lunedì 9 ottobre 2023

"Autunno": una poesia sconosciuta di Umberto Saba

 Tra le poesie italiane del XX secolo dedicate alla stagione autunnale che più facilmente si ricordano, ve ne sono almeno due: Autunno di Vincenzo Cardarelli (1887-1959) e Già la pioggia è con noi di Salvatore Quasimodo (1901-1968); entrambe è possibile leggerle in numerosissime antologie scolastiche e non. Eppure c'è un'altra poesia, altrettanto bella, che fu scritta da Umberto Saba (Trieste, 9 marzo 1883 – Gorizia, 25 agosto 1957), ma che, complice anche l'autore, è scarsamente conosciuta dai lettori di versi. Questa poesia, che s'intitola Autunno, si trova all'interno del volume Tutte le poesie, pubblicato nei Meridiani della Mondadori di Milano a partire dal 1988. Fu pubblicata per la prima (ed ultima) volta nelle pagine della raccolta Ammonizione e altre poesie (Trieste 1933); con questo libro, che raccoglieva gran parte delle poesie giovanili di Saba, antecedenti Trieste e una donna (sezione che si trova in Coi miei occhi, raccolta uscita nel 1912), voleva essere, secondo il progetto dell'autore, il primo di una serie che potesse contenere tutte le sue poesie scritte fino a quel momento. Lo scarso successo di vendite del libro, lo indusse a non proseguire le pubblicazioni, poiché questi volumi venivano stampati dalla libreria di Saba, che, non riuscendo ad ottenere incassi adeguati, non avrebbe potuto coprire le spese. 

Passando ora alla poesia e partendo  dall'epigrafe, si evince che il poeta, nell'autunno del 1906 e, quindi, nel momento in cui scriveva questi versi, si trovava a Firenze. Nella prima parte, molto profonda, dopo una brevissima descrizione di un paesaggio piovoso, che simboleggia un drastico cambiamento in peggio di una situazione favorevole, si possono individuare almeno due metafore: la "pioggia-pianto" e "l'estate-gioia"; se ne potrebbe immaginare una terza: il "sole-sorriso", ma il sole non viene mai nominato. Ovviamente si riscontra che, secondo Saba, l'estate rappresenta qualcosa di positivo e, al contrario, l'autunno ha il significato opposto. Nella seconda parte della lirica, ci sono dei versi virgolettati che si protraggono anche nell'inizio della terza parte. È come se il poeta parlasse a sé stesso, chiedendogli in sostanza il motivo per cui ha perso, lungo il percorso della vita, tutte le cose più belle (anche le pene - forse d'amore - appartengono a questa categoria). Poi, appare la visione della sua "città dalle lunghe erte": Trieste, e all'orizzonte gli sembra di vedere il mare circostante il capoluogo friulano, ma in realtà si tratta soltanto delle lacrime a stento trattenute dal poeta, che alla vista gli dànno l'effetto di una distesa d'acqua. Più oscuro è, almeno per me, l'inizio della terza parte della poesia, in cui Saba, proseguendo il colloquio con sé stesso, ipotizza un arrivo inatteso (forse del suo felice passato?). La conclusione della poesia è bellissima: dopo aver ripetuto il concetto espresso nel 2° e nel 3° verso, il poeta triestino enumera una serie di categorie umane che vivono situazioni difficili o avverse - "soli nel mondo", "prigionieri", "marinai nostalgici" - per ricordarli in un momento di estrema malinconia autunnale.   





AUTUNNO

                                                                                        (Firenze, 1906)


Piove sui campi e i colli. Era l'estate

ieri, la bella e grande estate. Ed ecco:

ha mutato stagione all'improvviso.

È pianto quel che fu ieri sorriso

del mondo. In cielo ininterrotte lente

vanno le nubi, dicono: l'estate,

una gioia è finita.


«Dove andò la tua vita,

con tutte le sue pene,

con la grazia arridente,

con le ore serene?

Antichissima oscura

la città dalle lunghe erte ti appare.

All'orizzonte un mare

trema d'acque, o ti trema agli occhi il pianto?


S'io giungessi, se accanto

io ti giungessi, non più atteso!» Ieri

era la bella estate, oggi diversa

delle cose è l'immagine. E i pensieri

vanno ai soli nel mondo, ai prigionieri,

ai marinai nostalgici, all'avversa

fortuna. È autunno. E il cor pure lo sente.


(da "Tutte le poesie", Mondadori, Milano 1994, p. 771)

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