La caduta della neve
può essere un evento usuale o eccezionale a seconda dei luoghi dove si
verifichi questo fenomeno atmosferico che è tipicamente invernale; anche se,
non di rado, può avvenire nelle stagioni che precedono o seguono l'inverno.
Comunque sia, è certo che dopo una intensa nevicata il paesaggio cambia
drasticamente aspetto: il bianco copre ogni cosa e domina su tutti gli altri
colori. Per tale motivo, visivamente, la neve rappresenta una sorpresa e spinge
un po' tutti ad osservare con più attenzione i luoghi che ha ricoperto. La
maggior parte delle poesie qui sotto riportate vogliono descrivere lo stupore
che tale visione suscita in chi osserva l'avvenimento. Ma ci sono anche poesie
che vogliono esprimere un intenso dolore (quasi che la neve e il freddo ne
siano i simboli) nato da fatti drammatici o da perdite affettive importanti.
C'è infine, in alcuni versi, anche qualche accenno al sociale (si legga la
poesia di Di Ruscio) e, immancabilmente, all'amore.
NEVE
di Giosuè Borsi (1888-1915)
Nel mattino
d'inverno, che dirada
con luce scialba le
notturne bende,
il suo candore
immacolato stende
la coltre della neve
in su la strada.
Il freddo punge, e
volto e mani agghiada
al viator che va per
sue faccende
e risonare il
lastrico s'intende
per ogni goccia che
dai tetti cada.
Ecco: si desta la
città, si desta
la piccioletta opra e
il lavoro umano,
lavoro di catelli
irti e ringhiosi.
Da piedi e da veicoli
calpesta,
la neve il suo
candore a mano a mano
perde e s'ammucchia
in cumuli fangosi.
("Versi
1905-1912", Le Monnier, Firenze 1922)
ATQUE IN PERPETUUM,
FRATER...
di Giorgio Caproni (1912-1990)
Quanto inverno,
quanta
neve ho attraversato,
Piero,
per venirti a
trovare.
Cosa mi ha accolto?
Il gelo
della tua morte, e
tutta
tutta quella neve
bianca
di febbraio - il nero
della tua fossa.
Ho anch'io
detto le mie
preghiere
di rito.
Ma solo,
Piero, per dirti
addio
e addio per sempre,
io
che in te avevo il
solo e vero
amico, fratello mio.
(Da "Tutte le
poesie", Garzanti, milano 1993)
LA NEVE
di Bartolo Cattafi (1922-1979)
Saltano intoppi
calcoli barriere
s'aprono un varco:
limpidi lunghi filati
snodati
ora è acqua nel fiume
la neve di ieri.
(Da
"Ultime", Idola Novecento, Palermo 2000)
NEVICA...
di Francesco Chiesa (1871-1973)
Nevica... La
melanconia rilascia
sul regio ostello i
suoi crini canuti;
né più le torri
ostentano gl'irsuti
gesti: si stanno
pallidi d'ambascia.
Lieto il cielo che
torbido si sfascia,
sotto il peso che
frange i guizzi acuti
dei cipressi e i
rosai piega lanuti
di vecchiezza, ogni
volontà s'accascia.
Ma allor che giacea
prono, il suo nerbo
raccogliendo ad un
tratto, la solinga
fronda raddrizza
nell'inverno acerbo.
Ergesi pronto
all'immortal lusinga
della vita, come un
gesto superbo
che il funereo
lenzuolo respinga.
(Da
"Calliope", Avanguardia, Lugano 1907)
RACCOLGONO LA NEVE
di Luigi Di Ruscio
(1930-2011)
Raccolgono la neve
con le mani coperte
di sangue guasto
la mettono sulla
bocca
per tutti i gelati
che quest'estate non hanno avuto
montano su pezzi di
legno
e scivolano per tutti
i sogni che non hanno fatto
e sarà giorno di
festa anche per loro
fuori delle case
con le vesti bucate
le scarpe sfondate
mentre la neve fascia
di gelo le case
in questa vostra
terra
dove dio ci ha fatto
bastardi.
(Da "Non
possiamo abituarci a morire", Schwarz, Milano 1953)
HANNO SPARATO A
MEZZANOTTE
di Alfonso Gatto (1909-1976)
Hanno sparato a
mezzanotte, ho udito
il ragazzo cadere
sulla neve
e la neve coprirlo
senza un nome.
Guardare i morti alla
città rimane
e illividire sotto il
cielo. All'alba,
con la neve cadente
dai frontoni,
dai fili neri, sempre
più rovina
accasciata di
schianto sulla madre
che carponi
s'abbevera a quegli occhi
ghiacci del figlio, a
quei capelli sciolti
nei fiumi azzurri
della primavera.
(Da "La storia
delle vittime", Mondadori, Milano 1966)
NEVE
di Guido Marta (1882-?)
Neve, neve, neve;
come lieve!
tu sei stanca, tu sei
fredda, non ài voglia
più d'andare:
se ti stendi sulla
soglia,
non ti levi più: mi
pare
di vederti in un gran
letto
dalle candide
lenzuola:
tu sei fredda, tu sei
sola — e sei malata.
Neve, neve, quanta
pace nel tuo male!
è il tuo male
grande come il mondo:
tutto il mondo è un
ospedale
(quanti letti, quante
suore,
quante cose fredde e
bianche!);
passa l'ombra del
dolore,
senza voce.
Una strada, un'altra
strada: ecco, una croce
sul tuo corpo: non
più strade, non più croci,
non dolori: tutto
eguale:
la città, la piana,
il monte,
tutto bianco
l'orizzonte,
come un mare
di serenità.
Passa un uomo; una
pedata
dietro l'altra, e ti
fa male;
ma tu scendi lieve e
buona
tu distruggi il suo
cammino, in un momento,
come quella che
perdona al suo morire.
Passa il vento e ti
scompiglia:
tu, serena, ricomponi
il tuo languore,
un candore senza fine.
Ma se il sole viene,
vai:
te ne vai senza
parlare,
come certe malate che
si muoiono
nell'inverno di
riviera
— tra le viole di una
falsa primavera, —
con le mani bianche
trasparenti di sole.
Te ne vai poco per
volta:
la tua anima che fuma
sotto il sole:
casolari che
rigettano la vesta
di candore, quasi
vecchi imbronciati
la maschera della
festa;
alberi che piangono
la loro
serenità perduta.
Una grande scena
muta: un morire
lento: cose che
stillano, strade bagnate,
campi bagnati;
resta come dei
malati:
pianto solo.
Io mi penso di morire
—
nei momenti di
tristezza —
come tu, neve, sai
morire:
un po' per volta,
lasciando
un poco del mio
candore
dietro ad ogni amore,
un poco
di giovinezza dietro
ad ogni sogno,
un po' di vita dietro
ad ogni gioia
e il sole che mi farà
morire
sarà la gioia che
durerà di più.
(Da "La neve in
giardino", Il Giornale dell'Isola, Catania 1922)
NEVE
di Rocco Scotellaro (1923-1953)
E queste nubi sono
così ferme
a raggiera di viola,
sovrastano
gli uomini sviati sui
pendii.
Se pure danno uno
spillo di sangue,
queste giornate
dell’ultimo inverno
sono più larghe di
cuore nella sera.
Tu puoi sentire nella
notte fonda
lievitare la neve
sopra i vetri
e come si cerne fina
al setello,
acceca i finestrelli
delle case.
Quando il cielo porta
la bufera
il più vecchio si
muove dalla seggiola
a spalare la cenere
bianca:
- Non uscite, lo so
io cosa accadde!
Non rasparono più la
terra
i cavalli atterriti
nel valico,
il polvischio radeva
sibilando,
il trainiere portava
il nostro sale,
lo trovammo con la
mano di pietra
spingeva ancora le
ruote affogate.
(Da "È fatto
giorno", Mondadori, Milano 1954)
NEVE
di Giovanni Tecchio (1872-?)
E neve e neve e
neve...
E tutto intorno
imbianca:
Passa un sussurro
breve,
Il fru d'un'ala
stanca.
Mentre nell'aria
lieve
Danza la ridda
bianca,
Una tristezza greve
Scende col dì che
manca.
Chi studia a un lume
fioco,
Chi dorme in letto
morbido,
Chi ride accanto al
foco;
Va un vecchierel
lontano,
Un pan cercando e
querulo
Stende la scarna
mano.
(Da "Canti",
Monanni, Milano 1931)
LA BALLATA DELLA NEVE
di Paolo Volponi (1924-1994)
Sono scesi i passeri
a branchi
dai calanchi di neve;
si sono posati
tutt'insieme
sulle peste davanti a
casa
come se la tua veste
tenessero per gli
orli,
sfrenati nel volo
quasi per una pena
del cuore.
È solo il tuo
sguardo, amore,
che li tiene in vita,
o il loro stesso
timore
di presto morire.
Se appena ti chiamo,
altri volano dai
pagliai:
l'inverno si spalanca
nel tuo grembiule
celeste,
un filo d'oro di
paglia
resta a metà
nell'aria.
È d'oro la tua
medaglia
ogni sabato d'inverno
e bianca è la tua
pelle
nel nido sopra il
ginocchio.
Salendo lentamente a
germinare,
la stagione mantiene
il seme del tuo
pudore:
l'una e l'altro
maturano insieme
e cantano in silenzio
come il vento e la
neve
nel tuo piccolo
paesaggio
che arriva appena a
domani.
Anche i passeri al
tramonto
tremando sui rami,
vivi uno per uno
e tutt'insieme come
le stelle,
ti chiamano in
silenzio
per arrivare a
domani.
(Da "Poesie
1946-1994", Einaudi, Torino 2001)
William Degouwe de Nuncques, "Snowy landscape with barge" (da questa pagina Web) |