col periodo della Settimana santa. Si nota anche una imparzialità nello spazio dedicato a ciascun poeta (ognuno può contare su un minimo di due pagine ed un massimo di tre) che viene presentato sempre in relazione all'argomento portante del libro, con brevi considerazioni sui testi poetici scelti. Ecco l'elenco completo dei poeti presenti in "Pasqua dei poeti".
 


Giovanni A. Abbo, Vittoria Aganoor Pompilj, Cesare Angelini, Angelo Barile, Renzo Barsacchi, Divo Barsotti, Dario Bellezza, Carlo Betocchi, Casimiro Bettelli, Elena Bono, Marcello Camilucci, Cristina Campo, Giuseppe Cassinelli, Giuseppe Centore, Italo Alighiero Chiusano, Girolamo Comi, Giuseppe Conte, Sergio Corazzini, Antonio Corsaro, Giovanni Costantini, Giovanni Cristini, Gherardo Del Colle, Maura Del Serra, Gigi Dessì, Danilo Dolci, Donata Doni, Enzo Fabiani, Elio Fiore, Giovanni Battista Gandolfo, Luca Ghiselli, Giovanni Giudici, Domenico Giuliotti, Corrado Govoni, Guido Gozzano, Margherita Guidacci, Marco Guzzi, Primo Levi, Mario Luzi, Biagia Marniti, Umberto Marvardi, Eugenio Mazzarella, Alda Merini, Eugenio Montale, Marino Moretti, Angelo Mundula, Roberto Mussapi, Ada Negri, Aldo Palazzeschi, Giovanni Papini, Giovanni Pascoli, Pier Paolo Pasolini, Marino Piazzolla, Lucio Piccolo, Antonia Pozzi, Rodolfo Quadrelli, Salvatore Quasimodo, Clemente Rebora, Nelo Risi, Giulio Salvadori, Rocco Scotellaro, Leonardo Sinisgalli, Giovanni Testori, Maria Barbara Tosatti, David Maria Turoldo, Giuseppe Ungaretti, Luisa Vassallo, Andrea Zanzotto.


domenica 1 aprile 2012

Primavera

Sotto la fuga leggera del vento
s'apre il ventaglio del mandorlo bianco.
Alto sta un cielo di rosa e d'argento.
Ma il cuore è stanco.



Questa lirica è presente nel volume ricapitolativo "Poesie" di Diego Valeri (1887-1976) e appartiene alla "Seconda parte" (1930-1950), ovvero alla fase della tarda maturità del poeta veneto. Poesia di stampo tradizionale (si nota la presenza delle rime), questa quartina del Valeri mostra grande maestria e un ritmo ben costruito. I primi tre versi si riferiscono alla descrizione di due immagini atte a rimarcare la bellezza della natura in primavera: il vento che agita il mandorlo in fiore (bianco) facendolo assomigliare ad un ventaglio e il cielo dai colori inusuali e affascinanti: rosa e argento. L'ultimo verso è decisamente staccato dal contesto iniziale ed esprime la stanchezza, dovuta probabilmente all'età, ma non è escluso che si tratti di una disaffezione del poeta alle manifestazioni della natura che una volta suscitavano in lui grande entusiasmo e che, col passare del tempo, sono avvertite come abituali e ripetitive.

sabato 31 marzo 2012

La Domenica delle Palme in versi

La Domenica delle Palme precede di una settimana la santa Pasqua. In tale giorno i cattolici ricordano l'ingresso di Gesù a Gerusalemme in occasione della sua ultima pasqua; occasione in cui il figlio di Dio fu accolto trionfalmente dalla popolazione, che, mentre lo vedeva passare per le strade in sella ad un asinello, agitava dei rami di palma e di ulivo gridando: «Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Benedetto il regno del padre nostro Davide, che viene! Osanna nel più alto dei cieli!» (dal Vangelo secondo Giovanni: 11, 9-10). È ormai conosciuta un po' da tutti l'usanza, o meglio il rito, della benedizione, da parte dei sacerdoti, dei rami di palma e di ulivo, che avviene proprio durante la Domenica delle Palme; dopo la benedizione e la messa i fedeli possono ricevere e portare nelle loro abitazioni i rami suddetti che fungono da simbolo di pace e sono spesso appesi alle pareti delle stanze da letto.
Alcuni poeti italiani, tra la fine dell'Ottocento e la fase iniziale del Novecento, hanno scritto delle poesie dedicate a tale ricorrenza. Ho scelto tre poesie che ben rappresentano l'evento religioso, una volta decisamente più sentito dalla popolazione, che era molto legata alle tradizioni ed alle liturgie cristiane. La prima, di Giovanni Pascoli, è un madrigale che fa parte della raccolta "Myricae" e nasce da un proverbio popolare: «La domenica dell'ulivo ogni uccello fa il suo nido»; da qui la descrizione che ne scaturisce, di uccelli che, proprio durante la Domenica delle Palme, si industriano nel costruire i loro nidi fatti di foglie secche, radiche e fuscelli.
La seconda poesia è di Marino Moretti, appartiene al volume "Poesie scritte col lapis" e trae spunto dal tradizionale ramoscello d'ulivo, portato in casa dalla madre del poeta, per sviluppare la sua visione grigia (come il colore delle foglie d'ulivo) e malinconica dell'esistenza, pienamente conforme al crepuscolarismo, di cui il Moretti fu un importante esponente.
L'ultima poesia è di Pietro Mastri ed è inclusa nella raccolta "La via delle stelle". In questi versi il poeta, già anziano, sembra instaurare un colloquio esortativo con sè stesso, incoraggiandosi ad andare in chiesa nel giorno in cui si distribuiscono i rami benedetti, e di portarne a casa alcuni per i suoi famigliari più stretti (la moglie e il figlio), continuando così la consuetudine cristiana imparata dai suoi genitori.
 


LA DOMENICA DELL'ULIVO
di Giovanni Pascoli

Hanno compiuto in questo dì gli uccelli
il nido (oggi è la festa dell'ulivo)
di foglie secche, radiche, fuscelli;

quel sul cipresso, questo su l'alloro,
al bosco, lungo il chioccolo d'un rivo,
nell'ombra mossa d'un tremolìo d'oro.

E covano sul musco e sul lichene
fissando muti il cielo cristallino,
con improvvisi palpiti, se viene
un ronzio d'ape, un vol di maggiolino.

 



LA DOMENICA DELLE PALME
di Marino Moretti

Chinar la testa che vale?
E che val nova fermezza?
Io sento in me la stanchezza
del giorno domenicale,

mentre la madre mia buona
entra con passo furtivo
nella mia stanza e mi dona
un ramoscello d'ulivo...

E se'n va. Tutto quello
ch'ella vuol dirmi lo dice
a questo suo ramoscello
che adornerà una cornice:

adornerà la cornice
dorata a capo del letto
l'ulivo ch'è benedetto,
l'ulivo che benedice;

porterà pace e abbondanza
nelle casette più sole,
rallegrerà un po' la stanza
dell'infermo, senza sole,

ricorderà poi con tanta
fede l'ingresso solenne
di Cristo a Gerusalemme
nella domenica santa!...

Ulivo, e a me che dirai?
Le stesse cose anche tu?
se una parola: giammai,
se due parole: mai più?

Nulla tu doni al mio cuore
che lo consoli un istante,
ed il mio sguardo tremante
non vede in te che un colore:

il color triste di tutto
il mondo che non à sole
e piange tacito e vuole
vestirsi di mezzo lutto;

il colore della noia
e dei fior di bugia,
il colore della mia
giovinezza senza gioia;

il colore del passato
che ritorna ben vestito,
il color dell'infinito
e di ciò che non è stato;

il color triste dell'ore
così lente a venir giù
dai lor numeri, il colore
che non è colore più!
 
 
 
L'OLIVO BENEDETTO
di Pietro Mastri

Lo sai, che su tutti gli altari,
oggi benedicon l'olivo?...
Domenica dell'olivo:
domenica di pace!
Andiamo, vecchio: entriamo.
La chiesa è pe' tuoi pari;
che lì, se non altro, si tace...
Chiedine un piccolo ramo,
di quell'olivo di pace:
portalo a casa con te.
È ancora umido e vivo
come una fronda novella;
pieghevole come un giunco;
fresco così che le foglie
odorano a troncarle;
odorano più che alle nari,
d'amarognolo, al palato,
come l'olio appena torchiato.
Chi sa da quale adunco
pennato fu còlto stamani!
Chi sa da quali mani,
leggère alle cose leggère
e alle pesanti dure,
fu posto in quel paniere
medesimo, dove si bruca
la nera bacca!... Era di primo giorno
forse; e perciò, vedi?, conserva ancora
su di sé quel pallore
d'alba - allorché la luna mattutina
vanisce nel cielo di perla
come una festuca
incenerita, e ogni stella
si spegne in un pianto di brina...

Portalo teco, sul cuore;
portalo con sereno ciglio.
Danne una ciocca a tua moglie
e una ciocca a tuo figlio.

Fa come un tempo la madre
tua, benedetta!, faceva con te.