Ogni sera Ugo
ricominciava l'identico itinerario, seguendo i canali, con un'andatura
indecisa, già un po' curvo, benché non avesse che quarant'anni. Ma la vedovanza
era stata per lui un autunno precoce. Aveva i capelli pieni di una cenere
grigia, era stempiato. Con gli occhi appassiti guardava lontano, molto lontano,
al di là della vita.
E come era triste
anche Bruges, in quel morire del pomeriggio! e come gli piaceva così! L'aveva
scelta appunto grazie alla sua tristezza; per quello ci si era stabilito dopo
il grande disastro. Una volta, nei tempi della felicità, quando viaggiava con
la moglie e vivevano una vita capricciosa, un pochino cosmopolita, a Parigi,
all'estero, in riva al mare, c'era venuto con lei, così, passando, senza che
quella grande malinconia potesse qualche cosa sulla loro gioia. Ma poi, rimasto
solo, s'era ricordato di Bruges, e di colpo aveva avuto l'intuizione che ormai
era lì che doveva stabilirsi. Era una misteriosa equazione che s'imponeva: alla
sposa morta doveva corrispondere una città morta. Il suo grande lutto esigeva
un simile scenario: soltanto lì avrebbe potuto tollerare la vita. C'era venuto
portato da un istinto. Che fuori di lì il mondo si agitasse e facesse rumore e
accendesse le sue luminarie, intrecciasse i suoi mille fragori: egli aveva
bisogno di un infinito silenzio e d'una esistenza talmente monotona che quasi
non gli desse più la sensazione di vivere.
È, quello sopra
riportato, un frammento del romanzo di George Rodenbach (Tournai 1855 - Parigi
1898) intitolato Bruges la morta (Bruges-la-morte, 1892), tradotto e pubblicato
per la prima volta in Italia nel 1907, riproposto con una nuova traduzione nel
1955 (anniversario dei cento anni dalla nascita dello scrittore belga), nella celebre
collana B. U. R. della casa editrice Rizzoli di Milano. Precisamente, si tratta
della prima pagina del capitolo II. Questo romanzo è da annoverare tra i
migliori del periodo decadente e simbolista della letteratura europea. Rodenbach,
conosciuto soprattutto come poeta, creò questo capolavoro grazie al suo amore
per la città di Bruges, che ebbe il merito di trasmettere a molte generazioni,
comprese quelle dei nostri poeti crepuscolari come Fausto Maria Martini (che fu
il primo a tradurre il libro nella nostra lingua), Marino Moretti e Corrado
Govoni. A proposito di quest'ultimo, pubblicò nel 1903 l'opera poetica Armonia in grigio et in silenzio, che
possiede requisiti assai vicini al romanzo di Rodenbach, comprese le citazioni
della città belga e dei suoi famosi beghinaggi.
Riguardo al frammento
che ho estratto, si possono notare in modo tangibile, sia l'atmosfera
malinconica (tipica di tanta letteratura decadente) della città che l'autore
definisce "morta", sia il simbolismo tutt'altro che nascosto della
città stessa che viene paragonata alla vita ed all'umore del protagonista: un
uomo maturo, affranto dal lutto (la moglie era recentemente scomparsa), solo e stanco
della propria, inutile esistenza.